Siamo ormai in piena estate, tra sette settimane circa entreremo nel range della minima estensione del ghiaccio marino artico. Attualmente, dopo una prima fase del mese di luglio in cui c’è stata una diminuzione molto rapida della superficie coperta dai ghiacci, favorita dalla persistenza di un vasto anticilone sulle latitudini settentrionali, il rateo di scioglimento, complice una discreta ripresa della zonalità, ha subito un rallentamento. Nel complesso, pare che quest’anno le cose vadano un po’ meglio dell’anno scorso, sebbene l’anomalia dell’estensione del ghiaccio marino sia decisamente negativa.
Le prossime settimane saranno tuttavia cruciali, non già perché si pensi o ci si aspetti chissà quale repentino riscaldamento, quanto piuttosto perché, come è accaduto anche in anni molto recenti, vedi 2009 e 2012, l’eventuale formazione e passaggio in area artica di intense depressioni potrebbe incidere molto sul computo della minima estensione annuale. Già, perché malgrado intuitivamente sia facile pensare il contrario, le oscillazioni interannuali dell’estensione della superficie marina ghiacciata non sono un prodotto delle temperature. In sostanza, non è il caldo a far sciogliere il ghiaccio, anche perché, estate o no, a quelle latitudini le giornate con temperature superficiali superiori a 0°C sono davvero poche. Nelle ultime settimane, tra le altre cose, la temperatura in area artica è stata in anomalia negativa, come mostra piuttosto chiaramente l’immagine qui sotto. Attenzione però, i dati vanno presi con le molle perché sono molto grossolani. Non si tratta di una vera e propria osservazione, quanto piuttosto della media di output modellistici messa a confronto con la rianalisi del dataset ERA40 del centro di ECMWF (qui per approfondire).
Il segreto delle dinamiche dei ghiacci è piuttosto nella circolazione atmosferica e nelle correnti marine, la prima, come appena accennato, perché può essere causa di ventilazione sostenuta in uscita dal polo con conseguente dispersione verso latitudini più basse del ghiaccio già indebolito dal progresso della stagione, le seconde perché possono – come di fatto è avvenuto specialmente negli ultimi anni – essere all’origine di un consistente trasporto di acque più temperate verso le alte latitudini, fatto questo che indebolisce il ghiaccio dal basso, esponendolo al rischio degli agenti atmosferici. Naturalmente questi fattori, come tutte le dinamiche climatiche, hanno una variabilità che occupa molte frequenze e sono anche strettamente correlati. Se la singola tempesta può essere all’origine di un minimo storico dell’estensione dei ghiacci come avvenuto nel 2012 (fatte salve le precondizioni di estensioni comunque in diminuzione), la frequenza con cui questi eventi si manifestano può variare nel medio e nel lungo periodo al punto di avere un impatto anche nelle comportamento del ghiaccio marino alla stessa scala temporale.
In questi giorni, a parte alcune amenità e qualche sonora fesseria diffusa dai soliti media faciloni di cui per esempio abbiamo avuto riprova in questo commento, stanno circolando alcuni articoli interessanti in ordine ale recenti dinamiche del ghiaccio marino. In questa pagina segnlatami da un amico, alcuni esperti del settore confermano la dipendenza dei ghiacci dalla circolazione atmosferica, a riprova del fatto che il collegamento diretto con l’aumento delle temperature medie superficiali è tutt’altro che semplice. Se invece così fosse, sarebbe davvero difficile spiegare come mai mentre il ghiaccio artico galleggia attorno ad estensioni minime, quello antartico ha quasi raggiunto un’anomalia positiva di circa un milione di chilometri quadrati. Su Science Daily poi, è uscito il commento ad una recente pubblicazione scientifica in cui si sarebbe fatta un po’ di luce sulle dinamiche del clima di parecchi milioni di anni fa (i riferimenti bibliografici sono qui). Si parla del Pliocene, un’epoca in cui la concentrazione atmosferica di CO2 era simile a quella attuale (non chiedetemi perché visto che non avevo la petente), ma le temperature, almeno stando a quanto ricostruito con i dati di prossimità, sarebbero state parecchio più alte, da 2 a 5°C in più della media attuale. Letteralmente cancellando dal loro modello climatico il ghiaccio artico sia in estate che in inverno e regolando i parametri necessari ad ipotizzare i relativi possibili (conosciuti) feedback conseguenti, hanno in effetti ottenuto le giuste temperature. In sostanza, con 400 ppm di CO2 e senza ghiaccio artico il mondo andrebbe verso la calura. Già vista, ma sempre calura.
Uhm…1) Cosa portò la CO2 a 400 ppm allora? Perché il ghiaccio sarebbe diminuito al punto di non riuscire più a formarsi in inverno? Cosa succedeva nel frattempo nell’emisfero sud, ovvero nell’area coperta dai ghiacci antartici? Quando, come e perché, nonostante la calura il ghiaccio avrebbe ripreso a formarsi e le temperature a scendere? Domande interessanti non è vero? Ce n’è ancora di roba da capire…
Le domande a fondo articolo non sono solo interessanti, ma anche affascinanti. Penso che, fatto salvo gli scienziati manipolati da lobby/FinanziamentiFacili/Notorietà, siano le domande che spingono i ricercatori “del clima” a fare il loro lavoro, bene.
Articolo molto interessante!
Grazie Ten. Col.