Forse un libro da leggere. Sto ancora meditando se comprarlo. Il titolo è stuzzicante:
Signori della Green Economy. Neocapitalismo tinto di verde e Movimenti glocali di resistenza – di Alberto Zoratti e Monica di Sisto, EMI editore.
Pare che facciano nomi e riportino numeri sul verde dollaro della green economy. Così scrive Maurizio Landini nella prefazione:
Scopriamo che le multinazionali, perfettamente consapevoli di ciò che fanno, usano dipingersi di verde per guadagnare di più, sfruttando al massimo uomini e donne e risorse del pianeta.
La perplessità sorge a causa del termine “glocale”, che mi sa tanto di utopico, o quantomeno di non realizzabile su vasta scala. Resta il fatto che forse qualcuno sta aprendo gli occhi, anche dove meno te lo aspetti.
Molte grazie Guido,
nel caso decidessi di leggerlo mi farebbe piacere avere una tua opinione, anche se fosse molto critica e “demolente”. In questo periodo di noiosissima campagna elettorale dove si parla del nulla, almeno potremmo avere l’occasione per discutere di temi seri…
Un saluto
Alberto
Buonasera Guido, buonasera Donato,
ho trovato il vostro blog nella mia (ormai) consueta attività di “rassegna stampa” per il libro, e ho deciso di aggiungere un po’ di carne al fuoco delle vostre riflessioni. Intanto grazie per averlo preso in considerazione, obiettivo principale del testo è parlare di Green economy in modo meno apologetico e un po’ più critico.
L’opinione di Donato è (in parte) esatta, abbiamo voluto puntare un riflettore sui vari soggetti che negli ultimi anni (e con una certa sfacciataggine a Rio+20) cercano di interpretare la Green economy con categorie molto chiare ed inequivocabili. Affiancando a questa analisi un riferimento a tutti quei movimenti, globali e locali, che hanno scelto di opporsi a tali politiche.
Credo sia però importante sottolineare che il libro non nasce con l’obiettivo di dare soluzioni, ma di aprire uno spazio di riflessione per tutte e tutti, evidenziando che è possibile essere protagonisti del cambiamento e della transizione anche a partire dal proprio quotidiano. In un momento di crisi della partecipazione politica è un dato che crediamo vada sottolineato: dopo la militanza degli anni settanta ed il volontariato degli anni ottanta e novanta, il maggior fenomeno sociale degli ultimi anni è la transizione dal basso. Che sposta, più che economie (sempre meno di nicchia comunque) molto immaginario. E quindi consenso.
Ma ovviamente tutto questo non basta: con Monica seguiamo oramai da anni i negoziati dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e siamo sempre più convinti che o c’è un drastico cambiamento delle regole, o qualsiasi opzione anche in salsa green non sarà risolutiva della crisi ecologica e sociale che stiamo vivendo. I negoziati sui diritti di proprietà intellettuale (Trips) non sposta una virgola nella direzione di una reale diffusione delle tecnologie, i negoziati per la liberalizzazione dei servizi ambientali (ed energetici) rischiano di radere al suolo filiere locali (ed economiche) che sarebbero un ottimo contributo per uscire dalla crisi in modo sostenibile. Anche questo è “glocal”, non solo il movimento o la rete locale, ma una serie di regole di policy economica capaci di tutelare le industrie nascenti, di innescare circuiti virtuosi, di rimettere al centro la gestione del mercati e non la completa libertà di essi che, come è stato dimostrato, non sono capaci di autoregolarsi.
Tutto questo è trattato nel libro? In parte, è sicuramente accennato. Ma l’obiettivo non era fare il punto sugli ultimi negoziati Wto di un moribondo Doha Round o sui bilaterali che l’Unione Europea sta stipulando con i Paesi di mezzo mondo, tra cui quelli del Maghreb. Era cominciare a mettere in discussione un concetto, a partire dall’ABC.
Avremo tempo, e già ci stiamo pensando, per un ulteriore contributo, questa volta più circostanziato e tecnico, sulle possibili soluzioni.
Grazie ancora per lo spazio e l’attenzione che ci avete dedicato. Un caro saluto,
Alberto Zoratti
Grazie a te per aver voluto dare un contributo alla discussione, tra l’altra nata in ragione di una mera segnalazione del libro, più che sui contenuti dello stesso, dal momento che personalmente non l’ho ancora letto.
gg
Alberto, il tuo commento ha ottenuto un duplice scopo: da un lato mi ha fatto mordere la lingua (ehhm la tastiera 🙂 ) perché, probabilmente, ho espresso un giudizio troppo tranchant senza aver prima letto il libro; dall’altro mi ha fatto riflettere su alcune problematiche che, lo confesso, ultimamente mi erano sfuggite (mi riferisco alla transizione dal basso che sposta molto immaginario e, quindi, molto consenso, ma poche econmie). Grazie per entrambe le cose, ma, soprattutto per la seconda: mi riprometto di rifletterci sopra molto profondamente perché si tratta di dinamiche sociali che potrebbero avere un effetto dirompente.
Di una cosa, però, non mi hai convinto: accettare “glocal”. Non mi piace proprio, però, ne converrai, è un aspetto del tutto secondario del problema della transizione dal basso che, invece, è molto interessante.
Ciao, Donato.
Ciao Donato, sì… glocal è orribile. Mi rendo conto, ma diciamo che ci siamo fatti prendere la mano dalla facile comunicazione che il termine consente. Per il resto la questione della transizione dal basso è molto interessante, anche se anche lì ci sono (ovviamente) eccessi e ingenuità.
Frequento molto, e da anni, il movimento dell’economia solidale e di lì stanno uscendo molte sperimentazioni interessanti, anche se ancora embrionali. La cosa che più mi stupisce è come le persone si possano facilmente motivare in ambiti che sembrerebbero ostici, mi spiego meglio: qui a Pisa dove vivo da diversi anni il locale Distretto di Economia Solidale ha promosso un progetto (ancora in rodaggio, quindi vedremo come andrà a finire) di Community Supported Agriculture, cioè un’ottantina di famiglie (area, per intenderci Gruppi d’acquisto) ha deciso di andare oltre, affittando tre ettari di terreno, seminandole ad ortaggi in modo biologico e pagando uno stipendio e mezzo a due piccoli agricoltori che curano il campo. Non paghi, si sono organizzati in turni dove ogni famiglia dà il suo contributo in modo paritario alla coltivazione. E tutti godono dei frutti della terra.
Non è semplice, la CAPS (Comunità Agricola di Promozione Sociale) a volte vive conflitti interni, le produzioni a volte sono ottime a volte stentano, ma è un esperimento interessantissimo. Al punto che anche io ne ho fatto parte anche se, ahimè, per motivi di tempo (e di mal di schiena) dopo un anno ho dovuto dare forfait. Comunque di esperienze così ce ne sono molte, su http://www.retecosol.org/ trovi un po’ di esempi (non guardare l’estetica del sito, mi rendo conto essere troppo sobria).
Ciao
Alberto
Scrive G. Guidi “Resta il fatto che forse qualcuno sta aprendo gli occhi, anche dove meno te lo aspetti.”.
Non sono molto d’accordo con questa impressione di G. Guidi. Probabilmente il libro illustra alcune ipocrisie della tanto decantata green economy, ma in un contesto cheho difficoltà a condividere. Ho letto alcuni brani della prefazione e la presentazione del volume. Ho la netta impressione che si tratti dell’ennesimo libro in cui si decanta il ritorno ad un mondo che non esiste più e che non potrà più esistere se vogliamo continuare ad avere uno stato di benessere come quello attuale. Ho l’impressione, inoltre, che il libro sia un’elegia di quei movimenti “No-Tutto” che paralizzano ogni iniziativa e che costituiscono il substrato sociale della “decrescita felice”. Gli autori, infatti, considerano esempi significativi di “Movimenti glocali” (orrendo neologismo 🙂 ) i movimenti anti nuceari, anti privatizzazione dell’acqua, anti fracking, ecc., ecc..
Secondo loro, infatti, questi movimenti che fanno dell’economia eco-solidale la loro ragion d’essere, occupano delle nicchie sociali in attesa che abbia inizio la fase di transizione verso una nuova organizzazione sociale.
Uno degli autori, così si esprime in un’intervista:
“… La messa a sistema di uno stile di vita coerente, caratterizzato da un’impronta ecologica e sociale ridotta, con una partecipazione in realtà collettive (come i Gruppi di acquisto o i Distretti di Economia solidale) sono un primo passo sostanziale. Ma quello successivo è la messa in rete di queste realtà con altre simili e complementari, all’interno di soggetti informali come sono i movimenti sociali. Questo perchè solo un’azione collettiva può portare ad avere una forza d’impatto capace di condizionare le regole, il Forum per l’Acqua o quello contro il nucleare ed i referendum corrispondenti sono un esempio, ma anche di denunciare gli imbrogli e di assumere il conflitto sociale come parte della lotta politica. La transizione verso una società ecologica e più equa non sarà una passeggiata, e presuppone alto senso di responsabilità e, soprattutto, una grande consapevolezza. Ma non abbiamo scelta.”
L’intera intervista può essere letta a questo indirizzo:
http://www.mareeonline.com/economia/i-signori-della-green-economy-171.htm
Se tanto mi da tanto ci troviamo di fronte all’ennesimo esempio di quelle utopie che G. Botteri ama definire le brioche al posto del pane.
Ciao, Donato.
Donato, hai cercato molto più di me. Questo è quello che mi piace di più di CM. Pare che le mie perplessità si siano materializzate. A questo punto però il libro va letto, se non altro per conferma.
Grazie,
gg
Ehm.. no grazie, se li conosci li eviti… 🙂
Sono curioso di leggere le tue impressioni!
Ciao, Donato.