Molte volte, per molti degli argomenti che proponiamo su CM, più che la diffusione delle informazioni quello che cerchiamo di fare è acquisirne di nuove. Sono innumerevoli le occasioni in cui i commenti e le discussioni ai post superano di gran lunga quello che le ha originate. Mi piacerebbe che questa fosse una di quelle occasioni.
E’ un argomento di cui so molto poco, il Land Use Change o cambiamento nell’uso del suolo. Ha un ruolo significativo ma probabilmente sottovalutato nel dibattito sulle origine delle variazioni climatiche di origine non naturale. E’ anche un argomento indissolubilmente intrecciato con la sostenibilità ambientale, con la produzione di cibo e, quindi, con i temi demografici.
L’opinione più diffusa, ad esempio proprio con riferimento alle problematiche connesse con la necessità di reperire risorse per l’alimentazione di una popolazione mondiale in crescita continua, punta il dito contro l’aumento degli allevamenti di animali e i danni al territorio che questi si suppone generino. Forse però, dopo aver visto il video qui sotto, vi verrà qualche dubbio circa la consistenza di questa accusa o circa le motivazioni che l’hanno nel tempo generata.
Si parla di desertificazione. Non so se sia vera l’affermazione che molte delle terre emerse stiano andando incontro alla desertificazione, molte volte anche sulle nostre pagine abbiamo discusso piuttosto di come siano complesse queste dinamiche e di come in realtà le osservazioni più recenti e più tecnologicamente avanzate mostrino qualcosa di diverso. Quindi quella paventata potrà essere una minaccia esagerata, ma il problema dell’uso del suolo resta, come restano quelli alimentari e demografici. E la soluzione c’è, almeno così dice Allan Savory nella sua presentazione, portando prove documentali piuttosto convincenti. Si chiama Holistic Management, così a prima vista, mi sembra un po’ più realistico della conversione della popolazione mondiale all’uso della soia.
Attendo le vostre impressioni.
Ho visto il video (da WUWT, però, perché su questa piattaforma io non riesco a visualizzare il link di cui parla G. Guidi) ed ho qualche perplessità. La perplessità più importante riguarda la maggiore produttività del suolo destinato a pascolo e, in particolare, la sua “rigenerazione” (nel video si vedono lande desolate che rinverdiscono, deserti da cui sprizzano sorgenti d’acqua e via cantando). Onestamente mi sento di dire che le cause, più che il pascolo, debbano essere altre e, precisamente, l’andamento climatico regionale (variazioni dell’entità delle precipitazioni, delle temperature, ecc., ecc.).
A questa conclusione mi spinge la considerazione che, nel caso della foresta primigenia amazzonica, per esempio, si verifica l’esatto opposto: la trasformazione del terreno in pascolo previo incenerimento della selva, dopo poco tempo determina l’inaridimento del suolo e la sua erosione da parte degli agenti atmosferici. Probabilmente nelle aree indagate dal prof. Savory qualche cambiamento vi è stato, ma credo che l’allevamento ne sia stato una concausa più che la causa dominante.
Per quel che riguarda la filosofia della gestione olistica concordo con F. Giudici: è meglio avere a che fare con variabili quantificabili in modo molto preciso altrimenti apriamo la porta a movimenti e relativi “guru” che fanno della decrescita, del baratto, dell’antiscientismo, del ripiegamento verso la mitica “età dell’oro” e la ciarlataneria il loro credo. E con questo mi fermo altrimenti la metto in politica e GG si arrabbia 🙂 .
p.s. Guido, devi perdonarmi, ma questi temi sono di strettissima attualità. Una cosa è vederli scritti nei “saggi” di Pallante & al., un’altra è vederli elencati in forma di “condizioni irrinunciabili” per garantire la stabilità di un futuro esecutivo: onestamente comincio ad avere un po’ paura.
Ciao, Donato.
Guido,
il diavolo è nei dettagli. Se mi permetti un riassunto formale di quello che stiamo discutendo in questo post… Una “politica di gestione”, formalmente, è una serie di passi per massimizzare il valore di una certa funzione, misurabile (sottolineo questo attributo). Finora, tutte le decisioni a livello nazionale ed internazionale usano il PIL per questa misurazione. Il prof. Savory dice che la funzione deve contenere il PIL (include la “financial strength”, per questo penso che sia un tipo con cui si può discutere, perché non parla di “decrescita felice”), ma anche altre cose: insomma, dobbiamo attribuire un valore (misurabile) a cose come la biodiversità. Il problema è che non tutte queste cose sono misurabili, o almeno non sappiamo misurarle oggi. Non appena tu apri un varco non misurabile in questo ragionamento, si infilano orde di saltimbanchi, come quelli della felicità media di cui abbiamo già parlato e commentato.
Quindi, riassumendo, il mio punto è semplice: prenderò in considerazione la “gestione olistica” quando verranno definite delle pratiche concrete di misura su cui si possano prendere le decisioni. Sinora mi risulta che questo non sia mai stato fatto (vedasi la conclusione sulla pagina di Wikipedia). La mia critica su questo punto è piuttosto forte, perché direi che il concetto di “gestione olistica” in succo vuol dire “non di solo PIL vivrà l’uomo” ed è banalmente vero, ma da chiunque voglia dare un contributo in quest’area, che non vada oltre la chiacchiera, mi aspetto quella concretezza che sinora non c’è stata.