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Essere ricchi e vivere felici…alla faccia di Malthus

Non parliamo espressamente di clima oggi, ma piuttosto di policy climatiche. E’ già capitato molte volte di discutere come queste passino troppo spesso, anzi, si può dire praticamente quasi sempre, attraverso concetti piuttosto estremistici di limitazione della crescita, ove non addirittura decrescita, portati avanti con grande convinzione da molti di quanti sono sicuri che si vada incontro alla catastrofe climatica.

 

Roger Pielke jr, che non è né scettico ne catastrofista, ma semplicemente sempre molto obbiettivo, ha pubblicato un paio di giorni fa un post in cui si augura che prima o poi si possano mettere definitivamente in cantina, o magari nella spazzatura, atteggiamenti e proponimenti che si rifanno al cosiddetto Paradosso di Easterlin, uno dei dogmi più cari all’attivismo ambientale e climatico.

 

Il Paradosso di Easterlin è così descritto direttamente dal suo ideatore in una intervista di qualche anno fa:

 

In termini semplici, il paradosso della felicità e del guadagno è questo: a un certo punto nel tempo sia tra le nazioni che all’interno delle stesse, la felicità e la ricchezza sono in correlazione positiva, ma, nel tempo, la felicità non aumenta più con l’aumento della ricchezza di una nazione.

 

Dalla teoria di Easterlin, ad esempio, discendono molte delle perplessità spesso sollevate nei confronti della rappresentatività del PIL ai fini della misura del benessere di una nazione e della sua popolazione, anche e soprattutto in termini di well-fare. Senza entrare nel merito della descrizione di Easterlin dal punto di vista etico – non ho intenzione di scatenare un putiferio, mi limiterei a far notare che così, a spanne, il fatto che nei paesi più ricchi si viva meglio oggi sembrerebbe assodato, così come sembra ovvio, e riprendo ancora il post di Pielke, che se il benessere non aumenta con la ricchezza, è un problema di policy che quella ricchezza la devono impiegare, non di crescita per se.

 

Ad ogni modo, ognuno può pensarla come crede, l’importante è che le proprie convinzioni siano scientificamente robuste. E non pare proprio sia questo il caso del Paradosso di Easterlin, dal momento che successive ricerche, sviluppate su campioni statisticamente di gran lunga più rappresentativi di quelli da lui impiegati nel lontano 1974, hanno ampiamente dimostrato che il benessere cresce con la ricchezza di una nazione e con la ricchezza tra le nazioni, senza incontrare alcun punto di stallo o, peggio, di regressione.

 

Ora, chi vuole, può anche continuare a sostenere il tema della decrescita per mille altre ragioni, tra queste, perché no, la necessità di curare un clima la cui malattia è tutta da accertare. L’importante è che sappia che la correlazione positiva funziona in tutti e due i sensi. Se la ricchezza cresce il benessere cresce, se questa cala, inevitabilmente si finisce per vivere peggio. Su chi debba poi sperimentare il peggioramento non mi farei illusioni, ce lo ha spiegato bene il signore nel titolo di questo post qualche già parecchio tempo fa. Per inciso quelle nell’immagine sono la Korea del Sud e la Korea del Nord. Questione di punti di vista.

 

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NB:  il post di Pielke jr è qui, ve ne consiglio la lettura.

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Published inAttualità

15 Comments

  1. Mattia Trenta

    Che la Corea del Sud non abbia la bomba atomica è una bugia colossale. Io ho sempre condiviso pienamente il vostro scetticismo sull’andare arrosto per colpa dell’uomo, ma invito chi cura questo blog ad attenersi al clima, senza fare pericolosi scivoloni su argomenti quali ricchezza, politica, sviluppo e “benessere”, che non sono materia climatica e che comunque sono opinabili. Si vede fin troppo bene lo stiracchiamento logico con cui si cerca di appiccicare le questioni legate alla politica mondiale e alla distribuzione delle risorse con le previsioni climatiche, naturalmente per sdoganare opinioni personali che restano tali, senza alcuna base di oggettività o di scientificità. Cordiali saluti.

    • Mattia, ti spiace spiegarti meglio?
      gg

    • Guido Botteri

      Mattia, da:
      http://it.wikipedia.org/wiki/Stati_con_armi_nucleari
      “La Corea del Sud avviò un proprio programma nucleare militare nel 1971, anche come reazione al parziale ritiro di truppe americane dalla penisola; per evitare tensioni con il vicino settentrionale, gli Stati Uniti si fecero promotori di forti pressioni diplomatiche perché il governo di Seul abbandonasse il progetto, cosa avvenuta nell’aprile del 1975 con la ratifica del TNP[58]. Nel 2004 il paese fu oggetto di una campagna di ispezioni da parte dell’AIEA dopo che alcuni scienziati avevano condotto esperimenti non autorizzati per la produzione di plutonio: il governo sudcoreano collaborò alle ispezioni e nel giugno del 2008 l’AIEA confermò che il programma nucleare di Seoul rispettava gli standard per un uso pacifico”
      Quindi se wikipedia collabora ad una “bugia colossale” ti prego di fornircene prove concrete, e correggere il testo di wikipedia.

      Detto questo, ti prego di notare che “comunque” il fatto che la Corea del Sud abbia o non abbia una sua bomba atomica è IRRILEVANTE ai fini del ragionamento.
      Qui si fa notare (o almeno, io personalmente faccio notare – non voglio coinvolgere altri in quello che affermo io) che uno Stato (la Corea del Nord) che non offre comforts al suo popolo, ma lo lascia morire di fame, ha invece la bomba atomica.
      Bombe invece di pane.
      Se anche la Corea del Sud, invece, avesse una bomba atomica (che secondo wikipedia non ha, ed io credo a lei fino a quando non mi porti prove serie in contrario), il suo popolo gode di un tenore di vita ben più prospero e confortevole. Cioè non sta affamando il suo popolo per portar avanti costosi armamenti.
      Non so ho reso la differenza, che a me sembra abissale.
      Cordiali saluti anche a te.

  2. Alvaro de Orleans-B

    In questo sito una riflessione sulla felicità mi pare molto azzeccata — felicità e AGW potrebbero essere più legati di quanto non appaia a prima vista.

    Infatti, uno dei “momenti felici” lo troviamo associandoci a un movimento con un fine comune nobile e disinteressato — quando partecipiamo a “salvare la balena” o anche “il clima”, pur non essendo dei addetti ai lavori.

    Tanto è così che, anche senza capirne tanto il perché, ci dispiace o addirittura ci infuria lo scettico che possa sminuirci il pericolo da allontanare, togliendo così sostanza –e appagamento — alla battaglia che stiamo combattendo in gruppo; rivedere le nostre convinzioni può comportare un costo emotivo subdolo ma rilevante.

    Più in generale, credo che la correlazione tra felicità e benessere (almeno inteso come agiatezza economica) sia più tenue di quanto si pensi.

    A scuola ci insegnano storia e geografia — mappe temporali e spaziali per viaggiare nel mondo “dalla nostra retina in fuori”, ma nulla, o quasi, ci insegnano per viaggiare dentro di noi, per conoscerci “dalla retina in dentro”.

    Così molti dei nostri giovani pensano che il momento felice, quasi magico che si accende dentro di noi quando capiamo qualcosa di importante non sia differente dalla sensazione magica di una pastiglia comprata in discoteca — “felicità” considerate del tutto simili, forse la prima vale un pò meno perché costa più fatica.

    Credo che la felicità sia molto più legata alla sfera culturale che a quella del benessere — e per quanto il conto in banca possa contribuire a raggiungerla, è la nostra ricchezza culturale e capacità introspettiva che la rende meno sfuggente.

    E ancor più fortemente sono convinto che associare la felicità in primis con il benessere economico ci porti sottilmente a considerarla come un bene limitato in un gioco a somma zero: “la tua maggior felicità è a scapito della mia”, giustificandone l’invidia.

    Per fortuna è vero il contrario: in questo mondo, di felicità ce n’è tanta quanta riusciamo a crearne — senza limiti!

    • luigi mariani

      “In questo sito una riflessione sulla felicità mi pare molto azzeccata — felicità e AGW potrebbero essere più legati di quanto non appaia a prima vista.”
      Capisco allora che la lotta all’AGW possa aprire per qualcuno la porta della felicità che gli deriva dal sentimento di star contribundo a salvare il pianeta dal baratro combattendo contro i “cattivi”. Tuttavia questo mi pare un sentimento oltremodo infantile perché la realtà della vita ci insegna che questi peccati d’orgoglio lasciano prima o poi il passo alla presa d’atto che il mondo non si salva grazie a gesti individuali ma grazie ad una crescita culturale, assai più faticosa da ottenere, assai meno visibile ma passibile di frutti molto più duraturi.
      PS: su felicità e AGW vi riporto una testimonianza dell’amico storico dell’agricoltura Gaetano Forni il quale, parlando un paio d’anni orsono con Emmanuel Leroy Ladurie, illustre storico del clima, si sentì dire che “non sa cosa vuol dire gioia di vivere chi non ha vissuto gli ultimi vent’anni in Europa: buon vino, inverni miti, ecc.”.

  3. Edo da Torino

    Mea culpa!
    Come al solito grazie ai sig. Giudici e Botteri per le riflessioni stimolanti e concrete che pongono.
    Buona serata, colonnello, e ovviamente grazie anche a Lei per il testo del post.

  4. Luigi Mariani

    3 febbraio 2013
    Concordo con Fabrizio Giudici nel considerare il concetto di felicità come troppo complesso per poterlo ridurre ad un indice statistico, per quanto polifattoriale esso sia.
    A tale riguardo osservo che il tema della felicità è un tema esistenziale oggetto di riflessione filosofica da centinaia di anni come testimonia lo scritto “IL CONCETTO DI FELICITÀ NEL PENSIERO FILOSOFICO” di Graziella Morselli che ho trovato in rete e di cui consiglio la lettura (http://www.swif.uniba.it/lei/scuola/filosofi/2000/5MORSELL.PDF).
    Ma proprio perchè si tratta di un tema esistenziale mi domando se sia sensato polo in correlazione con il PIL. A tale riguardo si pensi ad esempio alle riflessioni di Leopardi sul tema della felicità. Non è in alcun modo possibile interpretare l’infelicità del pastore errante per l’Asia o dell’islandese come frutto del basso PIL dei propri paesi d’origine in quanto la causa d’infelicità è la Natura (intesa come clima, geologia, natura umana stessa).
    Insomma, credo che occorra a mio avviso essere più pragmatici considerando qualcosa di più modesto e concreto rispetto alla felicità ed in ciò mi riferirei ad esempio alla libertà ed al soddisfacimento dei bisogni essenziali.
    Luigi

  5. Edo da Torino

    Gent. mo Col. Guidi, mi duole correggerLa, ma “se”, quando è pronome, vuole l’accento (sé).
    Cordiali saluti e buona domenica.

    • Guido Botteri

      Edo, l’espressione “per se” si scrive (correttamente) senza accento, perché è espressione “latina”.

    • In effetti è in corsivo…
      gg

  6. Mah, io un piccolo putiferio lo vorrei sollevare. 😉 Da un lato è vero che il fine della politica è far “star bene” i cittadini e la ricchezza un questo contesto è un mezzo e non un fine. La Costituzione USA riassume mirabilmente questo principio nella frase che contempla “la ricerca della felicità”. Il problema è che il PIL è misurabile, la felicità no. Il “subjective well-being” potrebbe essere misurato con sondaggi, supponendo che il paese per cui lo stiamo misurando è libero. Ma la libertà non basta: la felicità richiede consapevolezza, la quale dipende dallo sviluppo culturale e dalla conoscenza. La felicità per un indio che vive ancora isolato dal resto del mondo è molto diversa dalla mia felicità. Non ho intenzione, qui, di sostenere che sia “meglio” la mia felicità piuttosto che la sua, ma è certamente più ampia la mia consapevolezza. Per esempio, se ricordo la frase (forse di Dostoevskij? ma non ricordo bene) “non si può essere felici se si sa che da qualche parte c’è un bambino che muore”, ne traggo la conseguenza che l’indio, conscio solo del suo villaggio, ha molte più probabilità di essere felice di me, conscio di sei/sette miliardi di esseri umani. Ancora: il concetto di felicità è completamente diverso nella prospettiva di un religioso e in quella di un materialista. Per certi versi è ragionevole che certe religioni, come il cristianesimo, imputino ad un eccesso di ricchezza la perdita di orientamento, l’incapacità di riconoscere i “veri” valori, che sarebbero ultraterreni, causando quindi la perdita totale della felicità (eterna). Per la cronaca, credo che questo ragionamento abbia un senso, almeno fino a quando non scade nel pauperismo.

    Ho fatto solo degli esempi a caso per arrivare alla conclusione che è tutto troppo complicato, soggettivo, per essere misurabile da un’equazione. Per questo credo che non valga il paradosso di Easterlin, così come non valga neanche chi lo nega, come l’articolo linkato, perché entrambi basati sulla pretesa di misurare una cosa che non è misurabile.

    Rimane il fatto che sono d’accordo con te, ritengo che comunque la politica debba sforzarsi di portare un benessere materiale sempre maggiore ai cittadini, insieme all’imprescindibile libertà, in modo che poi ogni individuo possa scegliere per sé, con meno vincoli possibili, quello che ritiene essere il meglio. Ma è una posizione che posso attribuire ad un generico “buon senso”, che però è soggettivo.

    La conseguenza di questa non misurabilità è che si aprono ampie praterie per i ciarlatani, i quali sguazzano in tutto ciò che non è misurabile. Per esempio, qualcuno ha inventato il concetto di “Felicità Interna Lorda”, e rimando alla pagina di Wikipedia per approfondire questa meraviglia, anche perché ci parla di una chicca che dimostra quanto tutto il discorso non stia in piedi. I sostenitori della FIL citano ad esempio il Buthan, paese non particolarmente ricco, che sarebbe il primo invece nella graduatoria della felicità. Dimenticano però di ricordare che il Buthan ha espulso decine di migliaia di persone di etnia Lotshampa perché non “veri bhutanesi” (e quindi evidentemente non degni di essere felici), la maggior parte dei quali risiede tutt’ora in campi profughi. Per quanto ne so, l’unico paese che ha dato disponibilità parziale ad accoglierli sono gli USA, quelli del tanto vituperato PIL.

    • Fabrizio, in effetti il concetto di felicità non è facilmente quantificabile. Lo è però il benessere, che non necessariamente rende felici ma può tornare utile. E non parlo del benessere personale, quanto piuttosto di quello collettivo, che si esprime all’interno di una società organizzata in termini di wellfare. Si potrebbe obbiettare che una decrescita redistributiva potrebbe favorire politiche di wellfare, ma è un miracolo nel quale non riporrei troppe aspettative…
      gg

    • Grazie, buona domenica Edo.
      gg

    • Guido Botteri

      Fabrizio, la felicità non è certamente misurabile, perché si può avere tutto ed essere infelici, e non avere niente ed essere infelici. Ma se bastasse non avere niente per essere felici, la decisione sarebbe facile:
      basterebbe andarsene in giro a fare gli eremiti.
      Ci sono persone che l’hanno fatto, e nessuno glielo impedisce a chi ci crede. Personalmente non sono d’accordo, ma chi propone questo tipo di filosofia, ha “un’unica” scelta di vita coerente, dare via tutto e vestirsi di un saio, a piedi scalzi. San Francesco lo fece. Io non lo farei mai, perché io sono un peccatore, non un santo, e non ho nessuna voglia di diventarlo, santo.
      Il buon senso mi suggerisce che la ricchezza non dà (per se) la felicità, ma dovendo scegliere, meglio essere infelici benestanti che infelici poveri. Soprattutto in questi tempi in cui sta diventando un lusso ammalarsi, e trovare un lavoro sta diventando sempre più difficile.
      La ricerca di un maggiore benessere è un fatto naturale, che discende dal buon senso.
      L’opposizione al benessere è invece un fatto ideologico, che spesso si concretizza in una situazione di ipocrisia, di contrasto tra quel che si dice e quel che si fa.
      Un esempio ce l’abbiamo sotto gli occhi, nelle politiche delle due Coree, e nei risultati, che sono evidenti.
      Nella Corea del Nord il popolo non ha benessere, come è evidente dalla mancanza di luci, ma ha la bomba atomica, che il popolo della Corea del Sud non ha.
      Nella Corea del Nord si fa la fame. Ma hanno la bomba atomica.
      Dobbiamo concludere che la bomba atomica dia la felicità al popolo ?
      Sinceramente, per quanto il benessere non sia la felicità, preferirei mille volte vivere in Corea del Sud che in Corea del Nord, rinunciando senza rimpianti alla gloria di possedere la bomba, ma potendo aspirare a tutti quei beni che una Società moderna ci mette a disposizione.
      Ebbene sì, confesso di possedere i-Phone, televisore, computer, lettore di blue-ray, i-Pod e tanti altri strumenti di benessere di massa, e di considerare tutto ciò un grande arricchimento, anche culturale, rispetto a quando, da piccolo, non potevo accedere a quell’immensa riserva di cultura che è internet.
      Quand’ero piccolo, se dovevo camminare, camminavo. Ora, se devo camminare, mi infilo le cuffie dell’i-pod (aperte, non mi impediscono di sentire quello che succede intorno…è un po’ come avere un amico a fianco che ti parla) e ascolto uno delle decine di corsi che ho memorizzato, mandarino, ungherese, svedese, catalano…quel che è. Una volta mi era praticamente difficile anche procurarmi qualcosina di olandese…
      Una volta se dovevo aspettare, aspettavo. Ora ho le app sull’i-Phone, che mi permettono di utilizzare l’attesa esercitandomi nella scrittura degli hanzi.
      Ora posso studiare l’hittita (e il sumero, se volessi, o le lingue più antiche e strane), o semplicemente giocare a sudoku.
      Insomma, ho delle immense possibilità culturali che una volta non avevo neanche il coraggio di immaginare…
      Chi ha interessi diversi dai miei, può dare sfogo al suo bisogno di sapere, o vedere, o ascoltare (musica a gigabyte come fosse acqua fresca…) come mai sarebbe stato possibile senza i progressi di una Società fondata sul benessere.
      Posso esplorare un mondo che quando ero ragazzino mi era precluso, se non in piccolissima parte e con grande fatica. E che dire delle conoscenze sull’universo ? O vogliamo parlare dei progressi della medicina, che se dovessimo dar retta a chi ciancia di decrescita, dovrebbe fermarsi o forse regredire ?
      Meno di un anno fa sono stato operato di un male che in altri tempi mi sarebbe stato fatale, ed ora son “più arzillo e bello che prìa” 🙂
      Tenetevi il regresso bene stretto (chi di voi odia il progresso, e odia l’umanità, accusandola di strane e ipotetiche “colpe”), ma non coinvolgetemi nel vostro “amore” per un mondo che non esiste, non è MAI esistito e non esisterà mai.
      Secondo me.

    • Gianni

      Illuminante una riflessione di Rino Cammilleri sulla felicità ad Haiti, là dove si premura di non fare l’elogio della decrescita felice, perché penuria e esposizione a malattie danno tutto tranne che la felicità. Ma “si può benissimo essere nell’abbondanza e nella sicurezza senza rimetterci in serenità”. Buona lettura: http://www.lanuovabq.it/it/articoli-poveri-e-felici-contro-ogni-previsione-5744.htm

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