Su queste pagine abbiamo affrontato il tema degli eventi estremi moltissime volte, forse troppe. Eppure è molto difficile evitare di tornarci su, perché gli input che arrivano sono davvero tanti. Per esempio qualche settimana fa abbiamo visto come si stia iniziando a parlare di obbligatorietà della copertura assicurativa dalle calamità naturali. Un discorso che da noi è veramente in embrione, malgrado qualche operatore del emrcato assicurativo si stia già muovendo e malgrado in altri paesi il percorso, pur difficile, sia in effetti già tracciato.
Il nodo cruciale della discussione è la resilienza, cioè la capacità di un sistema di ripristinare le condizioni di equilibrio dopo un significativo evento perturbante. Con riferimento alle calamità naturali di origine atmosferica si può accrescere la resilienza per esempio con interventi sul dissesto del territorio, con l’informazione, con il potenziamento delle capacità predittive e anche, ovviamente, con la copertura assicurativa. Il nostro modo di vivere, se da un lato ha visto aumentare la capacità di far fronte alle emergenze grazie al progresso tecnologico, sta però scoprendo di avere tanti punti deboli che in passato non costituivano un problema. E di quel passato si conserva veramente poca memoria.
Qualche giorno fa è comparso un post che a questo riguardo si può definire illuminante. Si va in Inghilterra, perché se c’è un paese che sta sperimentando da qualche anno eventi intensi a ripetizione è proprio quello. Nevicate storiche d’inverno e piogge alluvionali d’estate soprattutto. Questo nonostante appena qualche anno fa gli amici del Met Office si dicevano convinti che i loro figlio non avrebbero conosciuto la neve e che la siccità si sarebbe mangiato il paese.
Non tutti però. Infatti leggiamo qui che nel 2008 tal Stuart Lane della Durham University andava decisamente in controtendenza, specialmente riguardo le alluvioni. A quanto pare dai suoi studi salta fuori che alle oscillazion ad alta frequenza della variabilità interannuale si sovrappongono oscillazioni più ampie che finiscono per caratterizzare periodi anche multidecadali di più o meno elevata frequenza di occorrenza di alluvioni. E siccome 30/40 anni sono lunghi per la memoria di una generazione e lunghissimi per chi fa policy, il risultato è che a quello che sembra essere un ritorno ad una maggiore frequenza di alluvioni corrisponde un basso livello di resilienza rispetto a questi eventi.
Sarà mica che per prepararsi al futuro bisogna conoscere il passato più che le previsioni climatiche?
Ognuno risponda come crede, a me preme mettere in risalto la spiegazione che Lane si da’ di queste oscillazioni: la latitudine media del flusso perturbato, ovvero del getto polare, il quale negli ultimi anni ha deciso di ricominciare a guadagnare territorio verso sud. Con buona pace del clima delle palme che sarebbe dovuto arrivare da noi e con buona pace dei progetti di vinificazione degli abitanti dell’Albione.
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