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Ad ognuno il suo (negazionismo)…

Non so perché abbia deciso di mettere tra parentesi una parte del titolo di questo post, ma direi che ci sta. E’ un termine troppo brutto per aver diritto a pari opportunità editoriali. Eppure mi tocca usarlo. A quanto pare, dopo essere stato malignamente coniato dai più ferventi attivisti del movimento-salva-pianeta per colpire i non allineati, e dopo essere stato maliziosamente sdoganato da chi dice di essere meno fervente e più buono, ma di non sapere in quale altro modo appellare chi non si schiera tra i crociati del clima, ora ci sono dei negazionisti anche tra le fila dei salvatori.

 

A sostenerlo è Naomi Klein attivista ambientale di lungo corso nonché autrice di libri dai titoli e contenuti inequivocabili, insomma, una di loro. Lo leggiamo attraverso il post di Judith Curry. Ma cosa negherebbero esattamente costoro? Molto semplice, continauno a negare di aver ideato, favorito e sostenuto – ignorando la scienza e il buon senso comune – delle policy climatiche di specifica natura finanziaria che hanno fallito su tutta la linea, non intaccando la concentrazione di CO2 di una singola molecola, e si sono per di più dimostrate per quello che i loro oppositori, gli orridi negazionisti climatici, hanno sempre detto che erano: un affare colossale per le corporazioni, un elemento di enorme pressione per la l’economia e un generale fallimento. Alla base di questa ‘cecità’, secondo la Klein, ci sarebbe qualcosa che sta conducendo le multinazionali dell’ambiente alla disfatta, ovvero lo scollamento tra la dirigenza, perfettamente a proprio agio negli ambienti propri delle multinazionali, e la base, dove risiedono invece le convinzioni a quanto pare spesso ignorate o disattese.

 

 

Tutte cose che abbiamo detto mille volte, anche sulle nostre povere piccole pagine di scettici. Semplice buon senso, che a quanto pare però qualcuno si ostina a negare. Come scritto nel titolo, ad ognuno il suo.

 

Tanto per farci un’idea di quanto utopico e sbagliato possa essere aver insistito su policy insostenibili per generare un mondo sostenibile, possiamo andare a leggere un articolo di Roger Pielke jr uscito su Foreign Policy e ripreso sempre dalla Curry sul suo blog.  Secondo Pielke i giorni dell’entusiasmo del Protocollo di Kyoto e delle conferenze climatiche a ripetizione sono finiti, né mai torneranno nella forma in cui li abbiamo conosciuti soltanto pochi anni fa. Il clima attorno al clima si è molto raffreddato e, soprattutto, è apparso chiaro che una adeguata crescita del PIL (GDP nel resto del mondo) non è negoziabile. E questo è attualmente impossibile che si concili con dei target di diminuzione delle emissioni che prevedono un livello di decarbonizzazione irragiungibile. A meno che, con l’attuale fabbisogno energetico mondiale soddisfatto al 10% da risorse che non generano emissioni e con la ‘volontà’ di stabilizzare intorno a 450ppm la CO2 presente nell’atmosfera per il 2050, non si accenda una centrale nucleare al giorno – tutti i giorni – da qui a quella data. A Naomi Klein, giustamente, verrebbe un coccolone!

 

E quindi? Quindi innanzi tutto c’è da rivedere un paradigma. Non è l’energia sporca che deve costare di più, perché questo ha l’effetto immediato di far cadere le teste di chi prende la decisione e quello collaterale di ammazzare l’economia, quanto piuttosto è quella pulita che deve costare di meno. L’esempio, che comunque non può durare in eterno e non può essere applicabile a tutti per ovvie ragioni di disponibilità della risorsa, è quello del boom del gas naturale negli Stati Uniti, giunto per effetto dello sviluppo della tecnologia del fracking. Gli USA, che non hanno mai ratificato il Protocollo di Kyoto, sono il paese occidentale che ha diminuito di più le emissioni, molto di più di quanto non sia accaduto in Europa, dove i target imposti a furia di editti sono stati raggiunti soprattutto per effetto della crisi economica e della conseguente riduzione della produttività. Tutte cose delle quali si sarebbe fatto volentieri a meno.

 

E poi? Poi, scrive sempre Pielke, ma non è certo l’unico e mi piace pensare che ne abbiamo parlato anche noi tante volte, la soluzione potrebbe essere quella di concentrare gli sforzi su aspetti climatici e ambientali che non abbiano assunto una connotazione politica così accentuata, fare le cose insieme piuttosto che farle contro. Uso del suolo, urbanistica, emissioni di particolato etc etc…

 

Utopia? Chissà. Magari se il clima continuerà a dare una mano, mostrando ogni giorno che passa che non è di CO2 che morirà la nostra civiltà, ci sta che insieme al pianeta si raffreddino anche gli animi. Questo però ci riporta al pensiero della Klein: che cosa faranno quelli che sull’attivismo e la contrapposizione hanno costruito la loro fortuna?

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Published inAttualità

4 Comments

  1. Teo

    Si chiama “treno di ritorno”. È fatto di frasi come … “Non avevamo detto esattamente questo”, “nessuno ha mai voluto imporre”, “anche noi si sosteneva che i modelli”… Insomma non solo nessuno sarà babbo nella sconfitta ma neppure per 20 anni ci fu una guerra. Lo dicevamo con Luigi Mariani che quando verrà il momento il nuovo carro dei vincitori sarà pieno delle stesse persone che erano passate all’andata e…spostarsi in fretta…altrimenti ci travolgerà! Ieri le temperature erano inarrestabili, oggi siamo tutti d’accordo che hanno una crescita più contenuta, domani un modello ci spiegherà la stazionarietà, e chissà, forse dopodomani avremo dei nuovi profeti del calo e che probabilmente saranno gli stessi profeti di oggi (tra di loro milita un esempio notevole).
    Il problema sarebbe semplice: basterebbe che qualcuno dicesse che ha preferito la politica alla scienza, ma poi si dovrebbe fare da parte…nooo e perché farsi da parte ?

    • donato

      Farsi da parte? No! Non si usa da nessuna ….. parte. 🙂 🙂
      Ciao, Donato.

  2. donato

    Ho seguito i link e sono arrivato all’intervista a Naomi Klein da cui prende spunto il post.
    http://www.salon.com/2013/09/05/naomi_klein_big_green_groups_are_crippling_the_environmental_movement_partner/singleton/
    L’analisi della Klein è molto circostanziata e piuttosto approfondita: essa individua in modo chiaro ed inequivocabile il limite delle attuali politiche di lotta alle emissioni di CO2 e dello stesso protocollo di Kyoto. N. Klein, nella sua intervista, contesta in modo radicale tutte le politiche sino ad oggi poste in atto e ne certifica il fallimento totale. Il suo ragionamento è lineare e, sotto alcuni punti di vista, anche condivisibile: le politiche basate sul cap-and-trade si sono rivelate profondamente sbagliate sia dal punto di vista economico e sia dal punto di vista etico.
    Comprare il diritto di emettere più anidride carbonica attraverso l’emissione di certificati verdi non ha determinato alcuna riduzione delle emissioni e le misurazioni della concentrazione di CO2 in atmosfera lo attestano al di là di ogni ragionevole dubbio. I paesi ricchi del nord del mondo hanno scaricato sui cittadini i maggiori oneri derivanti dall’utilizzo delle fonti fossili (per l’acquisto di certificati verdi) o dagli incentivi per le rinnovabili, ma hanno continuato ad emettere. I paesi emergenti esclusi dalle limitazioni del protocollo di Kyoto, dal canto loro, hanno addirittura aumentato le loro emissioni. Tutto si è concretizzato in un giro vorticoso di soldi di cui hanno beneficiato non i cittadini, ma le grosse imprese.
    La creazione di pozzi di carbonio (il corrispettivo dei certificati verdi venduti ai paesi inquinatori) ha determinato, inoltre, grossi problemi di natura etica in quanto ha riversato sulle popolazioni locali (per la maggior parte indigene) gli oneri connessi alla sorveglianza stretta cui le aree verdi sono state sottoposte dalle autorità locali. In Brasile, per esempio, la necessità di tutelare vaste aree di selva destinate a pozzi di carbonio o destinate alla conservazione della biodiversità ha prodotto l’estromissione delle popolazioni indigene ivi stanziate da secoli e secoli.
    A corollario di tutto ciò non bisogna dimenticare che il gigantesco “piano Marshall verde” che doveva riversare sui paesi del sud del mondo gli aiuti “compensativi” provenienti dei paesi del nord del mondo, non si è proprio visto.
    Le popolazioni, da parte loro, si sono rese conto del fatto che queste scelte di politica “ambientale” sono state possibili grazie all’acquiescenza delle elites socio-culturali che caratterizzano i vertici delle grandi associazioni ambientaliste che, pertanto, vengono considerate corresponsabili dei problemi che le affliggono alla stessa stregua delle grandi multinazionali che continuano ad inquinare il mondo in modo “verde” e, contestualmente, riversano su di esse i costi enormi delle politiche di “contenimento” delle emissioni.
    La Klein va addirittura oltre e prevede che nel futuro il cambiamento climatico, non contrastato fino ad oggi (sic!), costringerà a mettere in atto le tecniche di geo-ingegneria attualmente allo studio per contrastarne gli effetti: il tutto ancora a scapito della popolazione e con il beneplacito delle elites socio-culturali che guidano i grandi gruppi ambientalisti.
    Certificato il fallimento delle attuali politiche di contenimento delle emissioni, la Klein si lancia in un’appassionata (ed utopica, secondo me) difesa delle nuove forme di contrasto delle politiche industriali ed economiche globali e/o neo-liberiste. In questo, però, evidenzia tutto un armamentario ideologico che mi lascia piuttosto perplesso e che riecheggia le manifestazioni NO-TUTTO cui siamo tristemente abituati dalle nostre parti.
    In questa parte dell’intervista, in particolare, mi ha colpito la somiglianza delle idee della Klein con quelle esposte in un libro e che abbiamo avuto occasione di commentare qui su CM:
    http://www.climatemonitor.it/?p=30370.
    In questo libro viene illustrato un concetto piuttosto interessante: la transizione dal basso. Gli autori, Alberto Zoratti e Monica di Sisto, analizzavano quei fenomeni di nicchia che anche la Klein ha individuato e che, secondo loro, rappresentavano i semi che, in presenza di una situazione politico-sociale ed economica favorevole, avrebbero consentito il passaggio dall’attuale società ad una società improntata a valori diversi: più solidarietà, più sostenibilità, più ambiente, più benessere, meno finanza, meno globalità e più localismo (anche se collegato in rete), insomma un nuovo sistema sociale, politico ed economico che nascesse spontaneamente dal basso e si aggregasse spontaneamente in un sistema complesso. La cosa mi lasciò piuttosto perplesso e, dopo aver letto le opinioni di Naomi Klein, non ho cambiato idea.
    Ciao, Donato.

  3. Fermi tutti! Qui non si parla di dubitare che qualcosa avverrà nel 2080. Qui si parla di qualcosa che è già successo. E chi lo nega è per definizione negazionista senza virgolette o parentesi.

    Il fatto che i conformisti climatici abbiano tentato di sequestrare un concetto criminali e criminogeno per i loro idioti fini non significa che dobbiamo cambiare la lingua italiana.

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