Qualche consiglio di lettura, qualche spunto di riflessione, qualche ovvietà, qualche catastrofica predizione, insomma tutti gli ingredienti ideali per affrontare un week end che non si prospetta molto assolato, con un po’ di letteratura scientifica. Il tutto, come spesso accade, veicolato dalle pagine di Science Daily.
Il primo articolo scorre nel solco di una discussione che sulle nostre pagine dura ormai da parecchi mesi. Magari sfiorandolo appena, magari affrontandolo con decisione come nei nostri ultimi commenti, l’argomento dei disastri naturali e della resilienza della nostra organizzazione sociale e del nostro territorio è per i nostri lettori di sicuro interesse. Quale dovrebbe essere il contributo dei geofisici alla pianificazione [della gestione] dei disastri naturali? Questo il titolo del comunicato stampa del Meeting of the Americas, un evento sposorizzato dall’AGU, in cui, tra le altre cose, si è parlato di gestione dei disastri naturali, del ruolo cruciale che dovrebbero svolgere quanti hanno la conoscenza scientifica del territorio e, anche di una cosa piuttosto ovvia ma che vale la pena ricordare. Nei paesi poveri o in via di sviluppo, gli eventi disastrosi sono molto più tragici in termini di pardita di vite umane, mentre nei paesi sviluppati è molto più alto l’ammontare delle perdite economiche. Da leggere.
La seconda lettura consigliata ci riporta verso argomenti più vicini al contesto di CM, si parla di aumento delle temperature alle alte latitudini, scioglimento del permafrost, modifica dei suoli e rilascio di gas serra una volta improgionati nel suolo verso l’atmosfera. La notizia è buona, e rientra nella categoria “è meglio del previsto”. Pare infatti che alcuni ricercatori abbiano condotto una lunga campagna di osservazione in Alaska, scoprendo che l’aumento di circa 2°C della temperatura dell’aria e di circa 1°C della temperatura del suolo, invece di innescare un potente rilascio di gas serra, ha innescato un feedback negativo che lo ha fortemente attenuato ove non del tutto annullato. Sarebbe stata la vegetazione cresciuta a innescare il processo, mostrando una volta di più come l’ecosistema sia capace di reagire in modi del tutto inattesi nel rispetto del livello di conoscenza scientifica dell’argomento, facendo perdere gran parte del significato, ove mai ne abbiano avuto, alle solite premature catastrofiche deduzioni. L’articolo di SD è qui, il paper, di prossima uscita su Nature è invece quello qui sotto.
Long-term warming restructures Arctic tundra without changing net soil carbon storage
E veniamo al terzo articolo, in tema di variazioni climatiche e geologiche di lunghissimo periodo. Pare che i ghiacci a contatto con il mare in Antartide e in Groenlandia, siano stati in passato parecchio più stabili di quanto si ritenesse. La variazione del livello del mare stimata nelle zone di contatto con le coste in un passato molto remoto, usata come dato di prossimità per valutare quanto volume avessero perso quelle masse glaciali nel contesto di un mondo parecchio più caldo, risulta essere molto meno significativa se si tiene conto di quanto quelle coste si sono sollevate per effetto di movimenti tettonici. Il virgolettato d uno degli autori del paper che ha ispirato l’articolo di SD, farà brillare gli occhi dei molti geologi che seguono le nostre pagine:
L’articolo è importanteperché mostra come nessuna stima dell’antico volume dei ghiacci possa mai più ignorare le diamiche interne della Terra.
E arriviamo all’ultima lettura. Ancora ghiaccio, ancora riscaldamento globale, visto però in una chiave molto meno rassicurante. In un altro paper appena uscito, un gruppo di ricercatori dell’Università di Boulder pare sia riuscito a stimare quanto abbia contribuito all’aumento del livello del mare lo scioglimento dei ghiacci sulla terraferma cui sono stati soggetti molti (loro dicono tutti) ghiacciai sul Pianeta. Un contributo che stimano nel 29 +/- 13% dell’innalzamento osservato del livello dei mari. La stima deriva da dati satellitari ottenuti nel periodo 2003-2009. Di per sé l’argomento è interessante, tuttavia trovo che la chiosa di Science Daily sia un tantino inadeguata:
Le stime attuali prevedono che se tutti i ghiacciai del mondo dovessero sciogliersi, innalzerebbero il livello del mare di circa 2 piedi (60cm). Di contro, un completo scioglimento della Groenlandia alzerebbe il livello del mare di circa 20 piedi (6 metri), mentre se dovesse sciogliersi tutto l’Antartide il mare salirebbe di 200 piedi (60 metri).
Interessante. Si sono dimenticati di dire che con il rateo di scioglimento attualmente misurato ci vorrebbero alcune decine di migliaia di anni. Non so voi, ma io punto a godermi lo spettacolo :-).
“nearly identical natural disasters can play out very differently depending on where they strike.”
Questo concetto mi era ben chiaro e l’ho illustrato varie volte anche qui su CM, facendo notare come Madre Natura (descritta dagli ambientalisti come vendicatrice degli abusi dello sviluppo) in realtà, semmai, dimostra di prendersela con il sottosviluppo, e preferire il progresso.
“deaths tend to be higher in poor countries exposed to severe natural disasters because of existing socioeconomic, environmental, and structural vulnerabilities. At the same time, economic losses tend to be higher in developed nations”
Anche questo mi era ben chiaro, e, leggendo queste affermazioni (che condivido) mi veniva da pensare “le morti sono, secondo me, più importanti; ma cosa significano le perdite economiche ? Perché, è chiaro che chi ha di più perde di più, ma è più importante sapere quanto queste perdite influenzino la vita di quelle persone, e quindi… è stato fatto un confronto su quanto esse valgano in percentuale ?”
… ebbene sì, “è stato fatto”, e prima che potessi esprimere la mia domanda, ecco già pronta la risposta (complimenti, trovo questo una puntualizzazione eccellente):
“but developing countries may be less able to absorb those economic losses that do occur.”
Questo è il concetto fondamentale.
“As an example, he points to the earthquakes that hit Haiti, San Francisco, and Christchurch and Canterbury, New Zealand, in 2010, 1989 and 2010-2011. While the quakes were nearly identical in magnitude, the consequences of these natural disasters were remarkably different.
Some 185 people died in the 2011 Canterbury earthquake, which was preceded by the larger Christchurch quake in 2010 in which nobody died. Both quakes and their aftershocks cost New Zealand about $6.5 billion, which was approximately 10-20 percent of its gross domestic product (GDP). The 1989 San Francisco earthquake killed 63 people, and it cost $5.6 billion (the equivalent of about $10 billion in 2010 dollars). The U.S. economy is so large, however, that it only caused a one-tenth of one percent drop in U.S. GDP. The 2011 earthquake in Haiti, on the other hand, killed some 200,000 people and resulted in economic losses approaching an estimated $8 billion, which is more than 80 percent of Haiti’s GDP.”
Scusate la lunga citazione, ma mi sembra che evidenzi un concetto di grande importanza per valutare quello che sta succedendo nella giusta luce.
Secondo me.