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Che fatica misurare gli effetti degli elevati livelli di CO2 sulla crescita dei vegetali: il caso delle OTC e delle FACE

Uno dei problemi più stringenti per i ricercatori sperimentali moderni è quello di ottenere misure che siano rappresentative del sistema fisico o biologico oggetto d’indagine. Tale problema rimanda a sua volta alla necessità di evitare gli effetti negativi introdotti dagli apparati di misura o di distribuzione di particolari sostanze o ancora di disporre di apparati in grado di effettuare misure realistiche delle variabili in gioco.

In genere ogni problema scientifico ha i suoi problemi di misura più o meno grandi ed in alcuni casi i problemi si sono rivelati tanto stringenti da costringere i ricercatori a gettare la spugna (si veda in proposito il principio di indeterminazione di Heisenberg del 1927).

 

 

Qui di seguito daremo alcuni esempi di tali problemi in relazione alla misura sperimentale degli effetti degli elevati livelli di CO2 sulla crescita dei vegetali. Fino agli anni 70 la valutazione sperimentale di tali effetti era in genere effettuata in serra o in camera di crescita e cioè in ambienti totalmente artificiali e dunque non in grado di dare risultati immediatamente trasferibili agli ecosistemi naturali (Macháčová, 2009).

 

Fig_1
Figura 1 – Schema di OTC (da Allen et al., 1992)

Ciò ha spinto dagli anni ’80 ad introdurre le Open Top Chambers (OTC) e cioè apparati composti da strutture di sostegno metalliche con pareti laterali verticali trasparenti (realizzate ad esempio in cloruro di polivinile o plexiglas) e caratterizzate da un’apertura superiore (per questo si chiamano open top) che permette il ricambio d’aria e riduce gli effetti che un ambiente isolato produrrebbe su variabili meteorologiche quali le temperature, l’umidità relativa o il vento. Nelle OTC l’aria arricchita di CO2 viene distribuita da un apposito apparato di adduzione e la concentrazione di anidride carbonica all’interno dell’OTC viene misurata con un analizzatore di CO2. Il sistema viene gestito da un computer che garantisce che la concentrazione di CO2 si mantenga all’interno di limiti prefissati (D’Andrea e Rinaldi, 2008).

 

Sia l’approccio basato su misure in serra o camere di crescita sia quello basato su OTC hanno prodotto risultati discutibili. Ad esempio se le piante sono coltivate in ambienti di radicazione non rappresentativi delle condizioni di pieno campo (piccoli vasi), la fotosintesi è esposta a limitazioni che compromettono la rappresentatività della risposta della pianta ai livelli di CO2. Tuttavia anche i risultati di esperimenti OTC sono discutibili in quanto, anche se sono svolti in pieno campo e con pareti trasparenti, non sono in grado di garantire alle piante coltivate condizioni di temperatura, umidità e vento del tutto conformi a quelle di pieno campo. Ad esempio le OTC generano condizioni micrometeorologiche più calde che nelle aree di pieno campo limitrofe ed il comportamento dei parassiti viene sensibilmente modificato rispetto a quello proprio del pieno campo.

 

Fig_2
Figura 2 – Foto dall’alto di sistemi FACE per l’arricchimento in CO2 di parcelle di vegetazione forestale (http://aspenface.mtu.edu/). Le barre verticali bianche sono gli aspersori di CO2.

 

Per porre rimedio a tali limitazioni si è fatto strada l’approccio basato sul Free-Air CO2 Enrichment (FACE). Un tipico esperimento FACE ha luogo in una parcella di 15 – 30 m di diametro posta all’interno del campo della coltura oggetto d’indagine ed in cui la CO2 viene rilasciata proprio al di sopra della coltura stessa, sul lato sopravvento per mezzo di appositi aspersori. Ovviamente in un esperimento FACE il difficile sta nel mantenere la CO2 a livelli stazionari e quanto sopra ci riporta ad un lavoro di J.A. Bunce (2012) apparso sulla rivista Photosynthetica e segnalatomi dall’amico Guido Botteri.

 

Fig_3
Figura 2 – I fisiologi Kent Burkey (left) and Fitzgerald Booker raccolgono campioni da Open Top Chambers installate in un campo di soia per indagare gli effetti di elevata CO2 e ozono (fonte Ministero dell’Agricoltura USA – http://www.ars.usda.gov).

 

In tale lavoro, si riportano i risultati di un esperimento condotto in OTC su cotone (Gossypium hirsutum L.) e frumento tenero (Triticum aestivum L.). In sintesi si sono sottoposte le specie in esame a livelli di CO2 costanti di circa 600 ppmv ovvero a livelli medi di 600 ppmv ma fluttuanti fra 450 e 750 ppmv con periodo di 1 minuto in modo da simulare in qualche modo quanto può aver luogo in un esperimento FACE per effetti indotti da turbolenza.
In risultato è stato che, nonostante i valori medi analoghi, le prove con CO2 fluttuante rispetto a quelle con CO2 costante hanno prodotto riduzioni di resa statisticamente significative che sono mediamente del 30% in cotone e del 12% in frumento tenero.

 

In sintesi dunque l’approccio allo studio degli effetti di elevati livelli di CO2 sulla produzione delle colture basato su FACE presenta alcuni indubbi vantaggi legati all’assenza delle barriere tipiche dei sistemi OTC e che sono in grado di alterare in modo sensibile i livelli di temperatura, umidità relativa, vento e radiazione (solare e netta). Tuttavia nell’approccio FACE emerge uno svantaggio non trascurabile legato alla fluttuazione nei livelli di CO2 che può tradursi in significative sottostime degli effetti positivi della CO2 sulla produttività.
A ciò si aggiunga il costo elevatissimo di una campagna FACE in virtù delle enormi quantità di CO2 che debbono essere rilasciate nel corso della campagna. In sintesi le OTC sembrano offrire migliori condizioni in materia di logistica e accessibilità per eseguire un maggiore numero di esperimenti con una combinazione di CO2 elevata e temperatura elevata, per cui l’uso delle OTC rimane oggi strategico ed economicamente assai più conveniente.

 

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Bibliografia

  • Allen, L.H., Drake, B.G., Rogers, H.H. & Shinn, J.H., 1992. Field techniques for exposure of plants and ecosystems to elevated CO2 and other trace gases. Critical Reviews in Plant Sciences, 11: 85–119.
  • Bunce J.A., 2012. Responses of cotton and wheat photosynthesis and growth to cyclic variation in carbon dioxide concentration, Photosynthetica Vol. 50 (3): 395-400 – l’abstract è liberamente consultabile al sito http://link.springer.com/article/10.1007%2Fs11099-012-0041-7
  • D’Andrea L., Rinaldi M., 2008. Strumentazioni per lo studio delle risposte delle colture agrarie ai cambiamenti della concentrazione di CO2 atmosferica, Rivista italiana di Agrometeorologia, http://www.agrometeorologia.it/documenti/Aiam2008/07DAndreaRinaldi.pdf
  • DaMatta F., Grandis A., Arenque B.C., Buckeridge M.S., 2010. Impacts of climate changes on crop physiology and food quality, Food Research International, 43 (2010), 1814–1823.
  • Macháčová K., 2009. Open top chamber and free air CO2 enrichment – approaches to investigate tree responses to elevated CO2, collection: NFZ Summer School 2009 – Birmensdorf (Switzerland), Long-term ecosystem research: understanding the present to shape the future, Guest Editor: Marcus Schaub (WSL, Switzerland) – disponibile gratuitamente al sito www.sisef.it/forest/pdf/?id=ifor0544-003)

 

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Published inAttualità

2 Comments

  1. Luigi Mariani

    caro Donato,
    ti ringrazio per il commento che pone in evidenza quello che anch’io colgo ormai da parecchi anni e cioè un rapporto fra scienza e società che è irrazionale e basato su equivoci. In sostanza un rapporto fondato su basi emotive, che alterna fasi di “innamoramento” e di “totale sfiducia” senza mai una visione razionale di ciò che la scienza può e non può dare.
    Volendo un attimino risalire alle cause di questo strano rapporto io proverei a considerare il fatto che nelle società di massa e con media sempre capillarmente diffusi si diffondono con estrema rapidità sia informazioni veritiere sia bufale incredibili. Vinceranno le bufale o la verità? Arriverà prima Achille o la tartaruga?
    Il vecchio adagio del cardinale Wolsey secondo cui “occorre far bene attenzione a quel che si mette in quelle teste, perché poi sarà ben difficile levarlo” è un monito permanente rivolto non solo agli educatori ma anche a chi (e qui mi riferisco a rilevanti porzioni della classe politica e dei media e dello stesso mondo scientifico) sta riempiendo la testa dei nostri concittadini con concetti falsi o quantomeno molto parziali (penso ad esempio all’abuso del principio di precauzione da cui discende l’odio aprioristico per la chimica o per la fisica nucleare).
    A mio avviso questa gente si sta assumendo una responsabilità storica enorme, e qui mi fermo perchè non voglio apparire uan cassandra…
    Ciao.
    Luigi

  2. donato

    Articolo molto bello! Il post di L. Mariani si presta a due ordini di riflessioni: l’incertezza di ogni esperimento scientifico connessa all’incertezza nelle misurazioni delle caratteristiche quantitative del fenomeno che si sta studiando e la difficoltà di estrapolare i risultati di una sperimentazione in condizioni controllate al mondo reale.
    Si tratta, a mio modesto parere, di aspetti che incidono sul concetto epistemologico di ricerca scientifica e, contemporaneamente, consentono di interpretare da un punto di vista sociologico la percezione che della scienza si ha al di fuori della comunità scientifica. I risultati di una ricerca scientifica, oggi come oggi, non sono mai valutati per quel che sono, ovvero un’ombra, di platonica memoria, della realtà, un’approssimazione più o meno fedele di ciò che realmente succede o succederà, basata su modelli deterministici e/o statistici.
    I vari media si affannano a presentarci come verità assoluta ciò che non lo è. Sublimano ad un livello quasi trascendente la stupefacente precisione con cui si riesce a lanciare una sonda spaziale dalla Terra facendola scendere sulla superficie di Marte da dove ci trasmette immagini e dati, ma non esitano a screditare, fino all’abominio, il fallimento di un’impresa scientifico-tecnologica come il disastro di Fukushima o il mancato verificarsi del terremoto in Garfagnana. Se a questo si aggiunge l’alto livello di analfabetismo scientifico (di base e di ritorno) che caratterizza la nostra società, si capisce che si viene a creare una miscela esplosiva che da un lato carica la ricerca di responsabilità che non può avere e dall’altra genera delle aspettative nell’opinione pubblica che mai potranno essere soddisfatte. La mia professione mi pone ogni giorno di fronte a frotte di adolescenti i cui sentimenti oscillano tra una fede cieca nella scienza ed un suo rifiuto totale. La mia più grande fatica è convincerli che, in campo scientifico, tutto è vero fino a prova contraria, che ogni conclusione scientifica è SEMPRE affetta da un margine di incertezza, che i risultati potranno essere tanto al di sopra delle attese che al di sotto di esse. L’idea che una legge fisica possa emergere da una marea di dati che ne sono la base imprescindibile e che essa può cambiare se tali dati dovessero cambiare, fa molta fatica a farsi strada nel loro cervello. Così come l’idea che la matematica è il frutto di un ragionamento logico in continuo divenire e non una serie di formule da mandare a memoria per risolvere una serie di esercizi. Proprio oggi una studentessa, di fronte alla dimostrazione di un teorema, candidamente mi ha chiesto se per prendere un buon voto biognava imparare a memoria le dimostrazioni per poi ripeterle: con lei mi aspetta un lavoro arduo ed il cui esito è del tutto incerto 🙂 .
    Il dramma della società in cui viviamo è proprio questa concezione distorta della ricerca scientifica che rende la scienza aliena a tanta parte della nostra società. Un conoscente, qualche sera fa, al capezzale di un amico morto di cancro si chiedeva il perché la scienza non riuscisse a sconfiggere la malattia. Ho cercato di spiegargli che gli scienziati ancora non sono riusciti a capire a fondo tutti i meccanismi che sono alla base della malattia, che molti dei meccanismi coinvolti nella genesi delle malattie tumorali sono gli stessi che regolano il ricambio cellulare, che distruggendo tutti questi meccanismi si può determinare la morte del paziente in modo più veloce di quanto possa fare il tumore e via cantando. L’espressione del volto del mio interlocutore oscillava tra la commiserazione e l’incredulità: per lui era inconcepibile che uno scienziato non potesse giungere alla soluzione del problema. Ancora una volta emerge una concezione distorta della scienza vista come la panacea di tutti i mali e a cui non si perdona la possibilità di sbagliare. A nessuno passa per la testa che è opera dell’uomo e, come ogni opera umana, fallibile. Altro esempio, al contrario, però, è il famigerato principio di precauzione: poichè sappiamo di non sapere è meglio astenersi da qualsiasi azione se non siamo in grado di prevederne con certezza gli effetti. E in questo irrisolvibile dilemma tra fiducia cieca nella scienza e rifiuto aprioristico di ogni cosa che sia scienza, nuovo asino di Buridano, la nostra società langue nella paralisi più completa. Mi auguro che non faccia la fine dell’asino di Buridano, ma da uomo che vive nei luoghi in cui si formano le nuove generazioni e che giorno dopo giorno valuta il processo di formazione della cultura scientifica e non solo, sono piuttosto pessimista. Le ultime vicende legate ai terremoti de L’Aquila e della Toscana sono una prova lampante, almeno secondo me, del clima surreale in cui opera la ricerca scientifica in Italia e nel mondo. E questo senza neanche sfiorare le tematiche climatiche che solitamente si discutono su queste pagine.
    Ciao, Donato.

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