Chiedo venia per il titolo, ma è volutamente provocatorio. Nessun modello di simulazione climatica viene per nuocere, semmai è l’uso che se ne fa o la fiducia in esso riposta a prescindere dall’incertezza e dalla possibilità di verifica che possono avere effetti sgraditi. Come quelli attuali, per esempio, con tutta la modellistica che prevede un riscaldamento sempre più accentuato per effetto delle attività umane e la realtà delle temperature medie del pianeta che ha un trend piatto da più di tre lustri.
Simulare però non sempre e non solo significa prevedere, quanto piuttosto, molto più realisticamente, deve significare testare, investigare, comparare quel che è accaduto con le modalità con cui si pensa che accada, cercando di individuare i meccanismi più importanti nella miriade di combinazioni che un sistema complesso come quello planetario rappresenta. Naturalmente, senza escludere quelli eventualmente connessi alle attività umane.
Esattamente questo è l’approccio scelto da Roy Spencer nell’ultimo paper alla stesura del quale ha contribuito, un lavoro che è stato recentemente accettato per la pubblicazione dall’Asia Pacific Journal of Atmospheric Science (APJAS) con il titolo che segue:
L’ENSO (El Nino Climate Oscillation), è probabilmente il pattern climatico più importante a tutte le scale temporali climatiche, quella breve più direttamente afferibile alle stagioni, quella media, propria della variabilità interannuale e infine quella lunga, nella quale si misurano e osservano le variazioni climatiche. Se infatti le inversioni di tendenza tra fasi fredde e fasi calde delle acque dell’Oceano Pacifico equatoriale (El Nino e La Nina), cambiano drammaticamente il carattere delle stagioni, il fatto che queste fasi possano durare anche molti mesi lascia anche impronte evidenti sul periodo annuale. Inoltre, dal momento che sussistono di fatto periodi in cui prevalgono più fasi calde che fredde e viceversa, ecco che anche il lungo periodo può subire l’influenza di queste dinamiche tipicamente interne al sistema e quindi riferibili alla variabilità naturale.
Secondo quanto sviluppato da Spencer nel paper, proprio una prevalenza di fasi calde occorsa nelle ultime decadi del secolo scorso sarebbe all’origine di una parte consistente del riscaldamento cui è andato soggetto il pianeta. Analogamente, tanto il periodo immediatamente antecedente, più o meno da metà secolo a metà degli anni ’70, quanto i primi anni di questo secolo, che hanno visto rispettivamente le temperature medie superficiali globali scendere e assumere un trend piatto, avrebbero subito l’influenza di una prevalenza di fasi fredde. Tutto questo però, con un contributo importante, ovvero con la quantità di copertura nuvolosa presente nelle rispettive fasi ad anticiparne dapprima l’incipit e a incrementarne gli effetti poi. Meno nubi in valore assoluto e quindi maggiore radiazione incidente quando le temperature crescono, nuvolosità più abbondante a schermare la radiazione in ingresso quando queste scendono.
Ma, dicevamo qualche riga più su, questo può accadere ovviamente anche in presenza di un contributo esogeno, per esempio quello riferito alle attività umane. E infatti il modello impiegato da Spencer in questo studio compie il lavoro più soddisfacente in termini di capacità di riprodurre le osservazioni quando forzato con tutte le variabili in gioco, l’ENSO, naturalmente, ma anche il rimescolamento delle acque dell’oceano e la forzante antropica. Il risultato è un deciso abbassamento della sensibilità climatica, ovvero del riscaldamento che si ipotizza il pianeta dovrebbe subire in presenza di un raddoppio della concentrazione di CO2, rispetto a quanto prospettato per esempio anche dall’ultimo report dell’IPCC. Un riscaldamento che non dovrebbe essere più di 1,3°C al raggiungimento della soglia di 560ppmv di CO2 in atmosfera. Molto, ma molto meno significativo del range 1,5-4°C individuato da gran parte della letteratura scientifica sin qui disponibile.
Il caso vuole che qualche settimana fa si sia sviluppata sulle nostre pagine una discussione inerente la sensibilità climatica e le sue recenti stime al ribasso. Beh, questa è un’altra di quelle.
Il paper di Spencer è a pagamento, purtroppo, però sul suo blog, c’è un post nel quale egli stesso ne descrive molto efficacemente i contenuti. Lo trovate qui, buona lettura.
Un commento all’articolo pubblicato su “La Stampa” e gentilmente postato da Paolo. A mio avviso si tratta di un esempio classico di quasi totale mancanza dei requisiti minimi di scientificità. Ora per carità, non si pretende che ogni articolo di giornale che tratti argomenti scientifici debba incarnare un saggio universitario, ma un minimo di decenza in più….Non c’è una contestualizzazione chiara, non ci sono riferimenti precisi, e soprattutto credo ci sia il rischio concreto che un lettore non competente possa fraintendere. É vero che non ci sono misurazioni diffuse in Artico, ma alcuni dataset (NASA per esempio) hanno sempre avuto questo tipo di problema, per cui le serie sono e restano comunque omogenee. E i dati NASA di superficie confermano una sostanziale stabilità del GW che si protrae dal 2002. Stessa cosa per i dati satellitari. Ora, sarebbe da vedere il lavoro originale, ma credo di immaginare che i contenuti reali non corrispondano affatto a quanto riportato sommariamente e in modo impreciso nell’articolo.
Saluti a tutti.
Fabio, parliamo dell’articolo originale domani.
gg
Perfetto!
Grazie,
Paolo
[…] Ormai la frequenza dei cicloni mediterranei sta aumentando insieme alla temperatura alla superficie del mare. Ricopio sotto i dati per l’alt.uff. delle FF.AA. secondo il quale […]
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Accidenti, l’antispam deve avere le polveri bagnate! Le penne facili sono in giro a dispensar cultura meteorologica. Buona lettura.
Admin
Grazie per la sollecita risposta. Comunque il link è il seguente:
http://www.lastampa.it/2013/11/18/scienza/un-black-out-dei-rilevatori-nellartico-dietro-la-temperatura-che-non-sale-pi-PY5ntoCRdkFpeNC4FC04hJ/pagina.html
preso dalla pagina http://www.lastampa.it di oggi 19 novembre.
Un’ultima cosa: è possibile su Climatemonitor postare domande e/o dubbi anche se non sono pertinenti con gli ultimi argomenti trattati (come il mio di oggi)? Se sì, dove?
Grazie ancora,
Paolo
Paolo, appena domenica scorsa ho aperto uno spazio per quesiti come il tuo (http://www.climatemonitor.it/?p=34253). Non è detto che si ripeta ogni week end ma questo non è un problema. Domande e curiosità varie le puoi postare in forma di commento su tutti gli articoli, non siamo mai stati fiscali con riferimento ai TD.
gg
Gentili Signori, non so se è il posto giusto per farvi questa domanda ma non saprei dove altro scriverla.
Premetto che non sono assolutamente esperto di riscaldamento globale anche se mi sento abbastanza scettico per considerazioni mie personali. Mi convinceva abbastanza che la temperatura si fosse fermata negli ultimi tempi, ma…
…come rispondete all’articolo appena apparso su LaStampa che dice: “Un black out dei rilevatori nell’Artico
dietro la temperatura che non sale più. Un nuovo studio smonta le teorie degli scettici: in 15 anni il pianeta si è scaldato a una velocità record”.
Grazie,
Paolo
Paolo,
ci sarebbe bisogno del link. Non so se si tratti dello stesso argomento proposto da questo lettore (http://www.climatemonitor.it/?p=34197#comment-21132) al quale ho dato questa risposta (http://www.climatemonitor.it/?p=34197#comment-21139).
Leggendo l’articolo per intero forse potrei capire.
gg
Trovato, è questo (http://www.lastampa.it/2013/11/18/scienza/un-black-out-dei-rilevatori-nellartico-dietro-la-temperatura-che-non-sale-pi-PY5ntoCRdkFpeNC4FC04hJ/pagina.html). Cioè la stessa notizia. Solo che non è un black out, cioè un problema di errata misurazione, ma un problema, persistente tutt’ora, di assenza di misurazioni. Una assenza alla quale si è supplito con operazioni statistiche e dati satellitari. Direi che vale la risposta che ho linkato nel commento precedente.
gg