Da un punto di vista climatico, il periodo che intercorre tra circa il 900 d.C. e il 1300 d.C. viene definito “optimum”, per via delle temperature più elevate rispetto al periodo precedente ed immediatamente successivo. La letteratura in merito è sterminata, oggi riusciamo a farci un’idea piuttosto precisa dal punto di vista qualitativo leggendo le cronache del tempo.
D’altro canto è da circa un decennio che i ricercatori di tutto il mondo stanno lavorando per ottenere anche un risultato quantitativo il più preciso possibile. E’ interessante infatti conoscere le temperature e altri parametri atmosferici di quel periodo. La domanda che possiamo porci è: perchè il periodo caldo medievale (Medieval Warm Period, MWP) è così importante (al di là del mero spirito indagatore che è di tutte le scienze)? L’MWP ha guadagnato via via sempre più importanza, dal momento in cui è entrato nel dibattito sull’attuale riscaldamento globale (di natura antropica o naturale, e questo è il dilemma scientifico da risolvere). Che abbia fatto caldo, durante l’MWP, è indiscutibile: ma avrà fatto più o meno caldo di adesso?
La domanda sembra un mero esercizio accademico, invece no, è addirittura uno degli snodi essenziali dell’intero dibattito sul riscaldamento globale. Il perchè è presto spiegato se, infatti, si dimostrasse che il MWP sia stato un fenomeno a livello locale, magari solo europeo, acquisterebbe immediatamente più importanza il riscaldamento globale attuale che, appunto essendo globale, mostra una chiara omogeneità nei dati relativi alle anomalie termiche. L’assunto di base dell’IPCC nel suo ultimo report1 (l’AR4) è che le temperature medievali, contrariamente ad oggi, presentano una notevole eterogeneità , negando in tal modo la dimensione globale o emisferica di quel riscaldamento.
Un recente studio “The IPCC on a heterogeneous Medieval Warm Period”, da poco pubblicato sulla rivista specialistica “Climatic Change”, ad opera degli scienziati svizzeri Jan Esper e David Frank, mette in dubbio l’interpretazione che l’IPCC fa dei dati medievali. In altre parole non è affatto scontata l’eterogeneità messa in luce dall’IPCC e anzi i dati sembrano al momento del tutto insufficienti per poter trarre una qualsiasi conclusione sulla loro estensione spaziale, con le parole degli autori:
it thus seems relevant to recall that we currently do not have sufficient widespread, high-resolution proxy data to soundly conclude on the spatial extent of warmth during MWP
Dati proxy, il problema è sempre tutto qui. Dal momento in cui abbiamo potuto usufruire di letture dirette dei parametri atmosferici, abbiamo creato serie di dati con osservazioni, appunto dirette. Chiaramente ciò non è sempre stato possibile, nell’arco della storia, ci si basa quindi su misurazioni indirette estrapolate tramite vari procedimenti e che portano alla determinazione della serie di dati. Questo il dato proxy in pochissime parole. Fatta salva l’affidabilità di queste ricostruzioni, vale il principio secondo cui più proxy abbiamo e più potremo ricostruire fedelmente le condizioni climatiche.
Torniamo allo studio. I due ricercatori elvetici mettono in luce chiaramente l’importanza del dibattito sull’eterogeneità dei dati:
Such heterogeneity alone is often used as a distinguishing attribute to contrast with present anthropogenic warming. Twentieth century temperature homogeneity is – besides the level and rate of recent warming – sometimes considered as an indicator for a greenhouse-gas-forced climate, and as such, estimation of pre-industrial climatic heterogeneity would be of relevance to the attribution of the anthropogenic impact on recent warmth
Nel dettaglio, i proxy utilizzati nell’AR4 sono: una carota glaciale proveniente dalla Groenlandia occidentale, una registrazione multi-proxy dall’Asia orientale, sei misurazioni dendrocronologiche provenienti dal Canada, dagli USA, dalla Svezia, due dalla Russia e infine dalla Mongolia.
Tramite strumenti statistici raffinati, Esper e Frank arrivano alla conclusione che non vi è alcun indizio di una maggior eterogeneità nei dati medievali. Questo problema emerge spesso quando si debbano “selezionare” dei proxy piuttosto che altri (procedimento che è documentato in modo carente nell’AR4). Addirittura la apparente omogeneità dell’attuale riscaldamento globale, potrebbe essere frutto semplicemente della calibrazione effettuata sulla serie.
Entrando nei tecnicismi dello studio, quello che viene imputato all’IPCC è che da un lato, la minor rappresentatività del campione, dall’altro la minor distribuzione geografica, hanno introdotto un notevole rumore di fondo, fluttuazioni casuali, nelle serie di dati. In particolare l’utilizzo di serie dendrocronologiche può portare ad un riduzione complessiva della qualità del segnale finale. E, come ci dicono gli autori:
(…) by introducing more random fluctuations can leave the erroneous impression of increased heterogeneities
Ovvero maggiori oscillazioni casuali possono dare l’impressione di una maggiore eterogeneità . Giungendo alle conclusioni, i due autori non riscrivono le temperature del periodo caldo medievale, bensì operano una verifica a monte dei sistemi adottati per estrapolare le temperature del periodo. Non vi sono elementi sufficienti per accertare l’eterogeneità del fenomeno, a fronte delle serie e degli strumenti statistici utilizzati dall’IPCC nell’AR4.
Data l’importanza dell’ argomento, noi di CM seguiremo attentamente l’evoluzione di questo nuovo filone di indagine. E’ chiaro che se le nuove ricostruzioni portassero comunque ad una marcata eterogeneità , allora in quel caso dovremmo rivalutare le forzanti dei gas serra degli ultimi 150 anni. Nel caso opposto, emergesse una omogeneità nelle ricostruzioni, ebbene a quel punto altrettanto onestamente andrebbe rivisto l’intero impianto relativo al riscaldamento globale di natura antropica.
- IPCC (2007) Climate change 2007. Physical Science Basis, Cambridge [↩]
[…] rispondevano al criterio imposto di correlazione. Su questo fatto torneremo più avanti, perchè abbiamo visto di recente come i proxy siano spesso impossibili da legare in alcun modo alle […]
http://www.wpsmeteo.it/index.php?ind=news&op=news_show_single&ide=761
Sempre un mio articolo, ci sono tre grafici e tutti i link di riferimento.
Qualcuno ci dovrebbe spiegare cosa scaldò il medioevo, e perchè adesso la causa dovrebbe essere diversa
Ho sempre guardato con una certa apprensione a tutto ciò che viene ridotto ad una retta. Passabile, anche se riduttivo, per interpolare; rischioso estrapolare.
Ma per fortuna la scienza va avanti e ci sarà di certo modo di verificare quale legge seguono gli anelli e da quali parametri dipende. La legge parabolica dello studio citato è ovviamente solo un esempio per mostrare come matematicamente è possibile generare l’effetto.
Ad esempio, contrariamente a quanto affermato nell’articolo uno studio ha mostrato come la “fertilizzazione” da CO2 possa produrre un iniziale aumento della crescita seguito da una stasi. Questo effetto potrebbe in parte spiegare la divergenza attuale.
Ma credo che sia ancora decisamente prematuro tirare le conclusioni; ancora per un pò dovremo accontentarci delle orribili rette 😀
@ Pellegrini
OK
@ Pellegrini
“Detto tra noi scherzando un po’, i reviewer si devono proprio essere distratti, l’editoriale e l’articolo sono tutt’altro che mainstream”
Questa non l’ho capita!
La divergenza degli ultimi decenni, significa che le temperature del periodo caldo medievale erano più alte di quelle stimate con i dati dendrologici.
Se sono sottostimate adesso lo erano ( probabilmente dico io anche allora)
Tagliando la testa al toro il confronto corretto si fa utilizzando lo stesso metodo di ricostruzione, come dice la D’arrigo. Viceversa il confronto non è affidabile e c’è il rischio di prendere granchi colossali.(vedi Mann)
Se ti interessa qui c’è il ful text di Esper (è uno svizzero Steph di meteonetwork dovrebbe conoscerlo )
http://www.wsl.ch/personal_homepages/frank/Esper_Frank_CC_online.pdf
Esper, J. and Frank, D. The IPCC on a heterogeneous Medieval Warm Period. Climatic Change . 2009 94: 267-273.
“Detto tra noi scherzando un po’, i reviewer si devono proprio essere distratti, l’editoriale e l’articolo sono tutt’altro che mainstreamâ€
questo commento si riferiva al fatto che in questo blog, in piu’ di un post si è sostenuto che articoli che mettono in discussione lo status quo, vengono rifiutati dalle riviste. Io al contrario sostengo che se un articolo è buono viene pubblicato, e poco importa se è controcorrente, purchè sia valido. Volevo sottolineare solo quello.
Riguardo il problema della divergenza, nell’editoriale e nell’articolo che ho citato, non ci si limita a sottolineare il problema, ma a proporre una soluzione, cioè una dipendenza non lineare tra proxy e temperature ricostruite. Per vedere quali conclusioni si possano trarre riguardo il periodo caldo medievale, direi di aspettare che venga pubblicata qualche ricostruzione su larga scala, applicando queste migliorie.
Cordiali Saluti
@ Pellegrini
Grazie dei link,
mi sembra che siano entrambi d’accordo per quel poco che si può leggere, che i dati strumentali divergono dai dati dendrologici, questo soprattutto per Lohele.
Ancora un motivo in più per fare i confronti solo tra dati dendrologici, per non moltiplicare l’errore.
Molto interessanti questi due articoli, senz’altro molto di piu’ di quello qui sopra, secondo me:
http://www.springerlink.com/content/873486u687j56246/?p=cd433a9ba8694b698910d2fd0345bf3b&pi=2
http://www.springerlink.com/content/45u6287u37x5566n/?p=cd433a9ba8694b698910d2fd0345bf3b&pi=0
Riguardano il cosiddetto problema della divergenza nella riproduzione delle temperature, tanto caro al nostro Costa.
Cordiali Saluti
P.S. Detto tra noi scherzando un po’, i reviewer si devono proprio essere distratti, l’editoriale e l’articolo sono tutt’altro che mainstream.
Lo studio che ho citato è frutto, nelle stesse parole degli autori, di quelle ricerche sulla divergenza nelle serie dendrocronologiche.
@ Musumeci
già :
http://wattsupwiththat.files.wordpress.com/2009/03/be10-climate.png
@Claudio Costa
Infatti, non è neppure detto che se le temp medievali risultassero più basse di quelle attuali, questo significherebbe la prova dell’effetto dei GHG sull’attuale GW. I raggi cosmici infatti non sono mai stati così bassi come nell’ultimo mezzo secolo da 2000 anni e oltre, dunque la questione rimarrebbe aperta.
Quando i raggi cosmici GCR reagiscono con l’atmosfera, l’atmosfera rilascia carbonio-14, e quindi siamo in grado di misurare le variazioni di flusso di raggi cosmici in atmosfera (e quindi, l’intensità del vento solare), usando un proxy che non richiede la comprensione dei vari meccanismi di interazione solare.
Qui il grafico (è come se fosse un cosmic ray invertito indiretto)
http://www.globalwarminghoax.com/e107_images/newspost_images/carbon-14_with_activity_labels.png
notare la correlazione tra il 14 C e le T di Moberg 2005
http://tamino.files.wordpress.com/2007/10/moberg05.jpg
Qua il lavoro di Svensmark
http://www.dsri.dk/~hsv/