Il Prof. Uberto Crescenti, geologo di decennale esperienza, mi ha mandato un suo articolo pubblicato nell’ottobre scorso dalla rivista Liberambiente. Ve lo ripropongo nella sua interezza certo di incontrare il vostro interesse per un argomento per molti aspetti diverso da quelli di cui discutiamo abitualmente ma per molti altri decisamente contiguo. La sindrome nimby, l’allarmismo ingiustificato, la strumentalizzazione dell’ignoranza, tutti ingredienti che con riferimento ai temi ambientali ricorrono decisamente con troppa frequenza. Buona lettura.
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Nel 1972, da gennaio a novembre, la città di Ancona fu interessata da uno sciame sismico che provocò grande panico tra la popolazione, come sempre avviene in certi casi. Furono registrate due scosse principali di particolare intensità, una a gennaio l’altra a giugno. In piena crisi sismica, dopo pochi mesi dalla prima forte scossa, circolò in Ancona un libretto dal titolo: “Le tre T di Ancona: Terremoto, Trivelle, Terrore“.
Si diffuse così tra la popolazione il convincimento che il terremoto venisse causato dalle ricerche di idrocarburi che l’Agip Mineraria stava svolgendo nel territorio marchigiano, e più precisamente in quello anconetano e nell’antistante area marina. Fu così che per iniziativa di un Comitato cittadino fu organizzato un Convegno presso la sala convegni del palazzo della Provincia di Ancona, per approfondire l’argomento. Dopo vari interventi accalorati di alcuni cittadini che ritenevano l’Agip responsabile della crisi simica, il Procuratore della Repubblica con voce tonante chiese agli esperti:” Vi prego, segnalatemi i colpevoli di questi terremoti in modo che io possa intervenire”. Tra gli esperti c’ero io, in quell’epoca docente di Geologia presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Ancona, e lo staff tecnico dell’Agip.
Questi ultimi non intervennero nel dibattito, per cui mi ritrovai da solo a fornire un’informazione scientifica. Dissi allora, che prima di essere professore presso la locale Università, avevo svolto per oltre 10 anni ricerche di idrocarburi nell’Italia centro meridionale, come dipendente della Società Montecatini; successivamente avevo continuato l’attività di ricerca come libero professionista.
Con tale esperienza, maturata nel settore specifico della ricerca degli idrocarburi in Italia, ma anche con contatti internazionali, potevo serenamente affermare che tra il terremoto di Ancona e la ricerca degli idrocarburi non c’era nessuna correlazione. Questo per due motivi principali. Primo, perché i terremoti in Ancona c’erano sempre stati, come dimostrato dalla cronaca secolare dell’area; ricordai che addirittura lo stemma di Ancona raffigurava S. Giorgio che con un lungo forcone teneva a bada un drago immobilizzandolo nel sottosuolo. Era evidente il significato di questa rappresentazione; il drago nel sottosuolo rappresentava il terremoto e S. Giorgio ne contrastava l’attività.
Secondo, perché dalla letteratura specialistica e dall’esperienza mondiale non erano noti terremoti di una certa intensità causati da attività di ricerca di idrocarburi. Solo in casi particolari, quando una società aveva necessità di migliorare la produzione di un giacimento, si poteva procedere alla fratturazione in profondità della roccia serbatoio con tecniche particolari, per migliorarne la permeabilità e facilitare quindi l’estrazione del petrolio. In tali casi si erano verificati, a volte, piccolissime scosse di terremoti di bassa intensità, registrate strumentalmente e di difficile percezione da parte della popolazione. Comunque questa circostanza era da non prendere in alcuna considerazione in quanto nel territorio anconetano non esistevano giacimenti di idrocarburi e pertanto la tecnica di fratturazione delle rocce in profondità non era mai stata adottata.
La polemica ovviamente non finì con il mio intervento, il Procuratore comunque non prese provvedimenti. Io fui tacciato di essermi venduto all’Agip per il compenso di buoni di benzina, ma soprattutto l’Agip, fortemente contestata dalla popolazione, decise di trasferire la sua sede e gli uffici di ricerca da Ancona in altra regione. Così la città perse qualche posto di lavoro e certamente non ne guadagnò in tranquillità, in quanto i terremoti continuarono ancora per qualche mese. Non prevalse, in quella occasione, il parere tecnico e scientifico di un esperto del settore e professore universitario, ma la spinta emotiva della popolazione ben coltivata da sedicenti esperti e dai mass media.
Ho voluto ricordare questa mia esperienza per metterla in riferimento con quanto è accaduto nell’area dell’Emilia e della Romagna colpite dalla recente crisi simica. Nuovamente pseudo esperti di ogni questione, dall’ambiente alla salute, dalla genetica agraria alla previsione di sviluppo dell’umanità, dall’economia alla produzione di energia, sono insorti ed hanno affermato la dipendenza del terremoto dalla ricerca degli idrocarburi nell’area emiliana. Se è comprensibile l’atteggiamento della popolazione e le opinioni che in riguardo ogni singolo cittadino matura, non è accettabile che i mass media non forniscano correttamente informazioni scientifiche sull’argomento, ma, anzi, diffondano opinioni del tutto non corrette e preoccupazioni inesistenti. Emblematico è stato un servizio televisivo su RAI 3 curato dalla trasmissione Report, che pure in altre occasioni si è distinta per correttezza scientifica dei suoi reportage, mandato in onda ai primi di settembre, in cui si affermava la stretta dipendenza della crisi sismica dell’area emiliana con la ricerca di idrocarburi. A questo riguardo un noto esperto geologo dell’ENI, Pino Cippitelli, ora in pensione, non ha resistito ad inviare una lettera di contestazione sul contenuto della trasmissione al curatore del servizio, di cui riporto di seguito alcune osservazioni. “Ho seguito per diretto interesse la trasmissione andata in onda ieri sera (..) Sentire quell’insieme di sciocchezze e di falsità (..) mi ha fatto ribollire il sangue. Mettere in relazione i terremoti con l’attività esplorativa per idrocarburi è manifestazione di grossolana ignoranza (..) e terrorismo ecologico (..) Per sua informazione l’area del terremoto attuale coincide nel sottosuolo con la “dorsale ferrarese”, lineamento tettonico che rappresenta il fronte più avanzato sepolto della catena appenninica e come questa sismicamente instabile. Tale lineamento che noi geologici chiamiamo “overthrust” fu scoperto negli anni 50 proprio dall’Agip attraverso la simica a riflessione (..) La dorsale ferrarese vergente a NE (significa che l’overthrust spinge verso NE) è delimitata alla base da un piano multiplo (non è un solo piano, ma una serie di piani) di sovrascorrimento posto tra 5000 e 10000 mt, la medesima profondità degli ipocentri, rilevati dall’INGV(. . .), che si sta muovendo verso NE a causa di una spinta esercitata dalla compressione della Placca Africana verso la Placca Europea. Sono in gioco forze immani che non potrebbero mai essere generate da qualsiasi attività umana salvo una esplosione nucleare nel sottosuolo. Le nostre perforazioni non fanno nemmeno il solletico alla crosta terrestre. Ciò è materia degli scienziati e sarebbe bene sentire costoro nelle interviste non degli agitatori (..) “.
Condivido pienamente la lettera del collega e come lui resto indignato per la mancanza di cultura specifica quando si affrontano certi problemi. In Italia sono stati perforati 7137 pozzi per idrocarburi (alla data del 9.06.2012, secondo i dati riferiti dal Ministero dello Sviluppo Economico, Dipartimento dell’Energia), di cui 5435 a terra e 1698 a mare. Di questi pozzi 946 sono produttivi, e precisamente 576 a terra e 370 a mare. Con tutta questa attività, se ci fosse una correlazione tra terremoti e ricerche di idrocarburi, avremmo dovuto “ballare” in continuazione. Eppure c’è un movimento di stampo ambientalista catastrofista che si sta agitando da qualche tempo contro le ricerche degli idrocarburi.
Si leggono documenti deliranti, che fanno presa sulla popolazione, di nessun valore scientifico, ma molto dannosi. Un esempio: in Abruzzo è in atto un movimento contro lo sfruttamento di un giacimento di gas nel sottosuolo della media Valle del Sangro, presso il lago di Bomba La popolazione è terribilmente preoccupata e contraria a questa attività perché viene paventata una tragedia tipo Vajont e fenomeni di subsidenza di estrema pericolosità. L’ignoranza dei contestatori è notevole: la frana del Vajont è avvenuta in un contesto geologico e geomorfologico del tutto diverso da quello dell’area in discussione, pertanto non può farsi nessun riferimento a questo disastroso evento.
I fenomeni di subsidenza si realizzano quando il serbatoio contenente gli idrocarburi è costituito da rocce non diagenizzate (es. sabbie), mentre è di assai minore rilevanza se non addirittura assente in rocce compatte come è il caso del giacimento contestato, costituite da calcari identici a quelli affioranti nella Maiella. Eppure la contestazione va avanti, supportata dai mass media che non fanno informazione corretta; si rischia che un giacimento assai utile in questo momento di grave crisi energetica non venga utilizzato. Ma la contestazione va oltre i confini della V alle del Sangro, e il
movimento di agitazione addirittura è contro la ricerca di idrocarburi in tutto il territorio della Regione Abruzzo e dell’area marina antistante.
Si sottolineano i problemi ambientali, il pericolo di inquinamenti, per una Regione a grande vocazione turistica. Non sanno che in Abruzzo negli anni ’50 e ’60 furono perforati centinaia di pozzi in terra con la scoperta di un importante
giacimento di gas presso Cellino Attanasio in provincia di Teramo. In questo campo sono stati perforati 44 pozzi, dei quali 12 sono ancora in produzione e 5 adibiti allo stoccaggio di gas naturale. Tutta questa attività non ha provocato nessun danno alla vocazione turistica dell’Abruzzo! Cosi pure le ricerche in mare eseguite soprattutto dopo gli anni ’80 con le scoperte di interessanti giacimenti di petrolio, non hanno procurato nessun danno al turismo litoraneo. Prendere una posizione scientifica non ideologica su questi temi procura solo accuse ed offese pubbliche da parte di pseudo ambientalisti, che però non ledono i convincimenti fondati su anni di ricerca e di esperienze scientifiche.
Non sono assolutamente d’accordo,le trivellazioni,secondo me,influiscono eccome a causare terremoti. Dopo che se ne sono andate da Ancona,è normale che per qualche tempo lo sciame sismico ha continuato,ormai chissà che sacca si era creata in fondo al mare e guarda caso,l’epicentro delle scosse era in mare davanti a Falconara Marittima, specchio di mare dove si trovavano le trivelle.
Alberto, senza offesa, non sai di che stai parlando;
senza scomodare il passato geologico, anche in tempi recenti (ultimo secolo), episodi di sismi nelle zone di cui parli ce ne sono a decine:
ad es:
1) Il terremoto del 1917 (Numana), magnitudo stimata intorno a 5;
2) Il terremoto del 1930 (Senigallia), magnitudo stimata 5.8-6.0;
periodo in cui di trivellazioni offshore non ce ne era traccia;
La conoscenza delle faglie attive nel settore dell’off-shore adriatico si basa soprattutto sull’esplorazione sismica effettuata negli ultimi decenni per ricerche di idrocarburi. L’interpretazione delle linee sismiche ha mostrato l’esistenza di diversi fronti compressivi sepolti, analoghi in qualche modo a quelli della pianura padana. Si tratta di strutture a carattere compressivo o trascorrente, come anche testimoniato dai (pochi) meccanismi focali dei terremoti recenti (per quelli antichi non esistevano dati per determinarli). Secondo i modelli geologici prevalenti questi fronti geologici sepolti sono attivi e orientati parallelamente alla costa, e sarebbero frammentati da faglie trascorrenti (ossia con spostamento laterale di un settore rispetto a quello adiacente) perpendicolari ai fronti stessi. (INGV)
evitiamo per favore di dar credito alle leggende metropolitane messe in giro dai complottisti psicotici… la scienza è un’altra cosa;
Sottoscrivo in pieno l’articolo.
VOrrei aggiungere un partcolare. In molti blog, non ultimo quello di Beppe Grillo, si cita a sproposito il fracking come possibile causa del terremoto in Emilia.
Peccato che il fracking in Emilia non sia mai stato utilizzato. Non c’è alcuna necessità, infatti, di utilizzare questa tecnica per produrre da sabbie poco consolidate come quelle dei giacimenti emiliani.
concordo su tutta la linea;
breve annotazione, per gli addetti ai lavori e gli interessati: per quel che riguarda il citato giacimento del lago di Bomba, ovviamente le paure espresse dalla popolazione non hanno nessun fondamento, è vero anche però che lo Studio di Impatto Ambientale di sintesi NON TECNICA presentato dalla FOREST OIL-CMI S.P.A. è carente da moltissimi punti di vista; per altro la stessa AGIP in un documento del 1992 nota sulla situazione geomorfologica nell’area di Bomba che “la situazione … induce forti perplessità di ordine pratico relativamente alle operazioni necessarie per la messa in produzione del Campo di Bomba: lì apertura di nuove strade, il passaggio di automezzi pesanti per i necessari interventi ai pozzi, la stesura di metanodotti lungo i versanti e, non ultima, la costruzione di una Centrale di raccolta e trattamento del gas prodotto;…”
Oltretutto, dalla stima della produttività del giacimento, risulta che al termine dello sfruttamento dell’ INTERO giacimento sarà prodotta e commercializzata una quantità di metano pari al fabbisogno nazionale di circa 7 giorni…. !!!
tutto sommato, al di là degli isterismi collettivi, mi sembra che i presupposti per mettere in piedi un campo di sfruttamento, anche dal punto di vista economico-sociale, siano ben pochi in questo caso…… 🙂
In altri termini il gioco non vale la candela! 🙂
Ciao, Donato.