Freddo polare, caldo africano, bombe d’acqua o siccità degne di un deserto, al giorno d’oggi sembra che nella comunicazione meteorologica non esista altro. Con l’aggiunta, che fa molto colore ma anche molta confusione, di nomi epici e spaventevoli affibbiati a questo o quell’evento. Tutto questo, a prescindere dalla caratterizzazione scientifica degli stessi e, ancora più grave, dall’impatto reale che questi possono avere.
Un impatto spesso molto significativo, tanto che nell’attuale contesto di scarsità delle risorse a disposizione, si sta sentendo sempre più spesso parlare di copertura assicurativa contro gli eventi atmosferici obbligatoria, laddove le forme volontarie in effetti già esistono ma in un panorama piuttosto disomogeneo e confuso. A breve dunque avremo un problema, perché quando cominceranno ad esserci di mezzo i soldi, quelli veri, quelli delle multinazionali del rischio assicurativo, in un modo o nell’altro si dovrà fare chiarezza: chi decide quando un evento è estremo e quando non lo è? E chi decide quale parte dei costi deve andare a carico dei singoli danneggiati, quale altra alle compagnie assicurative e, eventualmente, quale altra ancora a carico dello Stato? E, soprattutto, chi decide se il problema è ascrivibile agli eventi meteorologici o se entrano in gioco altri fattori purtroppo noti come il dissesto idrogeologico o l’edilizia speculativa?
Molto dipenderà dalla forma che si vorrà dare agli interventi normativi ma, se si prova a guardarsi intorno, si scopre che anche chi su questi argomenti è già molto avanti, sta incontrando proprio di recente molti problemi.
Andiamo negli Stati Uniti, dove assicurarsi contro il maltempo è una pratica molto diffusa, in parte perché esiste un mercato della copertura del rischio molto più sviluppato, in parte perché il concetto di ricorso alle risorse pubbliche è interpretato molto diversamente che da noi e in parte perchè il territorio degli USA, tra Tornado e Uragani, è spesso teatro di eventi atmosferici tra i più pericolosi che si conoscono. In molti stati degli USA, esiste al riguardo la pratica dell’applicazione di una franchigia, ovvero di una quota parte del danno subito che resta a carico dei danneggiati, proprio come funziona anche da noi per molte delle nostre assicurazioni contro il furto delle auto. La franchigia ammonta in genere a 2.000 dollari, che però, se l’evento è un uragano, ossia uno di quelli che fanno danni enormi, arriva fino a 25.000 dollari. Come dire, se il danno è troppo grosso ce lo dobbiamo spartire. Ma gli eventi chi li classifica?
La questione è molto complessa. In alcuni stati si tengono in considerazione i messaggi di allerta emessi dal National Hurricane Center della NOAA, in altri si considera la forza del vento, in altri ancora la classificazione degli eventi fatta sempre dalla NOAA etc etc. Ora, potrà sembrare banale, ma l’ultimo evento davvero significativo, l’uragano Sandy, è passato, secondo la segnalazione della NOAA, al livello di Post-Tropical Storm appena un’ora prima di toccare la costa degli USA. Una decisione per così dire provvisoria, perché, solitamente, nelle settimane e nei mesi successivi al verificarsi degli eventi, può capitare che analizzando più compiutamente i dati le cose vengano riviste. Con riferimento a all’evento Sandy la revisione è in corso e mentre la NOAA che è un’agenzia federale studia i dati anche attraverso l’impiego di board di esperti esterni all’organizzazione, il potere politico dichiara di essere letteralmente “dietro le spalle degli esperti” per controllare che le cose siano fatte nel modo giusto.
In sostanza, esiste la possibilità che Sandi torni ad essere classificato uragano per le ore in cui ha imperversato sulla costa. Questo farebbe passare la franchigia da 2.000 a 25.000 dollari. Un tale atto, da un lato solleverebbe il mercato della protezione dal rischio da un autentico bagno di sangue e c’è da credere che siano in molti a tifare per questa decisione, dall’altro il bagno di sangue lo lascerebbe ai singoli danneggiati, che sono di più ma contano di meno. Un problema politico ed economico di enormi proporzioni, tanto che qualcuno si sta già chiedendo se la stessa declassazione dell’evento operata dalla NOAA appena un’ora prima del landfall non sia da ascrivere ad un eventuale bias politico nell’azione scientifica. Almeno così racconta Roger Pielke Jr dalle pagine del suo blog.
Ci arriveremo anche noi? Difficile a dirsi, anche perché gli eventi atmosferici capaci di far danni sul nostro territorio sono molto ma molto meno classificabili, ovvero limitabili a fattispecie precise e sistematiche, né di fatto nessuno ha mai provato a classificarli sino ad ora, ma questo non impedisce loro di generare autentiche catastrofi. Perciò, visto che la discussione come si diceva all’inizio di questo post è comunque iniziata, ci pensino quanti mettono mano al megafono ogni volta che passa una nuvola, questo è tutt’altro che un gioco.
[…] qualche settimana fa avevamo pubblicato un commento all’intreccio tra scienza, politica e mercato delle assicurazioni, dinamiche […]
Al sottostante indirizzo il tozzi-guru forse fa un poco d’antiarrostimento:
http://www.consumatori.e-coop.it/portalWeb/stat/docConsumatoriDocNew/doc00000109595/un-pianeta-da-difendere—cultura-di-base-tra-luragano-sandy-e-litalia—di-mari.dhtml
Ho letto l’articolo di Mario Tozzi che conosco molto bene. Un tempo era un bravo ricercatore di Geologia presso il CNR, poi è stato altrettanto bravo a fare divulgazione geologica. Pian piano però è entrato nel perverso mondo ideologico dell’ambientalismo catastrofista. Grande sostenitore dell’AGW fece in TV un documentario in cui mostrava Piazza Domo di Milano (circa 140 metri s.l.)invasa dal mare entro mi pare la fine del secolo attuale se non si fosse attuato il Protocollo di Kyoto. Nel suo articolo che ho letto dice ad un certo punto “Quanto vorrei che fossero indicati al pubblico ludibrio quegli pseudoscienziati che ammanniscono sicurezza sulla imprevedibilità del clima….”. Temo che sia difficilmente recuperabile come bravo ricercatore!
Uberto Crescenti
L’argomento è molto interessante, ma nello sesso tempo preoccupante per le speculazioni che potrebbe generare. E quando si muovono gli interessi si sa bene come potrà finire la difesa dalle catastrofi naturali. In Italia la valutazione del rischio di frana è un tema che nasce proprio dalla esigenza di conoscere a priori gli eventuali danni ai cosiddetti elementi a rischio (beni immobili e persone) a seguito del verificarsi dell’evento. Questa valutazione deriva proprio dalla cultura americana affermata dalle società di assicurazione.
Uberto Crescenti
Tutto molto interessante, perché gli USA dimostrano di essere sempre più “avanti” di noi, almeno inteso nel senso temporale (cioè, arrivano ad affrontare i problemi prima di noi). Ora, qualcuno dovrebbe far presente che anche da noi sta passando l’idea dell’assicurazione obbligatoria e che lo stato non risarcirà più direttamente i danni. Cose giustissime secondo me; tranne che per il fatto che l’assicurazione può fregarti. La definizione degli eventi, con le relative probabilità ed eccezionalità, dovrebbe essere frutto di un processo chiaro ed aperto, senza che i politici stiano “dietro le spalle degli esperti” (raga, fa venire i brividi). Il fatto che i media stiano contribuendo ad incasinare già la percezione informale degli eventi (bomba d’acqua, “cugina di Sandy” eccetera) non fa che facilitare il compito per chi vorrà girare la frittata a suo vantaggio. Tant’è, comunque, le cose rimarranno incasinate come sono e da una riforma in senso privatistico, da cui dovremmo avere da guadagnare, prenderemo l’ennesima fregatura.
Forse qualcuno ricorderà che di rischio assicurativo e eventi estremi, nella fattispecie uragani, ne abbiamo parlato anche un paio di anni fa, commentando proprio un macroscopico caso di bias per nulla casuale.
gg