[photopress:Solar_Array.jpg,thumb,alignleft]Osservare attentamente il mondo dell’informazione sui temi climatici e ambientali rientra negli obiettivi di questo blog. Esempi di cronaca che forniscono spunti per riflessioni sul clima che cambia ne trovate molti in queste pagine, per citarne uno tra gli ultimi pubblicati, potete leggere questo. Recentemente sono apparsi un paio di articoli, rispettivamente su Telegraph e The Associated Press che mettono in luce una schizofrenia dilagante sia in tema di informazione, sia in tema decisionale. Oggi prenderemo in esame l’articolo del Telegraph.
Partiamo dal concetto che il petrolio, per i motivi più svariati (sta per esaurirsi, costa troppo, inquina e contribuisce all’effetto serra), deve essere sostituito con altre fonti energetiche. Possibilmente, questa sostituzione di materie prime deve essere molto rapida, più rapida dei mutamenti climatici stessi. In questo contesto si inseriscono i due articoli che ora andremo ad analizzare.
Il Centro di ricerca britannico per l’energia (UKERC) ha da poco pubblicato un nuovo studio, i cui risultati ci dicono che le misure adottate per il risparmio energetico potrebbero, sul medio periodo, inficiare la stessa politica di riduzione dei consumi: fino al 20%. Cosa vogliono dirci, questa volta, gli scienziati? Ebbene, alcuni ritengono che utilizzando apparecchiature o veicoli sempre più virtuosi nei consumi di energia elettrica o petrolio, l’utente finale potrebbe essere invogliato ad utilizzare maggiormente quell’elettrodomestico o la propria automobile. Ovvero, il fatto di poter risparmiare di più sui consumi energetici porterebbe al cosiddetto effetto rebound (rimbalzo, in inglese), un effetto di ritorno in italiano, ad esempio una macchina che consuma pochissimo ci spingerebbe ad utilizzarla più di quanto avremmo fatto con una macchina più dispendiosa. L’attenzione degli scienziati è massima su questo effetto di ritorno, per due semplici motivi: da un lato bisogna quantificare l’effetto netto, è necessario cioè capire se sarà minore, superiore o uguale al risparmio energetico programmato dai vari piani nazionali. D’altro canto, una volta quantificato, sarà fondamentale capire se le politiche di risparmio siano state sottostimate, in mancanza di questo effetto di ritorno.
A questo punto, un po’ di numeri si rendono necessari. Alcuni modelli matematici stimano questo effetto di ritorno nel 50% o più del risparmio energetico totale. Ciò significa che, risparmiando 100, di questo risparmio ben 50 si volatilizzerà in maggiori consumi. La maggior parte dei modelli matematici, però, si assesta su una stima che va dal 10% al 30%. Intendiamoci, è sempre una bella fetta di risparmio che se ne va. Steve Sorrell, l’autore dello studio, afferma che fino ad oggi tutti gli studi compiuti, in particolare il rapporto Stern e i rapporti IPCC, non prendono in considerazione gli effetti di ritorno, e questo è un errore che potrebbe portare a sottostimare le politiche di risparmio. Tuttavia, prosegue Sorrell, se risparmiamo 100 e perdiamo 25, abbiamo comunque guadagnato 75. La perdita netta di 25 potrà essere, in qualche modo, riassorbita.
Assolutamente d’accordo, speriamo soltanto che la fretta non sia cattiva consigliera.
Come porre rimedio a questa disfunzione del consumo di energia? Semplice, dicono gli analisti: il prezzo dell’energia dovrà essere aumentato proporzionalmente all’efficienza. Più saremo efficienti, e più pagheremo. Eppure fino a ieri, se la memoria non mi inganna, il motto del villaggio globale era “Energia pulita e a basso costo per tutti”.
Sembra che dal gioco delle tre carte si stia finalmente passando al poker a carte scoperte, ovvero a quello che i tanto vituperati avversori del catastrofismo hanno sempre sostenuto: il risultato finale sarà che quelli che finora ci hanno guadagnato continueranno a farlo, per di più con la nostra benedizione. Provare per credere. La BBC ha prodotto un sondaggio, ripreso anche da “Repubblica“, per conoscere la nostra disponibilità agli eco-sacrifici. Ebbene, la stragrande maggioranza degli intervistati sarebbe convinta di dover cambiare in modo sostanziale il proprio stile di vita per far fronte ai cambiamenti climatici e molti sarebbero anche disposti a pagare di più l’energia purchè provenga da fonti rinnovabili. Se qualcuno aveva qualche dubbio sulle ragioni della recente conversione delle multinazionali dell’energia (soltanto apparentemente schizofrenica, tanto per restare in tema), la curiosità è finalmente soddisfatta. Non basta, i volenterosi intervistati si dichiarano anche largamente favorevoli all’installazione di centrali eoliche sul proprio territorio comunale.
Questo ci consente di tornare al tema dei comportamenti poco comprensibili. Sempre “Repubblica” appena un giorno prima aveva pubblicato un articolo sulle difficoltà che la Regione Marche sta incontrando per definire i siti di installazione di due impianti eolici. Quando finalmente sembrava fosse stata superata la sindrome nimby, ecco che le maggiori associazioni ambientaliste si mettono a litigare sull’opportunità di realizzare gli impianti. Preservare il territorio per ammirarlo tra qualche anno a lume di candela o fare qualche sacrificio per tentare la strada delle risorse rinnovabili? Questo il dilemma che anima la discussione, questa di fatto, la sostanza del problema. Non è dato conoscere la soluzione, la battaglia assicura già di per sè ampia disponibilità e ragione di esistere agli eserciti in campo, al raggiungimento degli obbiettivi ci si potrà sempre pensare dopo.
Un sentito ringraziamento a Guido per le necessarie ed utili integrazioni.
Volevo segnalare che l’effetto ritorno è stato studiato molti anni or sono in campo economico se non erro. Ne parla anche Monbiot nel suo libro del 2005, tradotto in Italia con il titolo “Calore!”. Non ne ho la copia a casa, quindi non posso darvi le coordinate esatte, ma faccio i complimenti agli scienziati dell’UKERC per aver scoperto l’acqua calda…
Il resto dell’articolo non fa una grinza, quindi mi unisco ai complimenti di Davide.
Ottimo articolo Claudio