Qualche giorno fa Andrew Montford (Bishop Hill) ha rilanciato un interessante articolo di Eduardo Porter, giornalista del New York Times. Porter fa sostanzialmente due conti, andando a calcolare quale dovrebbe essere il costo della tonnellata di CO2 in relazione ai disastri paventati qualora gli scenari di riscaldamento prospettati dai modelli climatici dovessero avverarsi, per far sì che l’investimento nella mitigazione di questi disastri si riveli redditizio.
Salta fuori un costo esorbitante, superiore alle quotazioni attuali della CO2 che vengono dal mondo reale, di oltre un ordine di grandezza e molto superiore anche le più rosee (e mai verificatesi) prospettive delle proiezioni su cui si è basato lo sviluppo del mercato di scambio dei crediti di emissione. Si pone dunque un problema di ordine ideologico: assumendo che le origini delle dinamiche del clima più recenti siano antropiche e assumendo anche che si possa riparare il danno, che genere di ritorno in termini di danni evitati dovrebbe avere l’investimento nella mitigazione? Gli intendimenti sono andati sin qui nella direzione del ‘costi quel che costi’ ottenendo davvero poco, il mercato, cioè il mondo reale, pretende invece che l’investimento sia redditizio in modo soddisfacente. Leggiamo:
La stima di 65 dollari la tonnellata è ispirata da una presa di posizione morale: se il riscaldamento dovesse imporre un costo pari all’1% del reddito globale, dovremmo spendere circa l’1% del nostro reddito per prevenirlo – o magari poco meno tenendo conto del fatto che la gente tra 100 anni sarà ben più ricca di oggi.
Per contrasto, un prezzo di 13,50 dollari alla tonnellata viene dal mondo degli affari. Essa richiede essenzialmente che la spesa per prevenire il cambiamento climatico debba garantire almeno un ritorno, in termini di riduzione del danno da riscaldamento, pari ad ogni altro investimento di capitali.
Le due proiezioni conducono a decisioni interamente differenti. L’interpretazione dell’approcio morale data dai governi implica che sia corretto investire in ogni azione che riduca le emissioni che abbia un ritorno almeno del 2,5% in termini di danni evitati. La logica degli affari suggerisce che non dovrebbe essere fatto alcun investimento – al netto delle tasse – che abbia un rendimento inferiore al 5%.
E poi…
…quello che i cittadini americani e il mondo degli affari saranno chiamati a sostenere è probabile che sia molto poco – perché probabilmente prevarrà la logica del mercato.
Più sfide competono per le risorse mondiali, dallos viluppo economico all’eradicazioen della povertà, dell’AIDS e della malaria. Il clima non è l’unica priorità del pianeta. Anche qualora dovessimo essere d’accordo che migliorare il benessere delle future generazioni merita un enorme investimento, potrebbero esserci cose migliroi in cui investire che ridurre le emissioni di gas serra.
Bingo. Sir Stern, che con il suo report del 2006 fece entrare la ‘questione climatica’ nei salotti buoni della finanza mondiale iniziando l’era del ‘costi quel che costi perché poi costerà molto di più’, è pregato di accomodarsi all’uscita. E con lui i temi climatici, ancora tutt’altro che definiti, che magari rientreranno nel dibattito scientifico e lasceranno quello politico e sociale, fratellanza che non sembra abbia portato niente di buono.
Una voce isolata quella di Porter? A parte il fatto che scrivendo sul NYT è probabile che lo abbia letto più di qualcuno anche tra quanti in genere le policy le fanno, non le subiscono come i comuni mortali, a corroborare a tesi della discesa dei temi climatici nella speciale classifica delle catastrofi prossime venture-possibili-eventuali etc etc, c’è anche il parere (richiesto?) di un gruppo di ‘esperti della fine del mondo’ (basta ridere per favore…) formatosi in quel di Cambridge con lauti investimenti privati. Scienziati con molti titoli e di molte discipline che si sono riuniti per dirci quali sono i rischi più seri che corre l’umanità, oltre naturalmente a quello connesso con l’esistenza del gruppo…
Ecco dunque da corriere.it la classifica:
GLI SCENARI – Questi i nove possibili scenari apocalittici evidenziati dagli studiosi:
1 – tecnologia intelligente: una rete di computer potrebbe sviluppare una mente propria e usare così le risorse per i propri scopi, a spese dei bisogni dell’umanità
2 – attacchi informatici: il mondo moderno è basato e si gestisce grazie a un sistema d’interconnessioni e se queste dovessero collassare a causa di un attacco terroristico, la paralisi sarebbe totale
3 – bioterrorismo: se un supervirus o un batterio per il quale non c’è antidoto sfuggisse al controllo di un laboratorio o venisse rilasciato dai terroristi, porterebbe alla morte di milioni di persone
4 – sabotaggio dell’approvvigionamento alimentare: oggi non si tende più a fare scorte di cibo e se ci fossero problemi alle reti che controllano la distribuzione degli alimenti, scoppierebbero tumulti nel giro di 48 ore
5 – condizioni climatiche: la Terra sta continuando a riscaldarsi e gli esperti temono che presto si arriverà al punto di non ritorno, con conseguenze facilmente immaginabili e catastrofiche
6 – pandemie: i viaggi aerei sempre più frequenti rischiano di scatenare una rapida diffusione di nuovi virus-killer, mutati dagli animali, che possono spazzare via milioni di persone prima che venga scoperto un vaccino per fermarli
7 – guerra: la crescita demografica ha messo in pericolo le risorse di cibo e acqua e così nei prossimi decenni le nazioni andranno in guerra per difenderle o conquistarle
8 – apocalisse nucleare: le nazioni che dispongono della bomba atomica lanciano attacchi mirati, che possono comportare milioni di perdite umane. Un altro pericolo è rappresentato dal fatto che le testate nucleari possano finire nelle mani di terroristi
9 – impatto di un asteroide: un gigantesco asteroide è ritenuto responsabile dell’estinzione dei dinosauri sulla Terra e anche il genere umano potrebbe fare la stessa fine.
Dunque, il rischio maggiore pare sia qualcosa tipo Al 9000 di 2001 Odissea nello Spazio. Roba vecchia, anche lì quel che restava della specie umana finiva per averne ragione. A seguire varie amenità, con il clima incredibilmente quinto, non sul podio e nemmeno medaglia di legno. Non so se sia cambiato il clima e perché, ma di sicuro è cambiato il vento!
Qualche giorno fa l’editoriale del prof. Sartori (che ha fatto dire a qualcuno dei soliti noti 🙂 che dopo una certa età sarebbe meglio togliere il diritto di parola alle persone), ora l’articolo citato da F. Giudici. Mi sa che l’anno prossimo il premio che i “salvatori del mondo” destinano allo scettico più impertinente, è già ipotecato! 🙂
Ciao, Donato.
Ancora: http://www.ordingbo.it/rassegnastampa/2013/centro_studi_cni_2013_09_19.pdf (articolo a pag. 6 del PDF, di Taino dal Corsera; un po’ scomodo, ma per ora non ho trovato un link semplice all’articolo integrale).