Una disdetta, ci eravamo illusi che il clima di medio termine, che so, una stagione o magari qualche anno, fossero qualcosa alla nostra portata. Del resto, sappiamo come sarà il clima tra 100 anni no? E invece niente, la strada è ancora lunga, tortuosa e, per dirla tutta, non si sa neanche dove porti.
Ma come, starete pensando, sappiamo benissimo che il pianeta andrà arrosto nel giro di qualche decade, che i ghiacci si scioglieranno, che le siccità diventeranno la norma, che le piogge alluvionali arriveranno tutti i primi giovedì del mese (giorno di mercato e immancabile maltempo)…ora che succede?
Beh, succede che il tempo non è il clima, ma tanti tipi di tempo messi insieme nello spazio e nel tempo fanno il clima. A fare i tipi di tempo sono da sempre le dinamiche della circolazione generale dell’atmosfera, che decide dove si piazzano e quanto sono forti o deboli i centri d’azione meteorologica. Tanto per citarne un paio di nostro diretto interesse per esempio, potremmo pensare alla Depressione d’Islanda e all’Anticiclone delle Azzorre, il cui comportamento decide quante perturbazioni passano sull’Europa e dove passano con maggiore frequenza.
Sicché due ricercatori del Posdam Intitute hanno deciso di prendere la bella cifra di 23 modelli climatici e provare a far loro riprodurre il comportamento di questi ed altri noti centri d’azione per gli ultimi 50 anni.
How well do state-of-the-art atmosphere-ocean general circulation models reproduce atmospheric teleconnection patterns? – Handorf & Dethloff 2012 – Tellus (qui l’abstract, qui il pdf)
Risultato: la diffusione spaziale dei soggetti è accettabile, le loro dinamiche temporali non sono assolutamente riproducibili, quindi nisba. Il clima di una stagione e, naturalmente, anche quello di periodi più lunghi non si possono prevedere. Pare che non sia un problema di capacità di calcolo (chi l’avrebbe mai detto), ma manchino sostanzialmente due cose, la conoscenza esatta di molti dei meccanismi fisici che regolano il comportamento di un sistema complesso come quello climatico e un sistema osservativo che restituisca un’immagine fedele della realtà in assenza della quale proprio non si può neanche cominciare il lavoro.
Però, tranquilli, gli stessi modelli che a scala regionale e di medio termine temporale non sono affidabili, diventano oro colato se si guarda a fine secolo, per cui l’arrosto sicuramente ci sarà. L’importante è crederci.
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NB: questo breve post non rende giustizia al paper in questione, che pure è interessante e molto articolato, per cui non deve in nessun modo essere interpretato come una critica. Semmai, un lavoro così complesso, mette in luce una volta di più quanta distanza ci sia tra chi pretende di fare scienza in un certo modo, prospettando sconquassi con strumenti assolutamente inadatti e chi invece cerca di fare delle serie valutazioni di questi strumenti mettendone senza remore in evidenza i limiti alquanto grossolani.
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Caro Guido,
lasciamo per un attimo da parte la pasta e veniamo al tuo scritto, rispetto al quale esprimo una pregiudiziale ontologica, e mi spiego.
Come si fa a chiamare teleconnection il NAO che è praticamente sulla nostra testa?
Quando lavoravo con Michele Conte usavamo teleconnection per indicare gli effetti di ENSO (fenomeno della fascia intertropicale) sul clima europeo.
A me questo uso estensivo del termine teleconnection da’ francamente fastidio perché è indice di una certa rozzezza di fondo…
A volte mi sorge il dubbio che i modellisti con cui abbiamo a che fare non sappiano cosa significhi minimo di cut-off o muro di foehn o saccatura in quota o …
Comunque penso che non resti che adeguarci alle mode.
E veniamo poi alla pasta, rispetto alla quale da agrometeorologo e amante dei fusilli non posso sentirmi in alcun modo estraneo.
A tale riguardo debbo dire in tutta franchezza che il problema di fondo (già evidenziato in occasione di un mio commento ad un articolo “divulgativo” in cui si diceva che fra 50 anni scomparirà il caffè) è che la madre degli stupidi è sempre incinta, per cui se ci mettiamo a commentare ogni fesseria che viene partorita a getto incessante da gente oziosa e che non ha niente di meglio da fare nella vita siamo rovinati perchè non lavoramo più.
Comunque in questo caso non ho da faticare poichè ho già avuto occasione di commentare l’affaire “pasta” per telefono con un amico giornalista (Riccardo Cascioli, uno dei pochissimi che ancora verifica le notizie prima di scrivere un articolo..) e non ho potuto non fargli rilevare che il frumento è specie plastica per eccellenza nel senso che dalle aree steppiche di origine (Anatolia orientale) ce lo siamo portati in giro per il mondo ed oggi è coltivato nella piovosissima Norvegia così come nel nord Africa e nel Negev, nelle pampa argentine, nella pianura del Gange, in vastissime lande australiane, canadesi e statunitensi.
Inoltre osservo che se qualcuno (magari forte dei suoi pregiudizi da cittadino che non sa distinguere una campo di frumento da uno d’erba medica) pensa che gli agricoltori siano così fessi da stare immobili con le loro tecniche e le loro varietà in attesa dell’olocausto climatico si sbaglia di grosso.
Volete un esempio? Guardate questo filmato in cui si parla di tecniche per risparmiare acqua su soia usando sistemi di microirrigazione a manichetta e capirete che anche in agricoltura c’è gente che guarda avanti: http://www.youtube.com/watch?v=_hiOaMnfs0A
Vedete, l’agricoltura la fanno in milioni di persone e un’innovazione si propaga in genere con estrema rapidità, per cui se lasciamo liberi i nostri amici agricoltori di migliorare la genetica e le agrotecniche senza imporre loro schemi dirigistici irrazionali (magari pensati ad qualche testa d’uovo che sta a Bruxelles) non possiamo che avere la massima fiducia nel futuro.
“…per cui l’arrosto sicuramente ci sarà. [Cit..] ….”
si però a quanto pare rimarremo tutti senza pasta:
http://www.greenme.it/mangiare/altri-alimenti/9246-pasta-2050-cambiamenti-climatici
http://www.meteoweb.eu/2012/12/clima-a-causa-del-global-warming-rischiamo-di-rimanere-per-sempre-senza-pasta/171166/
e se io preferisco “il primo” anziché “il secondo”?
mah…… ho visto pure un servizio ad un tg (ma non mi ricordo quale)…. mi viene da piangere, sia per la scientificità di quanto si afferma nei link da me sopra citati, ….. sia perché io alle linguine al pesto NON CI VOGLIO RINUNCIARE!!!
🙂
Max, spero che su questo tema intervenga qualche persona più esperta e competente di me, per il momento vorrei mostrarti questo:
da:
http://www.cialombardia.org/fattoriascuola/C-frumento.htm
“Il frumento duro
La coltivazione del frumento duro (Triticum durum) è in continua espansione a seguito del costante aumento del consumo di paste alimentari.
Questa specie, il cui centro d’origine è l’Etiopia, si coltiva maggiormente nei Paesi mediterranei, nel Nord America, in Argentina e nell’Europa Orientale.
In Italia la produzione è localizzata al Centro-Sud ed in particolare in Puglia e in Sicilia. Negli ultimi anni l’area di coltivazione si è estesa anche alle zone più settentrionali, nelle quali però non sempre si ottengono produzioni qualitativamente valide.
Infatti l’ambiente ottimale per la coltivazione è caratterizzato da piovosità concentrata nel periodo invernale e da primavere ed estati calde senza pericoli di gelate tardive.”
…chiaro ? Stiamo parlando di una pianta originaria dell’Etiopia, non dell’Islanda o del Canada settentrionale, e che si estinguerebbe per un blando aumento di temperatura… e tu ci credi ?
Guarda l’areale di diffusione di questa pianta (guardalo) e dimmi se ti sembra più sensibile al freddo o al caldo.
(Anche il caso italiano mi sembra eloquente)
Poi, aspetto correzioni e interventi da parte degli esperti del settore.