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Yellowstone al cacio e pepe

Il 24 agosto scorso, nei pressi di Fiumicino, costa laziale alle porte di Roma, è apparso come per incanto e nel bel mezzo di una rotatoria, un conetto vulcanico che alcuni a primo acchitto hanno identificato come geyser, ma che in realtà era, ed è tuttora, un vulcanetto di fango, piccolino ma interessante. Nella sua fase iniziale, a quanto pare, “sparava” getti di vapori e fango fino a 4-5 metri di altezza, poi dopo qualche giorno la sua attività si è ridimensionata ma si è allargata la sua base, tanto che tutta l’area è stata recintata e transennata, anche perché le emissioni sono ad alta percentuale di anidride carbonica, quindi potenzialmente tossiche per chi ne sta troppo vicino; sono state chiamate anche squadre di geofisici e vulcanologi. I primi risultati e i test hanno certificato l’esistenza di sacche sotterranee da cui fuoriusciva un mix di gas e fango (qui e qui su youtube).

Ma la storia non finisce qui, perché nell’ultimo mese le sorprese sempre in zona sono state altre due, una in particolar modo degna di “menzione cinematografica”: lì per lì a pochi metri di distanza dal vulcanetto di cui sopra, le fuoriuscite di gas e fango sono scaturite da un tombino; probabilmente, la pressione dei gas nel sottosuolo ha aperto nuove vie e ha trovato più facile sfruttare uno scavo artificiale per risalire in superficie. Ma la vera sorpresa, di pochi giorni fa, è stata questa (guardatevi il filmato su youtube trasmesso da Ostia Tv, e ripreso dalla Capitaneria di Porto).

 

Sembra il preavviso ad una tipica scena horror-catastrofica della cinematografia di fantascienza statunitense. In pratica un fenomeno analogo al primo, ma di portata un po’ più grande, con l’aggiunta del “mare che ribolle”. Lì il fondale marino si trova a circa 40 metri di profondità e a differenza di quel che è successo in Pakistan, non si è creata nessuna nuova isola, ma solo un torbido rimescolamento dei fanghi del fondale e dei gas fuoriusciti.

 

Ora, nonostante la natura e il (recente) passato di zona ad intensa attività vulcanica – quella del litorale tirrenico laziale ma non solo – e quindi con tutti i presupposti perché fenomeni del genere si sviluppino spontaneamente, a quanto pare stavolta c’è lo zampino (o meglio, la trivella) umano. Pare infatti che nei pressi del primo fenomeno, quello della rotatoria stradale, sia stata effettuata proprio pochi giorni prima una perforazione esplorativa che si è “erroneamente” spinta oltre i 30-35 m. di profondità nel sottosuolo; dico “erroneamente” perché le caratteristiche geologiche della zona sono ben note a tutti gli addetti ai lavori.

 

“Si è potuto accertare – afferma la dottoressa Maria Luisa Carapezza, vulcanologa dell’unità di geochimica dell’Ingv – che il vulcanetto si è formato subito dopo una trivellazione effettuata nella zona da un’azienda che stava realizzando una rete elettrica per la quale era necessaria una presa di terra molto profonda. Le trivelle si sono spinte fino a 30 metri, oltrepassando lo strato argilloso, fino a raggiungere le sacche di anidride carbonica ad alta pressione, che è schizzata in alto assieme ad acqua sotterranea e fango. Ora, poiché l’alimentazione del gas profondo è persistente, l’unico rimedio sembra quello di intervenire iniettando nel terreno uno speciale cemento sigillante chiamato gas block, a cui si ricorre in casi del genere”. “Tutta la fascia di terra che si affaccia sul Tirreno centrale è stata interessata, nel lontano passato, da manifestazioni vulcaniche – continua la dottoressa Carapezza – Qui la crosta terrestre è segnata da faglie profonde e da antiche vie di risalita del magma. Di quella attività ormai estinta esistono ancora flussi di anidride carbonica che hanno origine in profondità  e che tendono a emergere in superficie. Ma potenti strati di argille e sedimenti fluviali accumulatisi successivamente, hanno come sigillato i gas vulcanici, confinandoli nelle profondità”. (da qui)

Nota folcloristica. Come da copione, le opposte schiere politiche delle amministrazioni locali, si sono reciprocamente rinfacciate le responsabilità dei “fattacci” rimpallandosi l’aver commissionato ipotetiche trivellazioni per un fantomatico sottopassaggio del Tevere, che ovviamente una parte della Giunta vuole e l’altra no… tutto fa brodo (anzi, vulcano) pur di far propaganda politica….
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Nel caso del fenomeno verificatosi in mare, invece, a circa 1 km dalla costa, sembra che la responsabilità sia di trivellazioni collegate alle verifiche progettuali e di fattibilità del nuovo futuro Porto di Ostia, opera sulla carta imponente e travagliata, con i lavori che vengono sospesi e ripresi a più tornate, scandali e arresti, ma questa è un’altra storia……..
Preferisco parlare di vulcani 🙂

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Published inAttualità

2 Comments

  1. giovanni p.

    Bellissimo…. ho appena guardato il servizio di ostia TV… sembra che li vogliano fare un sottopasso ( per quello i famosi sondaggi)…. ah ah ah veramente incredibile. Beh d’altrone da una generazione di ing arch & C che costruisce fabbiche negli alvei dei fiumi, edifici sulle frane, tunnel in falda, viadotti su zone di faglia il tutto senza saperlo, non c’era da aspettarsi tanto di diverso.

  2. giovanni p.

    Poco da aggiungere
    1) E’ sempre colpa dell’uomo
    2) Sembra che il vucanetto abbia nel frattempo già immesso nell’atmosfera 20 tonnellate do CO2 ( letto su internet sarà vera la stima quantitativa?) quindi ci si attende un riscaldamento locale (ALW) della zona di Fiumicino che diventerà un aeroporto stile Dubai

    Peccato come al solito non si pensi che
    1) Le trivellazioni c’entrano poco nulla visto ch ein ogni caso la pressione dei gas non puo continuare ad aumnetare all’infinito e dunque una valvola di sgfogo deve comunque esistere
    2) Nonstante il substrato da super vulcano attivo o quiescente l’unico problema é non fare trivellazioni che buchino il sacco esplosivo, poco importa poi se su quel sacco ci si voglia costruire un aeroporto, un porto o magari un bel centro commerciale multipiano.

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