Salta al contenuto

El Nino e il Global Warming, questioni di uova e di galline

Un paio di anni fa, forse anche tre, Roy Spencer ha pubblicato un libro in cui dice di essere convinto che l’errore più grosso che la moderna scienza del clima abbia commesso, sia quello di aver confuso i rapporti di causa effetto, ossia di attribuire tutta la responsabilità del riscaldamento delle ultime decadi del secolo scorso alla CO2 attraverso l’aumento del vapore acqueo in atmosfera. Secondo lui, una buona parte del riscaldamento potrebbe essere attribuito anche a piccole variazioni della copertura nuvolosa totale – ossia di vapore acqueo condensato. Sarebbe dunque la nuvolosità a modulare almeno una parte del riscaldamento e non il contrario.

 

 

In questi giorni si sta presentando quello che potrebbe essere un altro caso di confusione nelle relazioni causali. Sono usciti in rapida successione due studi sull’ENSO, cioè sulle oscillazioni della temperatura di superficie dell’Oceano Pacifico equatoriale, dinamiche che conosciamo con i nomi di El Nino (caldo) e La Nina (freddo). Il primo di questi è uno studio di paleoclima. Attraverso l’analisi di dati di prossimità dendrocronologici i ricercatori avrebbero ricostruito il segno dell’ENSO addirittura fino a 7 secoli fa, scoprendo – chi l’avrebbe mai detto – che gli eventi di El Nino delle ultime decadi del secolo scorso, tra cui figura quello super del 1998, avrebbero avuto un’intensità mai riscontratasi negli ultimi 700 anni. Questo, a loro dire, è un ulteriore elemento di conferma dei cambiamenti climatici di origine antropica. Più caldo il pianeta, più forte El Nino.

 

El Niño modulations over the past seven centuries

 

In realtà questo lavoro è un po’ un sasso nello stagno, perché a molti altri precedenti studi di paleoclima, non era stato necessario arrivare a 7 secoli fa ma era stato sufficiente partire dall’era post-industriale, per asserire che anche per la scarsità delle informazioni disponibili, non si riscontrava alcuna sostanziale variazione nelle dinamiche termiche della superficie di quella importantissima porzione di oceano. Questi dati proxy però forse aggiungono qualcosa, per cui, vale comunque il beneficio del dubbio. Ma vale tuttavia la pena sottolineare che è alquanto difficile che un dato vicario sia meglio delle osservazioni dirette e che, stranamente, in un contesto di pressione antropica tutt’altro che attenuata, da una decina d’anni a questa parte siamo entrati in un altro regime  delle acque superficiali del Pacifico. Regime che gli autori di questo paper, la cui ricerca si conclude con la fine del secolo scorso, non hanno pensato di includere nel loro discorso.

 

Ora, l’ENSO è un fenomeno complesso e altamente impredicibile che coinvolge quantità enormi di energia e, attraverso le acque del Pacifico equatoriale, è il principale fattore di regolazione della distribuzione del calore, specialmente con riferimento alla variabilità inter o intra annuale. Non è certamente un caso se il picco delle temperature medie superficiali del pianeta sia arrivato nel 1998 proprio in corrispondenza del super El Nino. Tutto il sistema poi, è soggetto ad oscillazioni a più bassa frequenza, più o meno trentennale, note come Oscillazione Decadale del Pacifico, fenomeno che tende a favorire una maggiore frequenza di di eventi caldi (El Nino) se in fase positiva e viceversa freddi se in fase negativa. Naturalmente, nelle ultime decadi del secolo scorso la PDO era in fase positiva, con il cambiamento di segno arrivato a metà degli anni ’70 e con una nuova successiva inversione nei primi anni di questo secolo. Il discorso quindi rischia di diventare circolare. E’ lo squilibrio positivo del bilancio radiativo delle ultime decadi del secolo scorso ad aver generato El Ninos più intensi (ammesso che sia così) o sono stati i ripetuti eventi di El Nino favoriti dalla PDO positiva ad aver contribuito all’aumento delle temperature?

 

Quale sia la risposta a questo quesito, risposta che gli autori identificano con la prima delle due possibilità, è chiaro che riuscire a prevedere (e non solo ricostruire) il comportamento dell’ENSO nel medio periodo è di sostanziale importanza. Sin qui i modelli climatici e gli approcci fenomenologici e statistici soffrono tutti della stessa malattia: si riesce a seguire più o meno bene l’evento una volta che si è innescato, ma nelle fasi neutre ci sono grandi difficoltà a capire se la situazione evolverà verso il caldo o verso il freddo. La capacità predittiva non riesce a superare il semestre e si riscontrano inoltre molte difficoltà con quella che viene definita la “barriera primaverile” dell’emisfero boreale.

 

Proprio con riferimento alle previsioni dell’ENSO, è stato recentemente pubblicato un altro studio in cui si dichiara di aver raggiunto la capacità di prevedere il segno dell’ENSO addirittura con anno di anticipo, superando quindi le difficoltà di cui sopra:

 

Improved El Niño forecasting by cooperativity detection (qui il pdf in pre-print)

 

L’approccio si potrebbe definire fenomenologico, nel senso che gli autori hanno studiato le relazioni (teleconnessioni) tra i punti nodali di un fitto network di osservazioni nell’area del Pacifico, costruendo un algoritmo che sembra avere buone capacità di riprodurre l’andamento di queste relazioni e sembra anche essere in grado di individuare i segnali di comportamenti che anticipano le fasi di innesco degli eventi di El Nino di oltre un anno. Lo studio è uscito sui PNAS, e gli autori dichiarano di aver “previsto” l’attuale prolungata fase di neutralità del segno dell’ENSO sin dal 2011, dove invece, proprio nel 2011, le tecniche di previsione modellistica prevedevano l’innesco di una fase calda per il 2012. Non è dato sapere se di qui a un anno avremo l’innesco di una nuova fase calda, perché gli autori non lo dicono, ma ho come il sospetto che se così fosse stato probabilmente lo avrebbero scritto. Ad ogni modo, questo nuovo approccio previsionale ha certamente due grossi pregi. Il primo è quello di essere interamente basato sulle osservazioni, mentre il secondo, comune a tutte le previsioni a breve-medio termine, è quello di essere facilmente verificabile nel giro di pochi mesi, dodici al massimo.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualitàClimatologia

2 Comments

  1. SE la co2 è aumentata dal 1980 più rapidamente rispetto ai precedenti decenni , è molto probabile che la nostra stella ha contribuito con il sensibile aumento della irradiazione solare TSI ,e massimi solari più intensi proprio in questi decenni inizio anni ’80 e anni ’90 .Riscaldando gli oceani con maggior apporto di co2 naturale che si assomma a quello di origine antropica . Il dubbio sorge , perché le rilevazioni moderne e più precise sono iniziate dal 1979 , e anche in passato nei secoli precedenti, secondo fonti storiche statistiche mostrerebbero repentini aumenti della temperatura media annua e decennale . Forse sappiamo ancora troppo poco sul clima , fra qualche decennio si potrebbe dare più valore al riscaldamento o raffreddamento di origine naturale.

  2. Interessante approfondimento.

    Un solo appunto: è pacifico che l’uovo è nato mooolto prima della prima protogallina.
    I dinosauri erano ovipari, ad esempio… e fino al triassico (o giù di lì) non abbiamo notizie di mammiferi…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »