Salta al contenuto

Le dinamiche atmosferiche e le previsioni stagionali

In questi giorni si è parlato delle previsioni stagionali e del loro clamoroso fallimento proprio all’inizio del loro periodo di previsione, che dovrebbe essere il più facile da inquadrare. Il problema delle previsioni stagionali è in sostanza molto semplice, sono sbagliate concettualmente.

 

Mi spiego meglio, per fare queste previsioni si usano dei parametri per stabilire i pattern circolatori futuri. Cosi facendo è come se a certe date strutture e situazioni attuali dell’atmosfera e dell’oceano si attribuissero le caratteristiche di cause, intese nel senso fisico del termine, mentre gli effetti sarebbero i pattern circolatori futuri, cioè l’esito, lo scopo ultimo delle previsioni. Ma tutto ciò è assolutamente falso, perché anche quelle che vengono trattate come cause primarie in questo genere di analisi, sono in realtà effetti di altri meccanismi che stanno a monte. Ma procediamo con ordine partendo dalle basi, le vere cause che stanno a monte dei pattern circolatori.

 

 

In pratica il meccanismo cardine del sistema è semplice: la perdita per irraggiamento verso lo spazio di ogni fazzoletto di superficie terrestre ed il guadagno di energia dello stesso fazzoletto dal sole. Tutta la struttura emisferica della circolazione atmosferica si adatta e si organizza in modo da distribuire l’energia su tutta la superficie in maniera più omogenea possibile; in pratica il sistema cerca sempre di avvicinarsi il più possibile all’equilibrio termico. Ovviamente la cosa è impossibile perché le alte latitudini perdono troppa energia e ne guadagnano poca, allora si genera un gradiente polo-equatore che è mediamente il massimo possibile, nel senso che genera il più alto flusso medio di energia possibile. Questo significa che non è possibile avere mediamente un maggior flusso di energia verso i poli perché altrimenti diminuirebbe il gradiente di temperatura polo-equatore e di conseguenza la macchina termica emisferica si spegnerebbe (come avviene parzialmente in estate quando il polo è illuminato), facendo nuovamente diminuire i flussi di energia.

 

Cocco Fig_1
Figura 1: Produzione di entropia media per irraggiamento verso lo spazio

 

Ovviamente tale flusso di energia tra due estremi termici genera entropia, e tale quantità di entropia  prodotta viene definita, per le stesse ragioni di cui sopra, la massima possibile per il sistema atmosferico (Maximum Entropy Production – MEP).

 

Cocco Fig_2
Figura 2: La barra grigia superiore rappresenta il range di variazione delle temperature equatoriali e la linea la sua temperatura; la barra grigia inferiore rappresenta il range di variazione delle temperature polari e la linea la sua temperatura. La linea tratteggiata rappresenta la produzione di entropia

 

Se osservassimo l’atmosfera per un breve periodo di tempo non riusciremmo a distinguere nessuna cella di Hadley, nessuna cella polare e men che meno nessuna circolazione meccanica intertropicale organizzata. Queste strutture prendono forma solamente con una media dei flussi di lungo periodo, e servono ad organizzare gli scambi di energia medi di cui abbiamo discusso. Inoltre ogni struttura barica che possiamo individuare sulle mappe meteorologiche e che in un dato momento potrebbe essere persino ritenuta casuale, ha in realtà una ben precisa funzione nel meccanismo generale.

 

Dopo queste doverose premesse possiamo discutere delle ragioni per le quali le previsioni stagionali possono fallire completamente e possiamo individuare 2 tipi diversi di ragioni:

 

  1. Le previsioni falliscono per via di una riconfigurazione della circolazione atmosferica in una struttura tridimensionale con equivalente efficienza negli scambi energetici meridiani.
  2. Le previsioni falliscono per via di una riconfigurazione della circolazione atmosferica in una struttura tridimensionale con diversa efficienza negli scambi energetici meridiani.

 

La prima causa è dovuta al fatto che dato un certo gradiente termico polo equatore e di conseguenza ad un certo flusso energetico medio, non esiste solamente una configurazione circolatoria che riesca a generarlo e sostenerlo, ma ne esistono diverse, tutte egualmente efficienti. Pertanto, a causa della solita fastidiosissima farfalla che non smette mai di battere le ali, la zona che sembrava destinata ad avere alte pressioni durature e temperature miti si ritrova invece in situazioni opposte e l’esatto contrario avviene per altre zone del globo, tutto per una semplice riconfigurazione del sistema in una struttura equivalente dal punto di vista degli scambi senza nessuna apparente causa, nel senso che secondo la meccanica strettamente newtoniana non è possibile individuare una causa netta del fenomeno (la farfalla fastidiosa nel nostro caso).

 

La causa di fallimento delle previsioni del secondo tipo è la peggiore perché ci si ritrova con uun tipo di dinamiche atmosferiche completamente differente che lasciano completamente a bocca aperta tutti coloro che si cimentavano di modellistica. Quali possono essere le cause? Un’infinità!

 

Facciamo un esempio per capire meglio.

Supponiamo che all’interno dell’intricata rete biologica si stabiliscano le condizioni affinché la normale impercettibile patina di alghe che ricoprono vaste porzioni della superficie oceanica veda un’insolita proliferazione. Tante alghe che pur rimanendo invisibili ad occhio nudo sono in grado magari nell’arco di pochi giorni di rallentare impercettibilmente l’evaporazione dell’acqua nelle zone tropicali, facendo passare l’umidità relativa dell’aria immediatamente soprastante l’acqua da circa 98% a 97%. Questo piccolo fenomeno modifica a sua volta la partizione energetica superficiale oceanica, facendo in modo che più energia venga sottratta alla superficie sotto forma di radiazione anziché di calore latente,e questo a sua volta genera una catena di eventi a cascata, modificando la nuvolosità, l’albedo, la temperatura apparente del cielo e, in definitiva, la perdita di energia verso lo spazio. Se la perdita per irraggiamento è ad esempio diminuita, avviene che l’energia si accumula nelle zone equatoriali; questo a sua volta costringe l’intera atmosfera emisferica a riconfigurarsi al fine di garantire maggiori scambi meridiani, e poco importa se ad esempio tutti gli indici fino a quel momento indicavano che il vortice polare dovesse rimanere compatto e le nostre lande con flussi prevalentemente zonali, tutte le strutture atmosferiche, essendo schiave e non padrone, si modificano radicalmente favorendo scambi di energia meridiani che servono a riportare i flussi di energia e la produzione di entropia ai valori consoni per la nuova situazione di bilancio energetico complessivo verso lo spazio.

 

Il clima essendo per sua natura sempre nella perenne e vana ricerca di un equilibrio, genera molti scherzi, e se ad innescare i cambi circolatori non sono le alghe possono essere delle abbondanti nevicate, che sempre per via del caso sono andate a cadere maggiormente sulla terraferma anziché sul mare, oppure un vulcano che da qualche parte ha eruttato ceneri che poi sparse dai venti hanno modificato la trasparenza atmosferica e di conseguenza i flussi di energia verso lo spazio su vaste aree. Insomma è assai facile che l’atmosfera cambi “idea” senza dare il minimo preavviso della delle proprie intenzioni.

 

A questo punto forse qualcuno penserà che il genere di cause 1 e 2 siano le cose peggiori che possono accadere a coloro che si impegnano nelle previsioni stagionali, ma a parer mio non è cosi. Penso che la cosa peggiore che possa accadere ad un previsore di questo tipo è che nessuna tra le cause di tipo 1 o 2 avvenga. La cosa può benissimo accadere, ma purtroppo queste situazioni daranno la falsa illusione che la strada verso questo genere di previsioni è quella giusta e che i pattern circolatori siano non schiavi, come realmente sono, ma padroni della scena a cui guardare per riuscire a squarciare il velo che cela il futuro. Insomma un totale fraintendimento della realtà complessa del sistema.

 

Non penso comunque che le previsioni stagionali per via di questa complessità siano concettualmente impossibili, un giorno se disporremo di un’estesa rete satellitare in grado di registrare in presa diretta i flussi globali di energia verso lo spazio e le loro oscillazioni, allora potremmo usare quei dati per prevedere con un modesto anticipo eventuali future riconfigurazioni delle strutture atmosferiche verso maggiori o minori meccanismi di scambio meridiano, apportando così correzioni ai pattern che vengono utilizzati per effettuare le previsioni.

_________________________

 

Tore mi perdonerà questa piccola intrusione nel suo post. Premetto che ne condivido l’impianto generale, ma avrei due considerazioni che poi potrebbero tradursi in una discussione.

  1. Stanti i limiti esposti, è chiaro (e spesso evidente) che l’approccio modellistico non è risolutivo, almeno non nella forma attuale e, soprattutto, con gli output attuali. L’approccio deve necessariamente essere più olistico. Naturalmente non si conoscono mai le infinite variazioni casuali di cui abbiamo letto qualche esempio, ma cercando di guardare le cose da fuori nel loro insieme, si possono individuare dei ‘comportamenti’ per lo più a macroscala direttamente o indirettamente sintomo o effetto di una o più di queste infinite cause, potenzialmente in grado di fornire indizi su quella che giustamente definisci ‘riconfigurazione’ del sistema. In pratica sono quelle che chiamiamo teleconnessioni.
  2. Dal momento che un sistema di osservazione capace di monitorare capillarmente i flussi di energia non lo abbiamo, né si sa se mai lo avremo, e le previsioni mensili e stagionali ci servono, quali alternative abbiamo se non accettare il rischio del fallimento e cercare di affinare sempre di più un sistema pur fallibile?

gg

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualità

11 Comments

  1. Tore Cocco

    Flavio, magari il suo naso avesse ragione, magari le cose fossero cosi semplici e lineari, ad esempio per gran parte del novecento le temperature sono aumentate, e quello che viene definito buon senso, insieme tutti i modelli matematici, prevedevano un aumento dell’evaporazione e quindi del vapore, proprio come ha detto lei, invece madre natura è andata in direzione diametralmente opposta mostrandoci una diminuzione dell’evaporazione, ed il fenomeno è stato chiamato “evaporation paradox”. Quindi come vede le cose sono assai diverse dal semplice schemino propinatoci da anni, e non lo dico io, lo dice madre natura, poi ciascuno è libero di credere se è il nostro “buon senso” ed i nostri modelli ad essere sbagliati o il mondo reale la fuori.
    Comunque l’argomento è ovviamente sempre interessante ma siamo fuori tema quindi rimandiamo le discussioni ad altri post.

  2. Tore Cocco

    Veramente la teoria dell’effetto dei gas serra ed in particolare della CO2 deriva proprio da calcoli fatti a carta e penna secoli fa, sono i modelli che son stati costruiti rispettando lo stesso spirito anche al variare delle conoscenze scientifiche.
    Comunque l’effetto serra è dato da una serie di componenti, una sola delle quali è la componente dei gas serra e tra questi uno dei termini è della CO2 e non è nemmeno lontanamente tra le principali. Per intenderci l’effetto serra c’è anche sulla luna che è sostanzialmente priva di atmosfera (a parte pochi gas esalati di giorno con l’intenso irraggiamento e dispersi nello spazio). La componente dell’effetto serra agente sulla luna è data dalla massa inerziale delle reoliti.
    Partendo dal fatto che tutte le componenti dell’effetto serra (compresa la CO2) hanno le dimensioni di una massa inerziale, è certamente vero che si potrebbe prevedere un’attenuazione dell’escursione giorno notte, ma in maniera differenziale alle varie latitudini. Tale attenuazione dell’escursione non dovrebbe portare ad una riduzione del gradiente polo-equatore perlomeno non a scale ti tempo stagionali, con una riduzione del gradiente d’estate ed una possibile accentuazione d’inverno; pertanto nella brutta stagione i fenomeni potrebbero essere ugualmente intensi e persino di più, ma parliamo di piccole entità ovviamente, visto che la CO2 gioca un ruolo minoritario nell’effetto serra.

    • flavio

      “una possibile accentuazione d’inverno”
      allora non ci abbiamo proprio capito niente, sono vent’anni che ci scassano che la temperatura aumenta di moltissimo ai poli, poco alle medie latitudini e quasi niente all’equatore, come fa allora ad aumentare (il gradiente)?

    • Tore Cocco

      Se ne dicono di cose, la più grossa e falsa delle quale è che la CO2 segna il destino del clima, quanto in realtà sappiamo che le cose sono assai più complesse rispetto a quelle rappresentate nei modelli che fanno queste simulazioni. Discorsi lunghi, lunghissimi.

    • flavio

      effettivamente le boiate abbondano, però “a naso” che un atmosfera più ricca di CO2, quindi un po’ più calda e quindi che sostiene più vapore etc, “coprisse meglio” i poli che i tropici mi sembrava ragionevole
      bha, aspetteremo gli sviluppi futuri

  3. flavio

    non vorrei sembrare pedante, ma ho lo stimolo incontenibile a riproporre questo http://www.climatemonitor.it/?p=34283#comment-21412

    a prescindere da fattibilità, affidabilità e utilità della previsione di temperatura, pioggia, velocità e direzione del vento alla tal ora del tal giorno dopo dieci anni, non c’è modo per dimostrare o negare la vulgata mediaticca dell”allargamento della campana” delle condizioni meteorologiche che aumenta le probabilità di eventi estremi?
    …magari non con un modello che richieda anni di elaborazione di supercompter, ma con un’equazione risolvibile con carta e penna…

  4. donato

    La lettura dell’interessante articolo di T. Cocco, almeno per me, è stata fonte di alcune considerazioni.
    .
    In primo luogo mi sono reso conto che conosciamo molto poco della fisica del clima terrestre. Mi spiego meglio. Noi conosciamo a grandi linee ciò che accade alla Terra e che T. Cocco ha ottimamente sintetizzato:
    “In pratica il meccanismo cardine del sistema è semplice: la perdita per irraggiamento verso lo spazio di ogni fazzoletto di superficie terrestre ed il guadagno di energia dello stesso fazzoletto dal sole. Tutta la struttura emisferica della circolazione atmosferica si adatta e si organizza in modo da distribuire l’energia su tutta la superficie in maniera più omogenea possibile; in pratica il sistema cerca sempre di avvicinarsi il più possibile all’equilibrio termico.”
    Questo meccanismo è di una semplicità disarmante (sotto il punto di vista strettamente logico), ma come tutte le cose apparentemente semplici, in realtà, nasconde molteplici aspetti che lo rendono talmente complesso da sfuggire alla nostra comprensione, cioè lo rendono non prevedibile. La fisica, in particolare, e la scienza in generale, sono importanti in quanto consentono di prevedere il comportamento di sistemi reali attraverso dei modelli numerici più o meno complessi. In campo meteorologico e climatico, invece, le previsioni sono piuttosto aleatorie per non dire impossibili. La ragione deve essere cercata nell’impossibilità di modellare le molte variabili in gioco di cui T. Cocco ci ha offerto degli esempi. Oltre a queste variabili apparentemente secondarie, però, esistono problemi ancora più importanti e che riguardano l’influenza delle nuvole, l’esatta quantificazione degli scambi termici umidi tra idrosfera ed atmosfera, l’esatta quantificazione dell’influenza degli aerosol, ecc., ecc..
    La cosa buffa in tutto questo discorso è che esistono fior di pubblicazioni in cui vengono analizzate simili problematiche e che dimostrano la velleità dei tentativi di coloro che cercano di fare previsioni a media e lunga scadenza. Di tutto ciò, però, non vi è traccia nelle granitiche certezze di molti climatologi e, soprattutto, di molti modellisti.
    .
    Il quadro che emerge da tali considerazioni non è per niente confortante anche perché più leggo su questi argomenti e più aumentano i miei dubbi e le mie perplessità. La conseguenza più ovvia di questo accresciuto livello di dubbi e perplessità si trasforma in stupore nei riguardi di quanti sono certi dell’esattezza delle previsioni climatiche a 10-20-100 anni da oggi.
    Questa incertezza, oltre che nella mia testa, aleggia in tantissime altre parti della ricerca climatologica e non solo. Giusto a titolo di esempio (conto di ritornare su questo tema tra qualche giorno in modo più esteso) vorrei citare il problema dell’acidificazione degli oceani che è stato oggetto di discussioni anche su CM.
    Il problema è apparentemente semplice: la CO2 atmosferica aumenta la sua concentrazione e, conseguentemente, aumenta anche la concentrazione nelle acque superficiali degli oceani. I dati, però, suggeriscono altri scenari: l’aumento della concentrazione di CO2 in acqua dovrebbe essere costante in tutti gli oceani, invece, campagne di misurazioni hanno dimostrato che la concentrazione di CO2 oceanica non è assolutamente costante ma varia in modo del tutto imprevedibile da zona a zona: in alcuni punti è maggiore, in altri è minore di quanto ci si possa aspettare. Questo significa che ridurre l’acidificazione degli oceani ad un semplice fenomeno chimico è un errore madornale. Anche in questo caso, infatti, bisogna tener conto di una miriade di fattori che non siamo ancora riusciti a comprendere pienamente (qualche commentatore non ha esitato a dire che la chimica, con l’acidificazione degli oceani, c’entra poco o niente 🙂 .
    .
    In conclusione appare molto poco compresa la concatenazione causale tra i vari processi che caratterizzano il clima ed il tempo terrestri e, conseguentemente, la bontà delle previsioni e degli scenari disegnati dai ricercatori. Questo, ovviamente, non significa che il lavoro delle migliaia di ricercatori che si dedicano a queste ricerche è inutile, anzi è fondamentale, ma è assolutamente necessario che il lavoro di queste persone possa proseguire in modo sistematico senza che esso sia utilizzato in modo acritico quale supporto di questo o quell’aspetto di posizioni ideologiche o ideologizzate che, con la ricerca scientifica, c’entrano come il classico cavolo a merenda. 🙂
    Ciao, Donato.

  5. Luigi Mariani

    Caro Tore, ho cercato di trattenermi dallo scrivere un commento ma l’argomento da te affrontato era decisamente troppo appetitoso…
    Ti scrivo così per dirti anzitutto che condivido pienamente la tua critica con riferimento alle previsioni operate con modelli deterministici (in sostanza spingendo in avanti fino a 1-3 mesi un NWP).
    Circa invece la domanda (che tutti ci poniamo oggi) sul “che fare”, penso che l’unica cosa oggi possibile per le medie latitudini (e l’esempio ce l’ha dato CM stesso alcuni post orsono) è sfruttare relazioni di tipo empirico fra predittori (particolari strutture circolatorie di macroscala come ad esempio la posizione e la forma del vortice polare in autunno) e predittandi (es: la successiva configurazione della circolazione invernale). In un tale schema previsionale, il passaggio dalla macroscala alla mesocala potrebbe poi avvenire utilizzando correlazioni fra strutture circolatorie di macrocala e tipi di tempo a mesoscala (ma in questo caso non ho idea dello skill ottenibile, bisogna provare…).
    Quel che mi spinge ad aver fiducia in un simile approccio è la costatazione che l’atmosfera terrestre è sì imprevedibile e tuttavia in certi casi dimostra di possedere una memoria da elefante, riproponendoci per settimane e a volte per mesi le stesse strutture (che non a caso chiamiamo strutture di blocco). Casi limite di tali strutture di blocco sono ad esempio quelle responsabili di grandi siccità (penso al riproporsi per più anni di un anticiclone di blocco sul Pacifico orientale che fu all’origine della dust bowl americana degli anni 30 e che fu poi studiato in modo intensivo da Namias).

  6. teo

    Confesso di aver avuto, qualche tempo fa, un eccesso di entusiasmo per le previsioni stagionali. Mi sembrava che gli score migliorassero vieppiu’. Purtroppo devo constatare che, quando falliscono, falliscono di brutto il che e’ molto peggio dei benefici di quando ci prendono. Concordo che la strada sia quella di cercare di migliorarle, sofrtunatamente una strada piu’ lunga di quando sperato.

  7. Tore Cocco

    Guido, mi trovo d’accordo con quanto dici, nel senso che ne condivido lo spirito, ma ho qualche preoccupazione.
    Per prima cosa l’approccio olistico come giustamente citi, non solo è indispensabile ma anche l’unico possibile, il problema sta nel fatto che sono le nostre conoscenze attuali a non essere olistiche, ci mancano troppi tasselli per poter sperare di far previsioni di questo genere con relativo successo.
    Le teleconnessioni si studiano ormai da molti anni, ma non ho usato questo termine perché esso richiamerebbe situazioni note nella mente dei lettori, mentre nella realtà vi sono un’enormità di configurazioni della circolazione non note, ma una volta chiarito il concetto cioè che la situazione di ogni zona è abbinata a quella di ogni altra zona ed il tutto deve soddisfare lo schema illustrato di produzione di entropia e radiazione verso lo spazio, allora va bene.
    La mia preoccupazione più grande in questo discorso è quella dello scontro tra le nostre possibilità e le nostre esigenze. certamente le previsioni stagionali sono utili, e certamente dobbiamo continuare a studiare l’atmosfera nella speranza di poterle realizzare prima o poi, ma il semplice fatto è che non siamo ancora pronti, come a maggior ragione non siamo pronti per le previsioni climatiche a lunghissimo termine su cui ci scontriamo verbalmente da anni con chi IPCC in testa vorrebbe propinarcele come una realtà già disponibile. A parer mio questi tipi di previsioni dovrebbero essere confinate negli uffici degli addetti ai lavori che devono continuare a lavorare per il bene delle future generazioni, ma non dovrebbero essere presentate al pubblico, pena non voluti e dannosissimi fraintendimenti del tipo di quelli che le politiche dell’IPCC e dei governi ci impongono. E’ un pò lo stesso discorso delle industrie farmaceutiche, che rendono disponibile il farmaco solo dopo la sperimentazione finale e non prima, e non vedo perché i modellisti ed i previsori di cui sopra non dovrebbero fare diversamente.

    • Tore,
      circa l’unicità dell’approccio olistico temo che rappresentiamo decisamente una minoranza. Intendiamoci, è chiaro che si cerca di far progredire i modelli (concettuali e numerici) mettendoci dentro tutto ciò che si ritiene noto e modellabile, ma temo che per quel che riguarda il clima nel lungo periodo siano molti di più quelli che sposano la causa della forzante unica, e non sono sicuro che questo, che sta già facendo fallire le simulazioni pluriennali, non abbia messo lo zampino anche in quelle stagionali, se non altro per dipendenza delle stesse dai periodi di riferimento e confronto per il calcolo delle anomalie dai ‘caldi’ dataset degli ultimi decenni.
      Comunque, lo spunto del mio recente post veniva da previsioni non prettamente climatiche, quanto piuttosto meteorologiche allungate, ovvero più o meno mensili. E, secondo me, in questo settore c’è qualche speranza in più, sebbene ritengo che prima di tutto dovrebbero essere definiti degli adeguati livelli di comunicazione dell’incertezza, che se ben definita è essa stessa informazione.
      Tuttavia non mi faccio illusioni, questo deve venire da chi la origina l’informazione, non da chi la veicola, per cui i primi a dover tornare a scuola siamo noi. 🙂
      gg

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »