L’8 marzo 2013 è uscito un comunicato stampa del CNR con l’annuncio di un articolo pubblicato su Science e redatto da un gruppo di ricerca europeo comprendente scienziati dell’Istituto per la dinamica dei processi ambientali del Consiglio nazionale delle ricerche (Idpa-Cnr) di Venezia (Parrenin et al., 2013). Il comunicato stampa aveva l’emblematico titolo “CO2 causa dell’ultima deglaciazione”, il quale parrebbe a prima vista avvalorare l’idea che la teoria di Milutin Milancovich (1879-1958) sulla causa astronomica delle glaciazioni quaternarie sia ormai obsoleta, vittima dell’onnipotente CO2.
Per capire meglio come stiano in realtà le cose siamo così andati ad “abbeverarci” direttamente all’articolo, nel quale gli autori scrivono peraltro che “Given the importance of the Southern Ocean in carbon cycle processes ( 23 ), one should not exclude the possibility that aCO 2 and AT are in-terconnected through another common mechanism such as a relationship between sea ice cover and ocean stratification. Although the tight link between aCO 2 and ATsuggests a major common mechanism, reviews of carbon cycle processes suggest a complex association of numerous independent mechanisms”1. Già questa frase ci fa capire che il titolo del comunicato stampa CNR con le conclusioni dell’articolo c’entra come i cavoli a merenda…
Nell’articolo abbiamo peraltro trovato una cosa quantomeno curiosa e cioè il fatto che il metodo applicato da Parrenin et al sia stato validato utilizzando dati di temperatura della Groenlandia, fatto che introduce a nostro avviso un elemento di debolezza in quanto i due emisferi, in virtù di coperture oltremodo diverse (emisfero delle terre quello Nord, dei mari quello Sud) e per di più separati dall’ITCZ si “parlano” pochissimo fra loro in termini energetici e dunque meteo-climatici.
È però opportuno spingersi un po’ oltre nell’analisi critica partendo dalla costatazione che il delay di circa 600 anni fra aumento delle temperature e aumento dei livelli di CO2 (con CO2 in ritardo) messo in luce da vari studi precedenti a quello in questione, introduceva a nostro avviso una asimmetria quantomeno imbarazzate rispetto alle dinamiche oloceniche, nelle quali temperatura e CO2 viaggiano quasi “di conserva”. Pertanto il fatto che anche a fine glaciazione ci sia una concordanza fra le due variabili è per molti versi tranquillizzate (almeno per noi) in quanto corrobora l’idea che sia una terza variabile (e noi propenderemmo per l’attività solare) a guidare sia temperatura si CO2… E se poi l’attività solare guida le temperature e la CO2 all’uscita dalla glaciazione perché non dovrebbe guidare entrambe queste variabili anche negli interglaciali?
Certo, qui i benpensanti, inorridendo o ochescamente starnazzando, coglieranno quanto di eretico covi in queste parole. Tuttavia occorre rendersi conto che sarebbe quantomeno impervio trovare una giustificazione alle ciclicità glaciali adottando le ciclicità di CO2 come agente causale primo. Infatti per aderire ad una tale teoria dovremmo immaginare che un “terribile drago” si annidi nelle viscere della terra e che lo stesso si risvegli ogni 100 mila anni circa spuntando un’enorme massa di CO2 che farebbe innalzare le temperature globali producendo così la fine delle era glaciali, che in numero di 15 hanno afflitto il clima planetario nel Pleistocene (ultimi 2 milioni di anni). Vi immaginate una cosa del genere? Possiamo dunque scrivere “Milancovich addio?”
A nostro avviso le cose non stanno così. A nostro avviso infatti alla fine di ogni glaciazione è la brusca ripresa delle temperature globali (a sua volta indotta dall’accresciuta attività solare) a riattivare gli ecosistemi. Infatti le piante C3 con la CO2 a 180 ppm tipica delle fasi glaciali sono al limite della morte per inedia e producono pochissima biomassa, tant’è vero che si ipotizza che durante le fasi glaciali le foreste (che sono fatte unicamente di piante C3) scompaiono da gran parte degli ecosistemi sostituite da praterie di C4, come scrivono in modo assai chiaro Prentice & Harrison in un loro bel lavoro del 2009.
Al termine di ogni glaciazione si creerebbe in sostanza una reazione che si autoalimenta fra fotosintesi da un lato e respirazione dall’altro (è un classico feedback positivo per cui + fotosintesi -> + degradazione della biomassa da parte dei batteri -> + CO2 -> + fotosintesi -> ….). Tale reazione a catena porta la biomassa vegetale ad aumentare vertiginosamente e la CO2 a salire a 280 ppm, il che potrebbe avvenire magari nell’arco dei soli 200 anni che costituiscono l’errore sperimentale del metodo utilizzato da questi scienziati.
Morale: vuoi vedere che il “terribile drago” altri forse non è che la fotosintesi e che il suo risveglio è causato dal Sole? Milutin Milankovic, grande scienziato europeo che operò in stretto contatto con scienziati del calibro di Wladimir Koeppen (1846-1940), Afred Vegener (1880-1930) e Rudolf Geiger (1894-1981), può dormire dunque sonni tranquilli, ancora almeno per un po’…..
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Bibliografia
- F. Parrenin V. Masson-Delmotte, P. Köhler, D. Raynaud, D. Paillard, J. Schwander, C. Barbante, A. Landais, A. Wegner and J. Jouzel , 2013. Synchronous change of atmospheric CO2 and Antarctic temperature during the last deglacial warming’, Science, 1 marzo 2013, VOL 339, 1060-1063.
- I.C. Prentice, S.P. Harrison, 2009. Ecosystem effects of CO 2 concentration: evidence from past climates, Clim. Past, 5, 297–307, 2009.
- Data l’importanza dell’Oceano meridionale nei processi del ciclo del carbonio (23), non si dovrebbe escludere la possibilità che aCO2 e AT siano interconnesse attraverso un altro meccanismo comune come la relazione tra la copertura glaciale sul mare e la stratificazione dell’oceano. Sebbene lo stretto collegamento tra aCO2 e AT suggerisca un meccanismo comune prevalente, la revisione dei processi del ciclo del carbonio suggerisce una complessa associazione di numerosi meccanismi indipendenti. [↩]
in effetti il comunicato CNR è quantomeno riduttivo e semplicistico. E’ ovvio che anche provando che l’incremento di T e della CO2 siano perfettamente coevi, resta da cercare e spiegare qual’è la causa che li fa incrementare entrambi. L’ipotesi milankoviana, anche andando indietro negli anni è la più plausibile. Ovviamente resta da capire bene perché glaciazioni cicliche seguono cicli diversi, ma quello potrebbe essere dovuto a configurazioni delle masse continentali, etc.
In effetti, il punto è: perchè la CO2 avrebbe dovuto aumentare innescando la deglaciazione? La faccenda del drago non mi convince del tutto… 🙂