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Se piove forte non c’è il Sole

Tranquilli, non sono stato troppo tempo sotto al sole, è ovvio che quando la pioggia cade copiosa per vedere il sole bisogna andare sopra le nuvole ma, in effetti, è proprio lì che vorrei andare.

 

Passavo dalle pagine di Tallbloke e ho trovato un articolo che collega gli eventi alluvionali sul nord Italia alle fasi di debole attività solare. Il paper ha questo titolo:

 

Orbital changes, variation in solar activity and increased anthropogenic activities: controls on the Holocene flood frequency in the Lake Ledro area, Northern Italy

 

Interessante. Il dato di prossimità esaminato copre un periodo di 10.000 anni ed è costituito da sedimenti del Lago di Ledro, in Trentino Alto Adige, a nord ovest della sommità settentrionale del Lago di Garda. Gli elementi salienti di questo studio, così come riassunti dall’abstract, sono una generale bassa frequenza di eventi alluvionali nei primi 5.000 anni circa della serie storica ricostruita, cui è seguito un trend positivo di lunghissimo periodo protrattosi fino al ventesimo secolo. In questo secondo periodo, si osservano due intervalli di nuova diminuzione della frequenza (2900–2500 e 1800–1400 BP), mentre i picchi di massima frequenza ricadono in periodi di temporaneo raffreddamento e riduzione dell’attività solare. Tra questi spicca la Piccola Età Glaciale, tra il sedicesimo e il diciannovesimo secolo, per le cui dinamiche di innesco sussiste più di un sospetto circa una consistente forzante solare.

 

Ci sono due periodo molto interessanti nel paper (neretto mio):

 

The long-term trend with an increase in flood frequency during the last millennium involves two consecutive periods of low and high frequency, the Medieval Warm Period and the Little Ice Age (1500-1850).

The comparison with the development of the overall solar radiation based on ice core beryllium-10 (Delaygue and Bard, 2011) shows that periods of increased flood frequency during the last 1300 years coincide with solar weakness.This temporal relationship means that fluctuations in solar activity in the last millennium led to changes in the hydrological system by indirect and complex atmospheric circulation processes and local flood-controlling mechanisms superimposed.

 

Sicchè la frequenza degli eventi alluvionali diminuisce nei periodi caldi e di elevata attività solare e aumenta nei periodi freddi e di bassa attività solare. A tutto questo, specialmente in tempi recenti, si sommano le modifiche ambientali di natura antropica, come la deforestazione o la modifica degli argini dei fiumi, fattori in grado di andare a modificare non solo la sedimentazione, eventualmente confondendo il segnale, ma anche la frequenza degli eventi a parità di condizioni che li generano.

 

image-685

 

E’ chiaro che la scala temporale di riferimento è difficilmente riportabile a eventuali variazioni di breve periodo che potrebbero, almeno secondo una certa parte della comunità scientifica, essere attribuite ad un effetto antropico di natura atmosferica piuttosto che di modifica delle condizioni del suolo. Per scendere a una scala temporale più consona però, si può andare a leggere quanto scritto in un altro paper:
High-resolution analysis of daily precipitation trends in the central Alps over the load-century

 

Analizzando i trend delle precipitazioni totali (TP), dei giorni di pioggia (WD), l’intensità media (PI) così come i trend del numero di eventi e della quantità di precipitazioni in un periodo di 90 anni (1922-2009), si riscontra una lieve diminuzione di TP, dell’ordine dell’1% per decade rispetto al periodo di riferimento 1971-2000. Mi sembra quanto mai interessante questa figura tratta dallo studio:

 

brugnaraetal2012

 

Dall’abstract:

 

On a daily scale, trends of the strongest events present scarce spatial coherence and are only locally significant, however the results are highly dependent on the period analysed.

 

Riassumendo. A lunga e lunghissima scala temporale emerge un segnale di correlazione (che comunque non è necessariamente un rapporto di causalità) elevata tra la forzante solare e la frequenza degli eventi alluvionali. Nel breve periodo climatico emergono segnali significativi solo a livello locale, il che fa pensare molto più a forzanti ambientali che non atmosferiche. L’assenza di segnali significativi ad ampia scala spaziale in un periodo che abbraccia gran parte dei “ruggenti anni del riscaldamento globale”, la dice lunga su quanto sia speculativo parlare di aumento della frequenza e intensità degli eventi precipitativi estremi generato dal riscaldamento. Come sempre, le chiacchiere sono una cosa e i numeri un’altra.

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Published inAttualitàClimatologia

Un commento

  1. luigi Mariani

    Caro Guido,
    con amici come Sergio Pinna ci capita spesso di ricordare (ovviamente sula scorta di dati paleoclimatici) che nel passato le fasi fredde (la PEG in primis) furono caratterizzate da piovosità abbondante e spesso eccezionale, con gravi danni alle popolazioni. Basta solo farsi il numero di piene del Po che hanno interessato i secoli che vanno dall’XI al XX secolo per farsi un’idea (http://www.bibliotecapersicetana.it/node/238):
    XI: 6
    XII: 4
    XIII: 8
    XIV: 10
    XV: 19
    XVI: 29
    XVII: 15
    XVIII: 16
    XIX: 14
    XX: 6 (1901-1951)
    Ovviamente questi dati non vanno presi per oro colato perché conta molto la storia, per cui ad esempio sul numero smodato di piene del XVI secolo pesa probabilmente lo stato di abbandono in cui versava gli argini allorché l’Italia era percorsa in lungo e in largo da soldataglie (il sacco di Roma è del 1527).
    Nonostante ciò il messaggio di fondo resta ed è in pieno accordo con quello che ci deriva dal lago di Ledro: le fasi calde hanno anche meno alluvioni. Diciamolo forte a quelli del tribunale per i crimini ambientali di Venezia!
    Luigi

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