Un semplice click per oggi. Lo facciamo sull’immagine qui sotto, un’aggiornamento al lavoro di Nicola Scafetta di cui abbiamo parlato qualche giorno fa. Si tratta di una comparazione diretta del modello astronomico/solare con i modelli CMIP5. Il click serve ad ingrandirla, se non fosse già abbastanza eloquente.
NB: a questo link su WUWT, Willis Eschenbach ha attaccato severamente il lavoro di Nicola Scafetta. I suoi argomenti sono a mio parere piuttosto peconcetti ma, per completezza di informazione, vi invito a leggere la sua opinione.
[…] Su climatemonitor c’e’ stata una interessante discussione “Il click della domenica“. […]
Un rapido commento, generico e generale (non so se fuori tema). Credo che, nelle discussioni sui “cambiamenti climatici”, sia da parte di alcuni esperti, che da parte di alcuni appassionati, si sia fatta una certa confusione anche tra statistica e fisica: la statistica è uno strumento, che se ben usato, può essere utile a descrivere i fenomeni fisici; ma non è essa stessa la base “solida” di una teoria, finché non si trovi una relazione fisico-matematica che leghi cause ed effetti. Una correlazione che non trova un modello sperimentale (e, aggiungerei, sperimentato), rimane una – mi si perdoni il termine poco ortodosso – coincidenza. Noi non possiamo limitarci a sospettare che X implichi Y (con o senza Z) perché alcuni indizi portano in quella direzione: dobbiamo anche provarlo. Non però in un’aula di tribunale (dove potrebbero anche bastare indizi e congetture…) ma nelle aule e nei laboratori delle università e dei centri di ricerca.
Tolomeo aveva elaborato il suo sistema geocentrico sulla base delle osservazioni, sulla base del senso comune. Successivamente aveva cercato di modellare in maniera matematica le sue intuizioni fisiche (largamente condivise, tra l’altro). Per fare ciò aveva concepito il complesso sistema degli epicicli basati su circonferenze che giravano attorno ad altre circonferenze. Il modello matematico non aveva alcuna attinenza con il modello fisico, però, aveva il grande, enorme pregio di consentire di prevedere i movimenti degli astri e, cosa estremamente interessante per i secoli successivi, le eclissi di luna e di sole, i transiti planetari e via cantando.
Il modello matematico basato sugli epicicli, sopravvisse per diversi secoli fino a che Tito Brahe e Keplero, sempre sulla base delle osservazioni, notarono che alcune previsioni non erano verificate con esattezza (errore nel modello, diremmo oggi). Da qui le ipotesi che portarono Copernico e Keplero all’elaborazione di un nuovo modello matematico basato su orbite ellittiche e con il sole al centro di tutto. Fu, infine, Newton a modellare con una relazione matematica sintetica ed elegante il principio fisico su cui si basava il sistema copernicano. Tale modello, però, entra in crisi con il problema del moto di Mercurio e dobbiamo aspettare Einstein e la teoria della relatività generale per risolvere in maniera grossolana lo iato tra previsioni ed osservazioni e la fine degli anni ’70 del secolo scorso per poter calcolare in modo sufficientemente preciso la precessione del perielio di Mercurio. E non è detto che siamo giunti alla fine del percorso! 🙂
Questa introduzione, alquanto lunga e che sicuramente a qualcuno darà fastidio in quanto potrebbe dare l’impressione di una certa saccenteria da parte dell’autore 🙂 , mi serve per inquadrare il modo in cui io concepisco il lavoro di N. Scafetta nel contesto più generale del problema climatologico attuale.
Mi sembra che Fabrizio Giudici abbia sintetizzato in modo perfetto la problematica e, personalmente, condivido la sua analisi. Ad essa aggiungo una considerazione personale: se un modello riesce a prevedere la realtà mentre altri non lo fanno, il modello “che prevede”, per quel che mi riguarda, è da preferire a quelli che “non prevedono”. Nei vari articoli scientifici che andiamo scorrendo in questi tempi tutti gli autori, indistintamente, si concentrano sulla corrispondenza tra previsioni e realtà: nel caso del livello del mare che seguo con maggiore attenzione, per esempio, il dr. Ralmstorf, Tamino e tanti altri cercano di porre in evidenza l’accordo tra previsioni ed osservazioni e la discussione è tutta incentrata sulle differenze tra previsione ed osservazione. Il prof. A. Pasini ed i suoi coautori, dal canto loro, hanno applicato i modelli econometrici e la causalità di Granger ai problemi climatologici giungendo a dimostrare la causalità grangeriana della temperatura rispetto alla concentrazione di CO2.
Tutti i modelli, però, si debbono confrontare con la realtà e se falliscono la verifica sperimentale, come è sempre successo nelle applicazioni scientifiche, dovranno essere cambiati in parte o in toto.
Per ora un modello empirico (Scafetta) basato su sei parametri principali ed altri secondari, riesce a simulare la realtà meglio di modelli fisici (GCM) basati su un unico parametro (la concentrazione di CO2) e diversi altri parametri secondari (forcing naturali e/o antropici).
Una legge fisica è tale se riesce a prevedere in modo esatto il comportamento di un sistema reale. Se un modello riesce a simulare la realtà può considerarsi utile, anche corretto sotto certi punti di vista. Se poi le capacità predittive del modello sono tali da superare ogni verifica osservazionale o sperimentale, il modello assurge al rango di legge (fino a prova contraria, però -:) ). Questo è successo a Tolomeo, a Copernico, a Newton e questo succederà anche ai modelli di cui discutiamo oggi. Il discrimine, quindi, è l’aderenza tra le capacità predittive del modello e la realtà.
Per adesso il modello di N. Scafetta sembra convergere meglio di altri modelli. La convergenza è solo casuale? Non lo si può dire a priori, bisogna sperimentare, osservare e vedere che cosa succede nel futuro. E questo vale per i GCM, per le estrapolazioni basate sui dati di prossimità e anche per il modello di N. Scafetta.
Ad oggi mi sento di dire che i GCM, pur basati su un nocciolo duro fisico-matematico, se ne vanno per i fatti propri; il modello di N. Scafetta, pur basato su ipotesi fisiche piuttosto controverse (per usare un eufemismo 🙂 ),
e su aspetti matematici che non sono deboli, ma poco sintetici e poco eleganti a sentire Eschenbach & soci, dà risultati migliori. Domani? Non lo so. Probabilmente le cose si invertiranno e i GCM avranno ragione su Scafetta, oppure (cosa molto più probabile, secondo me) la matematica del caos avrà ragione di entrambi gli approcci. Come al solito non ci resta che aspettare: chi vivrà, vedrà. 🙂
Ciao, Donato.
Qui no, ma nella vita di tutti i giorni (lavoro, mensa, bar, vita sociale …) se ne incontrano 🙂 ed è molto comodo avere un’obiezione che può essere espressa con un discorso completo di poche righe (e pochi minuti) come il contenuto di questa pagina, invece che tirare fuori tanti argomenti – per carità validi – che però richiedono ore di discussione. Ah, visto che userò questa pagina come link di riferimento, mi aggiungo un punto da ricordare: chi ha preteso di definire agende politiche sulla base di modelli sbagliati ha avuto pure la presunzione di affermare che quei modelli erano così precisi da poter definire le suddette politiche in funzione dei due gradi a fine secolo entro cui confinare il riscaldamento.
Già, termostati e carta bollata…
gg
Guido, il passaggio l’ho saltato apposta perché lì ci sono opinioni diverse: mi interessava innanzitutto “isolare” i punti su cui tutti sono d’accordo (come dice Maurizio, non mi pare Eshenbach abbia saltato un punto: ne contesta la validità). Il motivo è semplice: posso già trarne qualche conclusione. Assumendo per esercizio che Eshenbach abbia ragione , ci troveremmo con i modelli Scafetta che fittano i dati, ma non danno una valida spiegazione e i modelli IPCC che darebbero una spiegazione però a fatti inesistenti. Mi pare più che sufficiente per dimostrare che tutta la questione “variazioni climatiche” è ancora in alto mare ed è totalmente assurdo che detti l’agenda politica. E siccome questa conclusione si basa su fatti condivisi da tutti, vorrei proprio sentire cosa mi risponderebbe un AGWaro.
Se invece assumo per esercizio che Scafetta ha ragione, la variazione climatica sarebbe un fatto prevalentemente naturale, e per quanto riguarda la parte predittiva non ci sarebbero catastrofi in vista.
Ovviamente potrebbero saltar fuori modelli alternativi – suppongo che l’IPCC a questo punto sia costretta a tirarli fuori – quando ci saranno ne parleremo.
Fabrizio,
non sono sicuro che ci siano “seguaci” disposti ad affrontare l’argomento.
Per quel che riguarda i due approcci, che nessuno abbia ancora capito come funziona il sistema mi pare assodato, che ad oggi non possa essere poi replicato è ancora più chiaro, perciò trovo ineccepibile la tua considerazione sulle policy. Partendo dal presupposto che quelle di cui si dispone sono proiezioni di dubbia attendibilità (entrambe per diverse ragioni) l’unica cosa saggia sarebbe continuare a studiare e aspettare di avere qualcosa di solido per le mani. Approccio che però non è di questo mondo.
gg
Riscrivo il punto 2:
2. I modelli climatici dell’IPCC falliscono nella previsione quantitativa, comparata con l’andamento delle temperature dell’ultimo decennio.
Pensavo di non essere in grado di capire molto di questa discussione, ma gli ultimi post e questi forse mi hanno aiutato ad avere una comprensione almeno a grandi linee. Non so se Eschenbach ha ragione o torto, ma il suo post ha il merito di essere scritto molto bene e l’aneddoto di Fermi-Freeman chiarisce quali sono i metodi da usare per capire. Provo a vedere se riesco a riassumere un numero di asserzioni su cui tutti sono d’accordo:
1. I modelli climatici dell’IPCC sono basati su una chiara visione fisica, il forcing antropico; l’uomo produce CO2, e questa fa aumentare la temperatura.
2. I modelli climatici dell’IPCC falliscono nella previsione quantitativa, basati sull’andamento delle temperature dell’ultimo decennio.
3. Non c’è contestazione sulla misurazione delle temperature dell’ultimo decennio come riportate nel grafico.
4. Il modello di Scafetta si basa su un mix di forcing antropico (minoritario) e cicli multidecadali legati a fenomeni astronomici (maggioritari).
5. Il modello di Scafetta può vantare un migliore accordo con le temperature dell’ultimo decennio.
6. Eschenbach critica il modello di Scafetta perché ci sono troppi parametri (“con così tanti parametri si può modellare anche un elefante”) – quindi non c’è un modello matematico sufficientemente convincente – e non c’è una chiara visione fisica (il tentativo di spiegare i vari cicli con quelli dei pianeti eccetera sarebbero troppo deboli).
Fin qui capisco bene?
Fabrizio, capisci bene, ma salti un passaggio. Le ciclicità individuate nei lavori di Scafetta non saltano fuori dal cilindro, ma sono relative alle dinamiche dei corpi celesti e coincidono con le ciclicità delle serie di temperatura. Di qui la possibilità che siano questi cicli ad imporre delle oscillazioni alle serie di temperatura, cioè al clima.
In sostanza è lo stesso passaggio che ha saltato Eschenbach.
gg
Hmm… “Di qui la possibilità…” No, Eshenbach non l’ha saltato, e neppure Watts e Svalgaard, anche Monckton, mi pare.
La cosa che non accettano o contestano è la mancanza di una base fisica o matematica sufficientemente forte a supporto di quella correlazione oltre al fatto che il tutto è costruito su un tale grado di libertà nell’assegnazione dei parametri della modellazione ( la metafora dell’elefante) da renderla in qualche modo arbitraria.
Se prima di Newton qualcuno avesse tentato una modellazione delle maree, probabilmente sarebbe incorso nello stesso problema, indipendentemente dai risultati.
L’errore di Eshembach è stato quello di sfottere Scafetta e il suo lavoro, invece di criticarlo pacatamente.
Dalle critiche si viene fuori, dagli attacchi personali a volte no. Ma ormai la frittata è fatta…