Giovedì scorso l’area circostante la città di Catania è stata colpita da un violento nubifragio. Un evento intenso ma non eccezionale, almeno stando a quanto riportato dalle reti pluviometriche disponibili. Senza voler approfondire più di tanto l’analisi tecnica dell’evento, si può dire che con le correnti in quota da sud che hanno generato il forcing perché si formasse un minimo a mesoscala sottovento alle coste della Tunisia, si è generato un intenso flusso orientale sullo Jonio che ha accumulato tutta l’umidità di cui disponeva sul versante orientale dell’Etna, fornendo carburante ad una cella temporalesca stazionaria. Per cui, la concentrazione delle abbondanti precipitazioni in un lasso di tempo molto breve su di un areale con orografia particolare hanno fatto sì che l’impatto sia stato molto significativo.
Come sempre accade in questi casi sono iniziate prima le polemiche che la conta dei danni, anche se la discussione divampata più o meno in tempo reale si è anche sopita piuttosto velocemente. Il sindaco di Catania, Raffaele Stancanelli ha dichiarato:
”Vi e’ una polemica di conoscenza, non una polemica sulle cose che dovevano essere fatte per impedire la bomba d’acqua. La bomba d’acqua non si puo’ impedire”. (Fonte Meteoweb)
A questa saggia dichiarazione, aggiungerei anche che le “bombe d’acqua” non esistono, esistono i temporali. E a Catania, come in molte altre zone del nostro territorio, esiste il pericolo delle alluvioni.
Come per esempio il 1° ottobre del 1966
O il 1° novembre del 1979
O, come in questo trafiletto del 10 marzo del 1985. Non mi pare si possa parlare di lesson learned. Riprendendo il commento di un amico direi si possa affermare che l’unica spiegazione sia che gli oculati governanti hanno messo a posto tutto dopo il 1979 e prima dell’AGW, ed ora nonostante questi lavori, le bombe d’acqua fanno danni.
Tutti ricordiamo i violenti temporali che colpirono la città e la provincia di Messina nella notte tra l’1 e il 2 ottobre 2009. In realtà, l’evento messinese arrivo’ dopo diversi giorni di piogge intense un po’ in tutta la Sicilia.
La Sicilia reppresenta un sistema geografico-climatico particolare. Lo Stretto di Sicilia, in particolare, raccoglie gli effetti delle ciclogenesi originate nell’Atlantico e di quelle generate intorno al Medio Oriente e all’isola di Cipro. Cio’ che accade in Sicilia puo’ quindi essere rappresentativo di segnali di cambiamento climatico continentali. E’ un’ipotesi evocata in un lavoro che io e il collega Diodato abbiamo pubblicato nel 2010 su Earth Interactions (http://journals.ametsoc.org/doi/full/10.1175/2010EI306.1).
Non so ancora se questa ipotesi puo’ essere supportata, per cui la affido alla vostra riflessione.
President Obama. “We can choose to believe that Superstorm Sandy, and the most severe drought in decades, and the worst wildfires some states have ever seen were all just a freak coincidence,” he said. “Or we can choose to believe in the overwhelming judgment of science – and act before it’s too late.”
Ho l’impressione di sapere cosa vorrà che scegliamo di credere, overhelming bullshit!
La protezione delle popolazioni e dei beni dagli eventi pluviometrici estremi è frutto di una serie di attività, molte delle quali del tutto invisibili alla popolazione e che dunque, pur essendo molto costose, non hanno appeal mediatico.
Provando ad elencarle mi vengono in mente:
1. una rete di stazioni di misura meteorologica ed idrologia in tempo reale atta sia a fornire dati per la gestione delle emergenze sia a produrre serie storiche (es: eventi estremi e relativi tempi di ritorno) necessarie per scopi di progettazione; interpretazione di tali dati per mezzo di modelli idrologici adeguati
2. un sistema di previsione meteo e idrologica allo stato dell’arte
3. una progettazione delle opere (difesa sui corsi d’acqua, fognature, ecc.) eseguita in base ai dati storici di cui al punto 1 ed un’esecuzione tempestiva delle opere stesse
4. un sistema di gestione delle emergenze efficace ed efficiente, il che lo si ottiene con adeguanti investimenti in uomini e mezzi e in un mantenimento in efficienza fatto di esercitazioni periodiche ed un sistema di controllo di qualità stringente.
Il suddetto sistema dovrà essere assoggettato a frequenti riprogettazioni svolte sulla base delle esperienze vissute ed in base al variare delle normali climatiche ricavate dal sistema di monitoraggio di cui al punto 1.
E’ ovvio che la progettazione di cui al punto 3 dovrebbe essere svolta in modo tale da proteggerci da eventi con tempo di ritorno noto. Pertanto un argine sarà progettato per reggere ad un evento con tempo di ritorno 100 anni e pertanto si presuppone che l’argine non regga all’arrivo di un evento con tempo di ritorno più estremo. Ciò nondimeno occorre sapere a priori cosa fare se un tale evento si verifica e dunque progettare adeguatamente le attività di cui al punto 4.
A chi affidare la progettazione e la gestione di un simile sistema? Considerando i nostri vizi culturali (pressapochismo, fantasia galoppante, … in sintesi quella che Gadda in La cognizione dle dolore chiama cultura del “pastrufazio”) in tutta franchezza opeterei per gli ingegneri svizzeri!
Luigi
“4. un sistema di gestione delle emergenze efficace ed efficiente, il che lo si ottiene con adeguanti investimenti in uomini e mezzi e in un mantenimento in efficienza fatto di esercitazioni periodiche ed un sistema di controllo di qualità stringente…”
Ma siamo pazzi?
Perchè darsi la pena quando bastano le Assicurazioni obbligatorie e le carbontasse.
Akuna matata!