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C’è del marcio in Danimarca

Ma che curiosa analogia! La citazione originale dall’Amleto di Shakespeare recita così: “Something is rotten in the state of Denmark”. L’autore all’epoca si riferiva a fatti politici del Regno di Danimarca, ovviamente, ma l’uso del termine “rotten” coincide con l’aggettivo con cui negli ultimi anni è stato definito il ghiaccio artico. Letteralmente si dovrebbe tradurre con “marcio”, che nella fattispecie del ghiaccio indica instabilità piuttosto che compattezza e quindi indebolimento con grande predisposizione allo scioglimento. Ma possiamo andare oltre con il maltrattamento della citazione di Shakespeare. In Danimarca pare ci sia anche del marcio tra quanti si occupano di studiare le dinamiche del ghiaccio stesso. Il rappresentante generico medio del mainstream scientifico, convinto che il ghiaccio marino del Polo Nord sia ormai in una spirale di morte e che questo sia in larga misura da attribuire al contributo antropico alle dinamiche del clima, non esiterebbe a definire rotten quello che abbiamo scovato. Ancora una volta però il marcio si annida in ambienti istituzionali, addirittura nel DMI, il Danish Meteorological Institute, al quale vada come vada, è davvero difficile attribuire un conflitto di interessi con le multinazionali del petrolio.

 

 

E non si tratta neanche di prove fresche, anzi. Nel 2005 il DMI ha pubblicato uno studio compiendo una autentica eresia, mettendo cioè in relazione l’estensione dei ghiacci artici visibili dalle coste dell’Islanda con la lunghezza dei cicli solari. Le serie storiche sono entrambe piuttosto lunghe, in grado di coprire la metà dell’ultimo millennio. La prima è nota come Koch ice index (l’omonimia con perfidi petrolieri Koch è quanto meno ironica direi) e pur non essendo una serie lineare  e risultando rappresentativa per un’area piuttosto ristretta, data la sua lunghezza può comunque essere impiegata per studi di lungo periodo. Oltretutto, circa il ghiaccio artico, di dati che vadano più indietro dell’era satellitare, cioè risalenti a più di 3/4 decadi fa ce ne sono davvero pochi e quindi occorre arrangiarsi con quanto disponibile. La seconda, pur soffrendo al pari della prima di una netta evoluzione del metodo di osservazione, ha il pregio di essere ormai consolidata nella letteratura scientifica.

 

Beh, dalle analogie passiamo a delle coincidenze. La correlazione tra le due serie, che comunque non implica necessariamente un rapporto causale, è piuttosto alta, R=0,67. Innsomma i dati vanno a braccetto, come dimostra chiaramente la figura qui sotto che tra l’altro apre lo studio del DMI.

 

SC_vs_Ice

 

 Leggiamo dall’abstract:

 

L’estensione del ghiaccio nel Nord Atlantico varia nel tempo a scale temporali che giungono sino al centennio e la causa di queste variazioni è argomento di discussione. Si considera il Koch ice index che descrive la quantità di ghiaccio avvistata dall’Islanda nel periodo 1150 – 1983. Questa misura dell’estensione del ghiaccio è una misura imprecisa e non lineare dell’ammontare del ghiaccio nel Mar di Groenlandia, ma fornisce una visione generale dell’ammontare del ghiaccio per un periodo di più di 800 anni. La lunghezza dele serie consente di apprezzare la variabilità naturale dell’estensione del ghiaccio, una comprensione che può essere utilizzata per valutare le variazioni del giorno d’oggi. Si trova che la diminuzione del ghiaccio osservata di recente nel Mar di Groenlandia potrebbe essere collegata al termine della cosiddetta Piccola Età Glaciale dell’inizio del ventesimo secolo. Abbiamo anche valutato la variabilità di circa 80 anni del Koch ice index e l’abbiamo comparata alla simile  periodicità riscontrata nella lunghezza dei cicli solari, che è una misura dell’attività solare. Si trova una una elevata correlazione (R=0,67) di alta significatività statistica (0,5% di probabilità di occorrenza) tra le due serie, fatto che suggerisce un collegamento tra l’attività solare e il clima dell’Oceano Artico.

 

Qualche caveat d’obbligo oltre quelli già citati. I dati terminano nel 1983, ossia appena 4 anni dopo l’inizio dell’era satellitare, quella in cui è stata rilevata una drastica riduzione dell’estensione del ghiaccio. Nella serie si notano periodi in cui l’estensione del ghiaccio (Koch ice index=linea continua, SLC=linea tratteggiata) è stata anche molto inferiore a quella della fine della serie. Sarebbe interessante vedere se e quanto la correlazione dovesse continuare ad essere elevata aggiungendo dati più recenti. Tempo però che i dati del Koch ice index non ci siano e utilizzarne altri non avrebbe molto senso.

 

Resta il fatto che ancora una volta l’idea di uno statu quo immoto nel tempo non regge. L’estensione del ghiaccio nel mar di Groenlandia ha sempre avuto una elevata variabilità e, se ci fate caso, le inversioni di tendenza sono sempre state molto drastiche, con pendenze della curva molto accentuate, cioè a scala temporale paragonabile a quella delle ultime decadi. Tutto questo non significa che si debba escludere che nelle dinamiche recenti del ghiaccio artico ci sia anche un contributo antropico, non si può escluderlo perchè non lo sappiamo. Desta meraviglia semmai il contrario, cioè che si sia escluso a priori che potesse esistere una variabilità naturale anche molto accentuata e che questa potesse in qualche modo essere riconducibile all’attività solare, magari attraverso le dinamiche della circolazione marina ed atmosferica piuttosto che alle temperature. Sappiamo bene inoltre che le simulazioni climatiche hanno largamente sottostimato la diminuzione del ghiaccio artico delle ultime decadi (così come hanno sottostimato anche l’aumento di quello antartico…) e non penso proprio che possano tener conto di questi fattori, anzi, per quel che ne sappiamo il sole è poco più di una pietra nei modelli climatici, fermo nel tempo e nello spazio. Forse, per riuscire a separare e quindi valutare e comprendere l’eventuale segnale antropico nel comportamento del ghiaccio, sarebbe il caso di iniziare a provare a tener conto di questi fattori. Certo, questo limiterebbe le analisi al passato, perché per quel che ne so le previsioni sulla lunghezza dei cicli solari sono più inattendibili di quelle climatiche, ma almeno forse si riuscirebbe a capire cosa è accaduto e perché, visto che la spiegazione che va tanto di moda non sembra funzionare un gran che.

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Published inAttualitàSole

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