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La COP18 di Doha: Un po’ di ossigeno (poco) e molta CO2

La COP18 si è conclusa com’era iniziata, cioè nell’indifferenza generale. C’è però un valore aggiunto in questa sordina. La moltitudine di delegati, in larga misura rappresentanti delle lobbies ambientaliste, della finanza climatica e della burocrazia sovranazionale, con i leader mondiali che hanno brillato per la loro assenza,  possono far vinta di aver conseguito un risultato anche in presenza dell’ennesimo fallimento.

Intendiamoci, a fallire sono state tanto per cambiare le buone intenzioni climatiche, perché in realtà la macchina mangiasoldi e produci emissioni della diplomazia climatica ha funzionato benissimo. Si esce infatti da Doha con un accordo che prolunga la gran parte dei meccanismi previsti dal Protocollo di Kyoto oltre il gennaio 2013 – la data che altrimenti li avrebbe visti cessare – e per un periodo di otto anni, cioè fino al 2020.

Da questo accordo però si sono sfilati la gran parte dei paesi più importanti in termini di emissioni. Il Canada e il Giappone lo avevano annunciato, l’Australia e la Russia lo hanno fatto sapere proprio a Doha. Gli USA, che l’accordo di Kyoto non lo hanno mai ratificato, non sono proprio entrati in partita, come del resto la Cina (questi due sono rispettivamente medaglia d’argento e d’oro in termini di emissioni di CO2). Il risultato è che rientra in questo successone ben il 15% delle emissioni globali.

La CO2 resta dunque più che abbondante. E l’ossigeno? Beh, quello serve ad evitare che il mercato ETS  e il miracolo economico della green energy, che versano in stato comatoso, esalino definitivamente l’ultimo respiro, perché se è vero che Kyoto non ha mai avuto l’obbiettivo reale di far qualcosa per il clima, è anche vero che ha fatto fare un sacco di soldi a tanta gente, e pure questi hanno diritto.

Qui, sulle pagine della COP18, trovate il comunicato che elenca tutte le mirabolanti precisioni prese a Doha. La più gustosa di tutte si trova all’ultimo punto ed è la seguente:

[info]

Impedire le conseguenze negative dell’azione climatica

In alcuni casi, l’implementazione di azioni che riducano le emissioni potrebbe risultare in conseguenze economiche o sociali negative per altrui paesi. In Doha i governi hanno discusso le misure per occupersi di queste conseguenze in un forum speciale.

[/info]

Cioè, ci scapperà un bel gruppo di lavoro (l’ennesimo) anche per valutare i danni fatti dagli altri gruppi di lavoro. Che spettacolo…

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Published inAttualità

2 Comments

  1. duepassi

    Mer, 01/12/2010, Franco Battaglia firmò questo articolo:
    http://www.ilgiornale.it/news/anche-ambientalisti-sono-diventati-eco-scettici.html
    in cui scrisse tra l’altro:
    ” Come fuffa è quella che ci propineranno per 10 giorni quelli che si riuniscono a Cancun, Messico, per celebrare la Cop16, ove costoro si ostinano a riproporre la riduzione delle emissioni di gas-serra. Cop sta per Conferenza delle Parti, mentre 16 ci informa che è la 16ma volta che si riuniscono. Nel senso che si sono riuniti altre 15 volte (l’ultima lo scorso dicembre, a Copenhagen) e hanno sempre fallito. Attendetevi quindi il 16mo fallimento.
    Come lo so? Esattamente come sapevo che sarebbero state un fallimento tutte le Cop precedenti”
    Allora stava per iniziare la 16-ma conferenza, ma la predizione del professor Battaglia ha centrato anche le seguenti, COP17 e COP18.
    Fatti i conti pare che le Nazioni vincolate a questo prolungamento dell’accordo contribuiscano attualmente al 15% delle emissioni di CO2.
    Se davvero si impegneranno, a costo della distruzione delle loro economie otterranno di ridurre ulteriormente questo 15%, ma nel frattempo cosa faranno le Nazioni che già emettono l’85% della CO2 ?
    Credo di essere facile profeta dicendo che aumenteranno compensando abbondantemente gli sforzi costosi e donchisciotteschi dell’europa.
    Una domanda di buonsenso:
    cosa conta di più, che diminuisca un 15% o che aumenti un 85% ?
    Ma non si può porre freno all’aumento dell’85%, perché nessuno si sogna di premere con decisione su Cina e India. Le vittime predestinate delle politiche verdi sono (solo) quelle occidentali. Lascio a voi immaginare perché.

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