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L’energia si rinnova, la pecunia no

I lettori più attenti ricorderanno che qualche settimana fa abbiamo pubblicato un breve post che riprendeva quanto diffuso da Assoelettrica, l’associazione che riunisce la quasi totalità dei produttori di energia elettrica in Italia, circa il costo stimato per gli incentivi alle fonti rinnovabili per i prossimi venti anni. Un conto salato, circa 220 miliardi di Euro.

 

Ieri mi è capitato per la rete un articolo pubblicato da IlSole24Ore contenente queste stesse informazioni arricchite con la replica dell’APER, associazione che invece riunisce i soli produttori di energia rinnovabile. Il conto, secondo loro, sarà tutt’altro che salato, perché Assoelettrica non avrebbe tenuto conto dei benefici derivanti dall’impiego delle fonti rinnovabili in termini aumento dell’indipendenza energetica nazionale, diminuzione dei costi che dovranno sostenere gli impianti termoelettrici nell’ambito del sistema europeo Ets sui diritti d’emissione (costi che pesano sulle bollette), incremento del Pil (le energie rinnovabili generano più ricchezza delle fossili per il Paese) e crescita occupazionale non solo quantitativa, ma anche qualitativa. Insomma, alla fine secondo APER il saldo dovrebbe essere in attivo, con le stime più prudenti che vedrebbero ammontare il surplus a 30 miliardi di Euro e quelle più ottimistiche addirittura a 76.

 

Certo, c’è di mezzo una congiuntura economica molto sfavorevole e senza dati opportunamente disaccoppiati circa i flussi occupazionali nei diversi settori potrà apparire speculativo arguire che, ad oggi, pur in un contesto di sviluppo esponenziale del settore delle rinnovabili questi benefici non si vedono gran che. L’indipendenza energetica è una chimera, l’ETS è sull’orlo del fallimento, il Pil è in forte contrazione e la disoccupazione aumenta. Speriamo ci pensino le rinnovabili, verrebbe da dire.

 

Al riguardo potrà tornare utile leggere sempre su IlSole24Ore quanto è stato scritto circa gli obbiettivi del nuovo piano energetico nazionale, non solo con riferimento alle rinnovabili.

 

Il 30% in meno dei consumi nell’industria a parità di produzione. Ed ecco, nel frattempo, la nostra automobile che raddoppia il rendimento energetico tagliando del 40% i costi di esercizio. E poi la grande sorpresa (ma non per gli esperti): le nostre case sono pronte a ridurre addirittura ad un terzo il consumo di energia, anche se ruolo di apripista nella riconversione e modernizzazione all’insegna dell’efficienza andrà (o meglio, dovrebbe andare) agli immobili pubblici, vere sanguisughe energetiche.

 

Obbiettivi sorprendenti e auspicabili, da perseguire innanzi tutto con l’efficienza energetica. Efficienza come quella che garantiscono le fonti rinnovabili? Vediamo le tabelle qui sotto, in cui sono riassunti i dati relativi alla potenza installata e al suo mirabolante progredire nel tempo,  all’energia realmente prodotta, ai costi in termini di incentivi ed alla percentuale di incentivi assorbita da ogni diversa fonte in relazione alla sua produzione (Fonte IlSole24Ore).

 

Tab_1

 

Tab_2

 

Tab_3

 

I numeri parlano sempre chiaro. Eolico e Fotovoltaico fanno la parte del leone nell’assorbimento degli incentivi e sono le fonti più produttive, ma il rapporto tra incentivi ricevuti e energia prodotta chiarisce i limiti di queste fonti energetiche, sia in termini tecnici che di norme per l’incentivazione, sebbene queste siano state rese recentemente un po’ più equilibrate.

 

Sempre su IlSole24Ore e sempre dalla stessa firma, si riporta che il Politecnico di Milano, in un report di prossima presentazione fa sapere che eolico e fotovoltaico da soli non potranno portarci agli obbiettivi prefissati per i prossimi anni. E’ necessario un cambio di rotta verso un mix energetico più realista, che faccia per esempio sparire dal conteggio dei mirabolanti successi delle rinnovabili in termini di contributo al fabbisogno l’energia idroelettrica, che oggi copre il 40% del nostro rinnovabile ed è praticamente satura. Obbiettivo, realizzare anche quella ricaduta occupazionale che – leggiamo dalla chiosa dell’articolo, con “l’istallazione furibonda di pannelli solari importati soprattutto dall’oriente è clamorosamente mancata”.

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Published inAttualitàEnergia

3 Comments

  1. Guido Botteri

    L’idroelettrico è croce e delizia dei credenti nelle rinnovabili.
    Mentre nei cartoni animati (ho una nipotina di 5 anni) si vedono attentati a “odiose” dighe, fatti dagli “eroi” più simpatici, e in generale un’opera di convincimento che l’idroelettrico sia un demonio da combattere, quando però serve dimostrare che i numeri delle rinnovabili siano credibili, ecco che si aggiunge l’odiato idroelettrico, che però fa numeri.
    Vediamo qualche confronto, per renderci conto del perché, prendendo i dati dalle tabelle pubblicate nell’articolo:
    Potenza installata (MW) al 2012:
    Idroelettrico__ 18.080
    Fotovoltaico__ 16.281
    Eolico________ 8.144
    fv+eolico batte l’idroelettrico 24.425 a 18.080

    Produzione (GWh) 2012
    Idroelettrico__ 43.322
    Fotovoltaico__ 18.323
    Eolico________ 12.373
    Idroelettrico batte fv+eolico 43.322 a 30.696

    Spesa per incentivi (mln euro) 2012
    Idroelettrico__ 931
    Fotovoltaico__ 5.890
    Eolico________ 1.001
    fv+eolico batte Idroelettrico 6.891 a 931

    mi pare che i numeri parlino da soli.
    Quanto alla presunta occupazione, sono fermamente convinto che la stessa cifra, impiegata altrove, per esempio data (doverosamente) a quegli imprenditori che si sono suicidati, o hanno delocalizzato, o sono falliti, perché non hanno ricevuto i pagamenti che avrebbe dovuto dargli lo Stato, avrebbe probabilmente salvato loro, i loro dipendenti, e i loro indotti, e creato, o salvato, molta più occupazione.

    C’è gente che aspetta dallo Stato il pagamento anche da 4 anni, a cui è stato detto che ci sono “altre priorità”.
    Ma quando banche ed Equitalia vogliono i soldi, li vogliono subito. E’ così che si difende l’occupazione ? 🙁

    Naturalmente tutto ciò esprime solo la mia personale opinione.

    • Io vorrei far presente che ci sono (almeno) due aziende in Italia, con proprietario estero, che hanno chiuso o stanno chiudendo: l’Alcoa in Sardegna e la Bridgestone in Puglia (caso recente). Tra i motivi di chiusura è stato detto esplicitamente che c’è il costo dell’energia. Preso tutto l’affare energetico italiano a scatola chiusa, cioè a prescindere da numeri sparati a destra e a manca e dalle discussioni ideologiche, il dato *netto* è che l’energia costa troppo. Basterebbe costruire un paio di centrali solari / eoliche per fornire energia a queste due imprese per salvare un cospicuo numero di posti di lavoro (che è l’emergenza primaria in questo paese) e dimostrare dinanzi al pubblico di scettici che le energie alternative sono veramente vantaggiose, ora ed adesso. Se non si fa, non posso che concludere che non è vero.

  2. gbettanini

    APER fa giustamente notare che ai costi in incentivi andrebbero paragonati i benefici ottenuti dagli investimenti in fonti rinnovabili. Qui però il terreno si fa molto friabile in quanto a dati oggettivi sul costo futuro degli incentivi vengono contrapposte le proiezioni di due studi (chiamiamoli A e B) che hanno prodotto una stima al 2020 e 2030 dei benefici conseguibili dalle installazioni attuali e (soprattutto) future di impianti a fonti rinnovabili che comporterebbero un saldo attivo di 30 e 76 miliardi di euro al 2030. Due studi molto differenti tra loro che valutano i benefici considerando di costo e beneficio differenti. I benefici riguardano i vantaggi derivanti dalla nuova occupazione, degli effetti sul Pil, della produzione ed esportazione di componenti, delle mancate emissioni di CO2 ed altri inquinanti, dell’appiattimento della curva di domanda dell’energia ed altro.

    Scorrendo i risultati dello studio A (quello definito più ottimistico da APER, saldo attivo 76 miliardi) sembra evidente che le ipotesi utilizzate andrebbero forse maggiormente condivise e validate. Dopo una rapida analisi dei dati proposti si potrebbe ad esempio obiettare che non ha molto senso attualizzare il costo degli incentivi con un tasso del 5%, sarebbe più corretto attualizzarlo con il tasso di inflazione che mediamente si può stimare pari al 2-2,5% per i prossimi 15-20 anni.
    Si può poi osservare come per lo studio le importazioni di componentistica dall’estero si interrompano bruscamente nel 2012 e rimangano quasi nulle fino al 2020. Le importazioni/esportazioni di componentistica e le mancate importazioni di combustibili fossili riguardano comunque più la bilancia commerciale che benefici diretti per i cittadini in quanto ad esempio il mancato import di combustibili fossili non ha riflessi diretti nella bolletta elettrica visto che l’energia prodotta da fonti rinnovabili viene comunque remunerata con gli stessi prezzi di mercato dell’energia prodotta da fonti fossili, infatti lo studio B non considera questa voce.

    La nuova occupazione poi riveste in entrambi gli studi (A e B) un ruolo cardine nella valutazione dei benefici conseguibili dall’installazione e dalla gestione di impianti a fonti rinnovabili ma proiezioni di marcata crescita occupazionale purtroppo si scontrano con la realtà di settori, come quello del fotovoltaico, in cui la forza lavoro si è ridotta di diverse migliaia di unità nel 2012 e ulteriori riduzioni sono previste per il 2013. I benefici netti derivanti dalla nuova occupazione dovrebbero poi tenere conto anche dei possibili effetti sul settore termoelettrico che a causa della perdurante crisi economica e della sempre maggiore quota di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili incentivate ha perso un’importante quota di mercato. Un calcolo dei benefici dovrebbe inoltre tenere conto degli investimenti necessari alle reti per risolvere le congestioni o per disspacciare una sempre maggiore quota di energia prodotta da fonti non programmabili (voce considerata dallo studio B ma non dallo studio A).

    Per quanto riguarda in particolare lo studio B la principale voce di beneficio, oltre alla nuova occupazione, è la riduzione delle emissioni di CO2 con benefici cumulati al 2030 valutati in 100-130 miliardi di euro (secondo due diversi scenari). Per ottenere tali cifre è necessaria una valorizzazione delle mancate emissioni tra i 50 ed i 100 €/tCO2 evitata, cifre che male si coniugano con l’attuale prezzo dei permessi di emissione (EUA) che attualmente oscilla tra i 3 ed i 5 €/tCO2 ed anche con il costo obiettivo dei permessi di emissione indicato dalla commissione europea in 30 € a tonnellata.

    Nessuna critica agli studi in se’. Va però rimarcato che quando si parla di proiezioni tutte ipotesi andrebbero valutate in maniera laica ed accurata magari considerando un’ampia serie di scenari possibili posto che la variazione di un semplice numero percentuale può essere la discriminante tra una stima di decine di miliardi di benefici netti o di perdite nette per il sistema Italia (altro che stime ‘prudenti’). I dati sul costo degli incentivi promessi alle fonti rinnovabili sono invece (purtroppo) già stabiliti e possono essere valutati con un’incertezza limitata a pochi punti percentuali e saranno pari a 200 miliardi nei prossimi 20 anni.

    Non c’è comunque dubbio che le rinnovabili che verranno installate nei prossimi anni avranno un rapporto costi/benefici molto più favorevole di quelle installate tra il 2006-2012, il costo di installazione è molto diminuito (soprattutto per il FV) e gli incentivi sono stati ridotti per quasi tutte le tipologie di fonte rinnovabile ed appunto per questo in futuro andrebbero proposte analisi costi/benefici condivise anche per dare un’indicazione chiara ai governi che (s spera) verranno.

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