L’abbiamo conosciuta un po’ di anni fa, quell’impulso di entusiasmo collettivo che negli stadi affollati genera un’onda che si propaga attraverso tutti i settori mettendo a dura prova gli operatori televisivi ma con grande effetto scenico. E’ la ‘Ola’.
E’ su questa che un nuovo paper uscito sul Journal of Climate Dynamics e firmato da Marcia Glaze Wyatt e Judith A. Curry basa il ragionamento sul funzionamento di una componente del clima che troppo spesso e, soprattutto ancora una volta nel recente primo capitolo del nuovo rapporto IPCC, viene decisamente trascurata preferendo un sistema climatico geneticamente immutabile e perturbabile esclusivamente da forzanti esogene, ossia le attività umane. Si parla della variabilità naturale, di normale tendenza del sistema ad evolvere secondo regole proprie anche caratterizate da una certa ciclicità di lungo periodo.
Un lavoro di analisi di una serie interminabile di indici climatici e di dati di prossimità, che, è bene dirlo, anche perché lo sottolineano gli autori, non sostiene né nega l’esistenza di un impatto delle attività umane sul funzionamento del sistema, piuttosto si pone l’obbiettivo di provare a colmare una lacuna molto significativa della teoria del riscaldamento globale indotto dall’eccesso di gas serra, ossia l’assenza di un trend di riscaldamento che sia in continuo accordo con il forcing antropico e la presenza, ormai acclarata sebbene per molti alquanto indigesta, di un sostanziale arresto del suddetto riscaldamento iniziato oltre 15 anni fa. E’ quindi un lavoro piuttosto critico nei confronti del recente report dell’IPCC, che pur ipotizzando tra le possibili cause di questo arresto (o pausa, o iato, o come volete, ma ancora persistente) una variabilità naturale essenzialmente impredicibile, prospetta anche un’imminente e significativa ripresa delll’aumento delle temperature. Secondo quanto descritto nel paper, invece, l’onda climatica di raffreddamento o, se preferite, di netto contrasto al riscaldamento, instauratasi appena prima della fine del secolo scorso, potrebbe far sentire i suoi effetti per un altro paio di decadi, portandoci quindi al 2030 in condizioni molto diverse da quelle prospettate nel report IPCC, ovvero senza tangibili effetti reali o presunti del forcing antropico e, forse, anche con temperature medie superficiali diminuite.
Ma non è tutto. Gli autori hanno infatti individuato una serie di 4 regimi climatici nei quali diversi indici e diverse realtà spaziali contribuiscono in modi diversi alla propagazione dell’onda conducendo il sistema verso il riscaladamento, l’apice dello stesso, la transizione, il raffreddamento e così via. Tra questi, l’Atlantic Multidecadal Oscillation (AMO), il ghiaccio marino artico e le temperature di superficie sono quelli che spiccano. In particolare, l’attuale ‘pausa’ sarebbe identificata come una transizione da un regime di riscaldamento ad uno di raffreddamento, consistentemente con quanto letto dall’analisi statistica della gran mole di dati presa in considerazione.
Nell’articolo, è particolarmente interessante la spiegazione che viene fornita dei meccanismi relativi ai 4 regimi climatici, con descrizione dettagliata dei feedback positivi e negativi innescati ora da questa ora da quella variabile, con passaggi logici sostenuti sia dalla letteratura a riferimento (in termini di interazione tra le variabili) sia ovviamente dai dati osservati. Pur nel contesto di serie di dati che in alcuni casi sono effettivamente piuttosto brevi e dunque poco adatte a studi di paleoclima, gli autori asseriscono di aver trovato conferme dell’esistenza di questa ‘Ola’ del clima tornando indietro nel tempo per almeno 300 anni.
A parte le analisi e le critiche che eventualmente dovessere essere condotte e sollevate su questo approccio, vale la pena sottolineare che a differenza delle spiegazioni e delle previsioni climatiche a cui siamo abituati, quanto scritto da Wyatt e Curry ha il pregio di fornire una spiegazione logica e misurabile di quanto accaduto nel passato recente di persistenza del forcing antropico e assenza del riscaldamento, e di essere verificabile nel breve medio periodo. Si parla anche infatti di possibile graduale ripresa dell’estensione dei ghiacci artici, fatto questo che di certo non mancherà di essere attentamente osservato qualora dovesse aver luogo.
Il paper è questo:
Role for Eurasian Arctic shelf sea ice in a secularly varying hemispheric climate signal during the 20th century (Climate Dynamics, 2013).
Mentre qui lo trovate interamente disponibile in PDF . Qui, infine, il post che la stessa Curry gli ha dedicato sul suo blog con il comunicato stampa relativo alla pubbicazione. Buona lettura, mettetevi comodi perché è tutto piuttosto lungo.
[…] complessi come quello solare e quello climatico. Proprio pochi giorni fa è stato pubblicato un articolo a firma di M. Wyatt & J. Curry che individua un ciclo sessantennale modulato da PDO e NAO nelle […]
“ma che i politici ci pensino un po’ di più e meglio prima di gettare miliardi!”
Qui, sulla Terra, si dura fatica a sostenere che le foglie sono verdi d’estate soprattutto quando di mezzo ci sono miliardi e politici, non so dalle tue parti.
non è questione di spregio o favore ai termini, assodato che “sono stati il frutto di un modo di pensare che trae le sue origini da un immenso retroterra culturale caratterizzato da tanti tentativi ed errori, da una grande quantità di sentieri senza sbocco che sono stati intrapresi e poi abbandonati o che sono stati percorsi a ritroso per una parte e che hanno originato altre strade”, e che a quanto pare l’ossessione per la CO2 si sta dimostrando uno dei tanti vicoli ciechi, dobbiamo fare un testacoda e ripartire a tavoletta rischiando di infilare un altro vicolo cieco e magari lasciarci le penne?
non bastano tutti i miliardi lasciati in questo (e tutti gli altri prima di questo dalle civiltà delle varie epoche)?
se “il meccanismo individuato dai ricercatori, in questo caso, sembra che non funzioni” perchè dovremmo sostituirlo con altri che hanno, al massimo, analoghe possibilità?
abbiamo così tanto bisogno di un apocalisse a settimana? in vent’anni si è passati dal terrore per il congelamento globale a quello per l’arrosto mondiale, già che le temperature sono ferme da un po’ non si può semplicemente dire “finora ci abbiamo capito poco [per non dire PROPRIO NIENTE], quando ne sapremo di più ve lo diremo, per ora vivete tranquilli e guardate le previsioni ogni sera, quando saremo in grado di farle mensili vi avviseremo, in ogni caso non fasciatevi la testa per i millenni a venire”?
che i ricercatori continuino a studiare e gli astrologi a scrivere quartine, ma che i politici ci pensino un po’ di più e meglio prima di gettare miliardi!
Flavio, credo che siamo giunti al punto focale della questione, al vulnus che spinge tanti di noi a chiedersi se il gioco valga la candela e che tu hai ben riassunto nella chiosa del tuo post (spero possa permettermi di darti del tu, in caso contrario me ne scuso). Se i ricercatori facessero i ricercatori ed i politici, i politici, probabilmente non saremmo a questo punto. Il problema è che, ad un certo punto, vi è stata una commistione tra politica e scienza che non ha dato, secondo me, buoni frutti e l’IPCC ne rappresenta uno splendido esempio.
In tutte le discipline dello scibile le discussioni avvengono tra ricercatori e sono anche molto vivaci. In climatologia, invece, esse debordano dall’ambito specifico della disciplina e coinvolgono, attraverso i politici, i destini di ognuno di noi. I politici, infatti, sotto l’influenza di lobby e corporazioni molto ideologizzate, basandosi sulle conclusioni dei ricercatori consegnate nei vari SPM, deliberano politiche ambientali che, fino ad oggi, non hanno avuto altro effetto che deprimere le economie di mezzo mondo senza ridurre il trend di emissione della CO2 se non in modo insignificante.
Tutto ciò premesso, però, credo che dal punto di vista strettamente scientifico le ricerche debbano continuare per cercare di capire come le cose vadano effettivamente, cioè comprendere i meccanismi che sono alla base delle dinamiche del clima terrestre. Se noi riuscissimo a separare i due aspetti (quello politico da quello scientifico), probabilmente, ne guadagneremmo in serenità e da un punto di vista economico. Il problema, però, sarebbe la fine dei corposi finanziamenti della ricerca ambientale e climatologica e, a questo punto, si innesca il circolo vizioso del cane che si morde la coda.
In parole povere sarà molto difficile uscirne senza le ossa (nostre) rotte. 🙂
Ciao, Donato.
ma certo, liberissimo, ogni volta che mi danno del lei mi ritorna in mente la scena tra fantozzi e filini immersi nella nebbia “batti? che fa ragioniere? mi da del tu? nono, è congiuntivo, batti lei”
“In tutte le discipline dello scibile le discussioni avvengono tra ricercatori e sono anche molto vivaci. In climatologia, invece, esse debordano dall’ambito specifico della disciplina e coinvolgono, attraverso i politici, i destini di ognuno di noi”
mi sembra decisamente ottimistico!
a quanto vedo io invece, dal nucleare alle cellule staminali, dagli ogm alle ore che i bambini possono passare davanti alla televisione, mi sembra che tale approccio abbia già infettato vastissima parte dello scibile umano
“mi sono perso il senso di quest elenco, vogliamo paragonare i modelli astrali geocentrici con il calcolo del pi greco o della costante di planck?”
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No. Ci mancherebbe! E’ anche vero, però, che né pi greco, né la costante di Planck sono nati dall’oggi al domani , ma sono stati il frutto di un modo di pensare che trae le sue origini da un immenso retroterra culturale caratterizzato da tanti tentativi ed errori, da una grande quantità di sentieri senza sbocco che sono stati intrapresi e poi abbandonati o che sono stati percorsi a ritroso per una parte e che hanno originato altre strade. In altre parole, nulla è nato ex abrupto, ma tutto è stato frutto di una lenta, continua evoluzione caratterizzata, in qualche caso (vedi medioevo), da una stasi plurisecolare e, in qualche altro, da accelerazioni improvvise (vedi teoria della relatività). E così sarà anche per il futuro: concetti che oggi ci sembrano monoliti indistruttibili, nel futuro saranno visti come uno dei tanti rami secchi dell’evoluzione scientifica. Non per altro ogni teoria scientifica è vera fino a prova contraria. E la storia è ricchissima di teorie considerate incrollabili che, invece, sono miseramente crollate sotto i colpi di nuovi modi di pensare. Oggi, per esempio, consideriamo il Modello Standard della fisica delle particelle un modello perfettamente in grado di spiegare il mondo delle particelle elementari (la conferma sperimentale dell’esistenza del bosone di Higgs ne è stata l’ennesima verifica), ma possiamo considerarla una teoria definitiva? Secondo me no, e le avvisaglie di alternative a tale teoria già si intravedono, solo che, probabilmente, nessuna di esse riuscirà a resistere alla verifica sperimentale a vantaggio di qualche teoria elaborata da qualcuno che oggi si trova ancora alla scuola dell’infanzia. 🙂 Che facciamo, impediamo a tutti i ricercatori di seguire il loro intuito perché il Modello Standard, oggi come oggi, è riuscito ad individuare un meccanismo che spiega buona parte del comportamento della materia a livello microscopico?
In parole povere non mi sembra che si possa scartare qualcosa solo perché non è conforme alla linea di pensiero principale.
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“non basta scoprire (o voler vedere dove magari non c’è) una regolarità, bisogna che ci sia qualcosa dietro (“indagare la Natura alla ricerca dei meccanismi” e confermare che sia il meccanismo giusto) per passare dall’astrologia all’astronomia, …”
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A parte l’utilizzo in senso dispregiativo della parola astrologia (per indicare qualcosa di diverso dalla linea di pensiero principale, almeno per quello che ho capito io, se non è così me ne scuso in anticipo) concordo in buona parte con questa considerazione.
Qualche dubbio, per la verità, mi viene nell’istante in cui leggo “non basta scoprire (o voler vedere dove magari non c’è) una regolarità”.
Credo che ci si riferisca all’articolo citato da G. Guidi nel suo post.
Su questo, però, vorrei spendere qualche parola in più in quanto non mi sembra che il lavoro di J. Curry e M. Wyatt possa essere liquidato in questo modo.
Le due ricercatrici hanno analizzato una grande mole di dati riferiti ad indici climatici che sono ampiamente riconosciuti nella comunità climatologica come indicatori di oscillazioni a media e bassa frequenza dei paramentri che caratterizzano il clima di ampie fasce della Terra. La NOAA, per esempio, conserva con cura grossi archivi in cui tali indici sono consegnati. Si tratta di dati, di numeri. Estraendo dal rumore statistico il segnale, si riescono a trarre le conclusioni cui sono giunte le autrici della ricerca. I metodi mi sembrano paragonabili a quelli utilizzati da Briffa et al. per estrarre il segnale climatologico dai dati degli anelli degli alberi della Yamalia e/o degli Urali polari o da Marcott et al. per estrarre il segnale climatologico dalle serie di dati stratigrafici e dai dati relativi agli alchenoni. E’ d’uso, nella comunità scientifica, utilizzare metodi statistici per estrarre da un mare di dati un segnale più o meno chiaro ed al netto delle incertezze (retta, onda o altro).
Nel caso del clima terrestre, visto che non si può pensare di eseguire un esperimento su un pianeta uguale alla Terra per valutare gli effetti dell’influenza antropica, volenti o nolenti, dobbiamo affidarci a questo tipo di indagini per cercare di trovare legami tra le grandezze che in un passato più o meno remoto ed in un futuro più o meno prossimo siano in grado di farci comprendere il meccanismo o i meccanismi che regolano il clima.
L’alternativa è quella di impiccarsi ad un meccanismo preconcetto (sensibilità climatica, per esempio, e quindi squilibrio radiativo atmosferico) per arrivare a concludere che esiste una relazione diretta tra temperatura media superficiale e clima, tra temperatura superficiale media e concentrazione di CO2 atmosferico e, per la proprietà transitiva di non so che cosa, tra concentrazione di CO2 e clima terrestre. Salvo poi che il meccanismo non funziona e bisogna introdurre tutta una serie di correttivi e di forcing che portino al risultato cercato. Questo in estrema (e rozza, lo riconosco, ma ho un po’ fretta 🙂 ) sintesi fanno i GCM.
Il problema, però, è che il meccanismo individuato dai ricercatori, in questo caso, sembra che non funzioni o, per essere più precisi, non riesca a simulare in modo soddisfacente l’evoluzione del clima terrestre a livello globale e, soprattutto, regionale.
Ricapitolando, quindi, è vero che bisogna andare oltre le apparenze e definire il meccanismo fisico che regola il fenomeno, ma bisogna anche essere in grado di riconoscere quando il meccanismo non funziona e sostituirlo con altri. Nel frattempo, perché negare ad altri di tentare altre strade che anche se si rivelassero sbagliate, potrebbero individuare qualche relazione tra grandezze in grado di guidarci verso gli esatti meccanismi che ancora non siamo riusciti ad individuare completamente? Perché sfruttano le onde, le armoniche o le regolarità?
Ciao, Donato.
“si può dire che la ricerca delle regolarità nei sistemi naturali è stato il faro che ha guidato gli scienziati nelle loro scoperte”
esattamente l’opposto
ha guidato gli astrologi nella redazione degli oroscopi
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Ticho Brahe, Keplero e Copernico si guadagnavano da vivere redigendo oroscopi ed almanacchi per i nobili presso le cui corti soggiornavano, ma non credo che nessuno li definisca astrologi, così come nessuno definirà astrologo Tolomeo che fu il “creatore” dell’astrologia. 🙂
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Claudio Tolomeo elaborò un sistema astronomico (non astrologico, pur utilizzandolo per il calcolo dei suoi oroscopi) che funzionava perfettamente in quanto era, essenzialmente, un sistema di calcolo che, basandosi su di una ipotesi non vera (la Terra al centro del sistema solare), salvava, però, i fenomeni, riusciva cioè a prevedere non il futuro, ma la posizione dei corpi celesti nel cielo (che rende la scienza diversa dalla fede e l’astronomia diversa dall’astrologia). Il nucleo del pensiero tolemaico erano i moti ciclici dei corpi celesti che egli schematizzò con gli epicicli e gli altri complessi meccanismi che illustrò nell’Almagesto. Forse Tolomeo ignorava l’opera di Aristarco di Samo che tre secoli prima di lui aveva elaborato una teoria eliocentrica del sistema solare? Assolutamente no, ma il suo modello consentiva, mediante l’ipotesi di cicli astronomici basati sulla Terra al centro del sistema solare, di calcolare in modo molto semplice i moti degli astri e, quindi, elaborare tavole numeriche utili agli astronomi ed ai naviganti. Non credo che Tolomeo possa essere considerato un ciarlatano visto che fino al 1500/1600 le sue opere furono la base della scienza e della navigazione (per inciso pubblicò le coordinate geografiche di diverse migliaia di località della Terra dimostrando una conoscenza che per secoli fu dimenticata). E tutto fu basato sui cicli, le regolarità e l’armonia dei sistemi naturali. Fu grazie ai calcoli di Tolomeo e dei suoi successori, per esempio, che Cristoforo Colombo in uno dei suoi viaggi riuscì a fregare gli amerindi facendogli credere di essere in grado di provocare un’eclissi di Luna. 🙂
E come si fa a non citare l’opera di Aristarco di Samo vissuto tra il secondo ed il terzo secolo a.C. che grazie alle regolarità del moto dei corpi celesti riuscì ad elaborare una teoria che, al pari di quella di Tolomeo, salvava i fenomeni, ma partendo da un’ipotesi opposta: il Sole al centro del sistema solare e la Terra che ruotava intorno ad esso e intorno al suo asse? Anche Aristarco era un astrologo? Si anche lui redigeva oroscopi, però egli riuscì a spiegare che le stelle fisse appaiono immobili nel cielo anche quando la Terra si muove, in modo ciclico, secondo una circonferenza, solo perché sono lontanissime e la loro distanza è talmente enorme da impedire ogni parallasse quando la Terra orbita intorno al Sole. Questa è una teoria scientifica, non è ciarlataneria. O abbiamo voglia di definire Aristarco di Samo un astrologo perché sulla base della comprensione dei moti ciclici della Luna e della Terra rispetto al Sole riuscì a calcolare (sbagliando 🙂 ), attraverso la quadratura, la distanza tra Sole, Terra e Luna in quello che può essere considerato il primo calcolo trigonometrico della Storia?
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Avvicinandoci un po’ più ai nostri tempi vediamo che Brahe, Keplero e Copernico riuscirono a dimostrare la falsità delle ipotesi tolemaiche attraverso la scoperta di piccoli errori nei calcoli tolemaici e, nel caso di Copernico, grazie alle letture dei testi antichi che riportavano, presumibilmente, notizie circa le teorie eliocentriche di Aristarco. Anche loro, però, elaborarono i loro sistemi sulla base delle ciclicità tipiche dei moti degli astri e sulla perfetta regolarità degli stessi, immagine della perfezione di Dio che li aveva creati.
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Potremmo parlare anche di Le Verrier che scoprì Nettuno senza vederlo, ma calcolando la sua posizione e le sue caratteristiche grazie alle perturbazioni che esso induceva sulla regolarità delle orbite dei pianeti esterni: senza la regolarità e la sua perturbazione, mai egli avrebbe ipotizzato l’esistenza di un altro pianeta.
E ancora, venendo quasi ai nostri giorni, potremmo parlare della precessione del perielio di Mercurio che violando la regolarità delle orbite newtoniane (altro grande della scienza che sulla regolarità dei cicli astronomici basò tutta la sua teoria della gravitazione universale) indusse Einstein a elaborare quell’inezia che è la teoria della relatività generale.
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Per concludere un semplice cenno alla teoria delle stringhe: oggetti lineari che vibrano, cioè si muovono ciclicamente, regolarmente, armonicamente in uno spazio multidimensionale. Lo so si tratta di una teoria che qualcuno definisce, non a torto, secondo me, una specie di religione (simile all’astrologia, quindi 🙂 ), per cui forse non è scienza.
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E vogliamo parlare della regolarità delle oscillazioni del pendolo che ispirarono Galilei e che furono la base della metrologia moderna in epoca illuministica? Oppure vogliamo parlare della regolarità del decadimento radioattivo su cui si basano gli orologi atomici a fontana di cesio? Delle cupole geodetiche basate sulle regolarità geometriche di poligoni sferici? Della regolarità dei cristalli? Della regolarità nel decadimento radioattivo del carbonio 14 che ci consente di datare oggetti organici? O vogliamo parlare delle costanti fisiche, queste monadi che ci consentono di far quadrare i nostri conti e che non ci stanchiamo mai di calcolare con sempre maggiore precisione: cosa c’è di più regolare di una costante?
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Potrei continuare ancora per molto, ma preferisco fermarmi. Mi sembra che tutte queste regolarità su cui si basa il nostro sapere scientifico siano ampiamente sufficienti a giustificare le mie affermazioni.
A meno che non vogliamo essere talmente presuntuosi da misconoscere le capacità scientifiche di coloro che ci hanno preceduto e che hanno costruito il nostro sapere scientifico, attribuendoci conoscenze e, soprattutto, capacità, superiori alle loro. Forse perché noi abbiamo la statistica ed il calcolo delle probabilità e loro no? Io, personalmente, non me la sento e dico, parafrasando un grande scienziato del passato, che possiamo vedere più lontano perché siamo seduti sulle spalle di giganti. Giganti della scienza e non dell’astrologia anche se essi avevano in grande considerazione le regolarità della natura e dei suoi fenomeni.
Per il resto: chi vivrà, vedrà. 🙂
Ciao, Donato.
mi sono perso il senso di quest elenco, vogliamo paragonare i modelli astrali geocentrici con il calcolo del pi greco o della costante di planck?
potrei rispondere che secondo aristotele una freccia in aria continuava a volare solo perchè spinta dall’aria in quanto secondo lui la natura aborre il vuoto, o che quasi un secolo fa pensavano di aver scoperto anche plutone in base a calcoli di meccanica celeste, poi si sono resi conto che avevano sbagliato tutto e lo avevano scoperto per caso
per andare da milano a brescia devo per forza andare ad est?
assolutamente no, posso andare ad ovest e fare tutto il giro del mondo
non basta scoprire (o voler vedere dove magari non c’è) una regolarità, bisogna che ci sia qualcosa dietro (“indagare la Natura alla ricerca dei meccanismi” e confermare che sia il meccanismo giusto) per passare dall’astrologia all’astronomia, o ci troveremo nelle piazze gente che pretende la distruzione della luna come cura per i dolori mestruali
Onde, cicli, periodi. Sono aspetti del sistema climatico, e non solo, che sono sempre stati tenuti in seria considerazione dai ricercatori. I cicli astronomici con la loro stupefacente regolarità, per esempio, hanno affascinato l’uomo e proprio questa regolarità ha spinto la nostra specie ad indagare la Natura alla ricerca dei meccanismi reconditi alla base di questi cicli. Anzi, si può dire che la ricerca delle regolarità nei sistemi naturali è stato il faro che ha guidato gli scienziati nelle loro scoperte.
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Su un’altra finestra del mio computer è visibile la struttura di un fabbricato: è stata progettata schematizzando il comportamento dell’edificio sotto l’azione di un sisma mediante la composizione di diverse decine di modi di vibrare. Ognuno di questi modi di vibrare ha un suo specifico periodo che viene calcolato a partire da uno spettro calcolato sulla base di ricerche effettuate da sismologi e geofisici. Ancora una volta onde, periodi, spettri, cicli. Per il clima, invece, sembra che le ciclicità siano un tabù: anche in molti ambienti scettici chi si serve di armoniche e di inviluppi viene guardato con sospetto e, se tutto gli va bene, deriso; in caso contrario apostrofato come venditore di fumo, imbonitore ecc., ecc..
In qualche caso, come ci ha dimostrato diverse volte F. Zavatti con i suoi articoli sui data-set delle temperatura a cura di NOAA, gli algoritmi di omogeneizzazione dei dati tendono ad eliminare le cliclicità presenti nei dati grezzi o nelle precedenti versioni dei data-set. Sembra che la Natura abbia dimenticato i suoi cicli e si sia convertita alla linearità: la forma più tranquillizzante per un ricercatore in quanto rappresenta la relazione più semplice tra grandezze fisiche e non. La temperatura, pertanto, cresce in modo lineare ed illimitato, i ghiacci artici (de)crescono 🙂 linearmente fino ad scomparire, l’intensità dei campi magnetici associati alle macchie solari (de)cresce linearmente fino ad impedire che le macchie solari si formino, gli indici NAO, AO, PDO, i cicli solari ecc., sono periodici si …, ma …, però …, non c’entrano nulla con il cambiamento climatico che, lui sì, è caratterizzato da una crescita lineare.
Se appare qualcosa che porta qualche grandezza (la fantomatica temperatura globale, per esempio) lontano dalla retta (via) 🙂 , però, invece di indagare alla ricerca di un sintomo di variabilità, ciclicità, o come diavolo la vogliamo chiamare, si cercano tutti i cavilli per dimostrare che si tratta di un’anomalia passeggera nel cammino verso quello che è il santo graal della moderna fisica dell’atmosfera: il mondo che finisce arrosto o a bagnomaria.
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La ragione di tutto ciò? Per quel che ho potuto capire la necessità che tutte le grandezze climatologiche seguano la curva della concentrazione della CO2 atmosferica che, quella sì, segue la vecchia cara retta. E siccome la crescita lineare della CO2 non può che essere frutto dell’attività umana, ecco spiegato il motivo per cui le onde, i periodi, i cicli DEVONO sparire. Scafetta, Lohele, Wyatt, Curry e tanti altri, vanno un po’ controcorrente, e amano indagare la natura facendosi guidare dai cicli e dai periodi scoprendo che, guarda caso, i modelli non lineari riescono dove i mastodontici GCM hanno miseramente fallito: la stasi delle temperature superficiali, l’andamento del livello dei mari, l’estensione dei ghiacci polari.
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E per chiudere questo commento una considerazione ed anche un mea culpa. Se andiamo a guardare le figure a corredo dell’articolo di Wyatt & Curry (bastano solo quelle, per il resto c’è tempo) scopriamo con stupore (per me così è stato quando li ho guardati per la prima volta qualche giorno fa) che i periodi che dominano i cicli naturali individuati dalle due ricercatrici sono pari a 60 anni. Per chi ha la memoria corta vorrei ricordare che questo numero è molto presente in tutti gli articoli di N. Scafetta. Per N. Scafetta, infatti, quel periodo è di importanza fondamentale nella schematizzazione del clima. Ritrovarlo in un lavoro di altri ricercatori che sono arrivati ad esso senza invocare armoniche astronomiche, a me, fa un certo effetto e, consentitemi di fare pubblica ammenda, mi fa pentire circa alcuni dubbi che mi sono venuti riflettendo su questo 60 che, in qualche caso, mi sembrava un numero appiccicato li per far quadrare i conti e basta. Oggi, dopo aver dato un’occhiata al lavoro segnalato da G. Guidi e dopo le ore passate a studiare i lavori di N. Scafetta, mi sa che su questo numero 60 torneremo più e più volte. 🙂
Ciao, Donato.
“si può dire che la ricerca delle regolarità nei sistemi naturali è stato il faro che ha guidato gli scienziati nelle loro scoperte”
esattamente l’opposto
ha guidato gli astrologi nella redazione degli oroscopi
“indagare la Natura alla ricerca dei meccanismi reconditi alla base di questi cicli”
è un’idea molto recente e, seguendo la teoria sovraesposta (“Se appare qualcosa che porta qualche grandezza (la fantomatica temperatura globale, per esempio) lontano dalla retta (via) 🙂 , però, invece di indagare alla ricerca di un sintomo di variabilità, ciclicità, o come diavolo la vogliamo chiamare, si cercano tutti i cavilli per dimostrare che si tratta di un’anomalia passeggera”), già lanciata a gran velocità verso il tramonto