Se il dibattito sul cambiamento climatico non fosse così serrato, per spiegare il funzionamento del sistema sarebbe necessario soffermarsi su tutte le forzanti universalmente riconosciute. Atmosfera, biosfera, litosfera e idrosfera, cui si aggiungono le componenti astronomica, stocastica ed antropica.
Oggi, per giungere ad avere un’immagine riproducibile dell’evoluzione del clima, ovvero per simularne il comportamento al fine di volgere lo sguardo al futuro, il peso di queste componenti è stato o molto semplificato (biosfera e litosfera), o quasi completamente annullato (forzanti astronomiche e stocastiche). Tutto a favore di un unico forcing, quello antropico, e della sua diretta influenza sulla componente atmosferica, ovvero di uno solo dei parametri attraverso i quali è definibile, la temperatura dello strato superficiale.
Tuttavia non passa giorno che non vengano messe in luce nuove evidenze che richiederebbero maggiore attenzione e maggiore approfondimento, al fine di migliorare la conoscenza dell’intero sistema e renderne attendibili i tentativi di riproduzione. Quasi sempre, queste sollecitazioni giungono dalla ricerca sperimentale, cioè dalle osservazioni sul campo, forse troppo spesso trascurate a favore di una eccessiva confidenza nell’impiego dei sistemi numerici.
E’ accaduto così anche nel caso di un lavoro recentemente pubblicato su Nature Geoscience da parte di un team di ricercatori dell’Università di San Diego in California.
Lo studio riguarda il processo di formazione delle nubi, noto come nucleazione, operato dalle componenti solide che galleggiano in atmosfera e attorno alle quali avviene la condensazione del vapore acqueo. Non solo le polveri o i residuati da combustione, ma soprattutto quelle particelle di origine organica quali i batteri, i pollini o le spore. Al termine di una lunga campagna di misurazione, è risultato che circa il 50% dei nuclei di condensazione ha origine inorganica, mentre un buon 33% è di natura biologica. Queste particelle vengono notoriamente trasportate in atmosfera anche a grande distanza dal loro luogo di origine, ma è la prima volta che ne viene dimostrato il ruolo nel processo di formazione delle nubi.
La copertura nuvolosa ha un impatto importantissimo sul clima, ed i feedback che possono derivare da una variazione della quantità di nubi cambiano di segno a seconda che queste si sviluppino a quote basse medie o alte. Le semplificazioni della modellizzazione del clima, assegnano al comportamento delle nubi un feedback generalmente positivo, cioè, in presenza di una tendenza al riscaldamento, la nuvolosità a bassa quota, quella con potere raffreddante in quanto capace di riflettere grandi quantità di radiazione entrante, dovrebbe diminuire, favorendo un ulteriore riscaldamento. Tuttavia, l’aumento di temperatura e l’aumento della concentrazione di anidride carbonica tendono a favorire lo sviluppo della biosfera, generando maggiori quantità di particelle di origine biologica, capaci inoltre di favorire la condensazione a temperature più alte di quanto non accada con le particelle di origine inorganica quali ad esempio le polveri o il sale marino. Forse non tutti sanno che esistono in commercio alcuni composti di natura organica impiegati sulle stazioni sciistiche per favorire le precipitazioni nevose anche quando le temperature sarebbero non ottimali. Ma non è tutto. In linea teorica, ma forse non così tanto, anche uno degli effetti più disastrosi della tendenza al riscaldamento quale la desertificazione potrebbe innescare un feedback negativo. Incendi spontanei più numerosi libererebbero grandi quantità di aerosol e la biosfera soggetta a stress potrebbe favorire la proliferazione di batteri “disponibili” per la nucleazione. Le nubi a bassa quota finirebbero ancora per aumentare, innescando un processo di raffreddamento, piuttosto che di accentuazione del riscaldamento.
Ancora una volta, l’ennesima, vengono alla luce fattori di forcing del tutto ignorati nelle simulazioni, a testimonianza del fatto che se si vuole che queste diventino attendibili, è indispensabile che sia accresciuta la comprensione scientifica degli innumerevoli aspetti delle dinamiche del sistema. Il problema non è la tendenza al riscaldamento provocato dall’accrescimento dell’effetto serra, ma il suo peso reale. Questi fattori di origine naturale, soprattutto le nubi e gli aerosol, possono innescare dei processi capaci di annullare completamente gli effetti del contenimento del calore ad opera dei gas serra. Questo forse sta già accadendo, visto che l’aumento delle temperature ha subito uno stop da alcuni anni. Non sarebbe il caso di provare a capirci di più?1
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@Lorenzo
Del problema dei biocombustibili abbiamo già parlato in un altro post. In due parole io non sono un gran sostenitore dei biocombustibili. Ma detto questo, per “ammorbidire” l’impatto del cambiamento nel settore trasporti, una parte di biocombustibili può pure starci se l’alternativa è continuare a usare petrolio o derivati del carbone. Qui però si passa più a una questione economica che fisica.
@ Achab
data questa grande incertezza riguardo gli aerosol, ritieni coerente ed opportuno che tra le misure anti AGW ci siano incentivi all’utilizzo di biocombustibili quali legna da ardere, pellets, cippato, bioetanolo, biodiesel ect, i quali durante la combustione contribuiscono in misura sostanziale alla formazione di aerosol con un possibile feedback positivo sul fenomeno (GW) che invece si vuole limitare o annullare?
@Sergio Musmeci
Il forcing non viene annullato nemmeno con il massimo dell’incertezza negativa per gli aerosol. In termini di temperatura gli estremi sono quelli che ho dato e che ricordo a memoria, i valori del forcing non li ricordo.
Gli aerosol determinano un aumento degli incendi tramite la riduzione delle precipitazioni nella fascia subtropicale. Comunque il mio era solo un esempio, la formazione di nuvole stratiformi ad alta quota di cui parla l’articolo citato da Guidi sarebbero pure un feedback positivo, alcuni tipi di aerosol assorbono la radiazione visibile diretta e sono pure un feedback positivo, etc.
Insomma, quando si tratta di aerosol ce n’è per tutti i gusti e per questo l’incertezza è ampia. E la differenza fra 1.5 e 4.5 °C pure 😉
@Achab
Anche se cè molta incertezza l’effetto indiretto è stimato comunque e in ogni caso verso il basso anche dall’IPCC. Se per caso le stime di feedback più negative risultassero vere, l’effetto antropico sarebbe pressocchè nullo nel suo complesso a causa degli effetti opposti di aerosol antropici e GHG. Quanto all’effetto positivo…boh, non vedo come gli aerosol possano determinare un aumento degli incendi e un aumento di co2 (semmai sono gli incendi a determinare un aumento di aerosol e di co2). Gli aerosol di piccole dimensioni riducono le precipitazioni ma aumentano la durata delle formazioni nuvolose che, anche se meno riflettenti, in oceano e sulle superfici a basso albedo determinano comunque un raffreddamento.
La scarsa comprensione degli aerosol è nota da tempo, non credo si possa dire che faccia parte delle “troppo spesso trascurate a favore di una eccessiva confidenza nell’impiego dei sistemi numerici.”. Il feedback (negativo) degli aerosol è contenuto, sia pur attraverso parametrizzazioni, nei modelli climatici e l’errore associato al loro effetto è molto grande.
I processi di nucleazione e crescita degli aerosol per diventare CCN sono complessi e diversi se si tratta di nuvole d’alta quota, come nel caso dello studio citato, o nuvole di bassa quota. Inoltre dipendono dal tipo di aerosol. Non credo si possano trarre conclusioni di alcun genere su quest’ultime sulla base del lavoro citato e contrariamente a quanto afferma sin dal titolo il blog (abbastanza grossolano) riportato in referenza.
Altro spunto di riflessione riguarda l’effetto noto di aumento dei centri di nucleazione accompagnato da un riduzione delle dimensioni dei CCN stessi. Questo genera una riduzione delle precipitazioni, un aumento degli incendi, un aumento della CO2 emessa e della fuliggine. Questo “ramo” dell’effetto degli aerosol risulta in un feedback positivo.
In definitiva vero è che il ruolo degli aerosol non è compreso fino in fondo, ma primo l’errore potrebbe essere in entrambi i sensi, secondo l’incertezza è inclusa nei modelli di previsione. Tanto per dire, gli infausti 3 °C dello scenario A1B sono circa più o meno 1.5 °C grazie anche e soprattutto all’incertezza sugli aerosol.
@ Achab
Io scrivo molto, e so che questo può portare ad essere imprecisi. Ma non credo sia questo il caso. Di più, anche io non credo che si possa affermare che questo aspetto (gli aerosol) sia troppo spesso trascurato etc etc, infatti non l’ho scritto. Sono le osservazioni dirette e la ricerca sperimentale il soggetto della frase. Quelle sì sono troppo spesso trascurate etc etc. Aggiungo anche che non sono state tratte conclusioni, sono state fatte alcune considerazioni, tutte da confermare o confutare. Resta il fatto che nella complessa dinamica della nucleazione, sembrano essere in gioco elementi nuovi di natura biologica, presumibilmente soggetti a variabilità diversa da quelli di natura inorganica. Questo è l’elemento di novita. Tutto il resto, come dici giustamente tu, può andare nella direzione del fb negativo come positivo, è tutto da vedere. E’ comunque chiaro che assegnare un qualunque segno ai fb degli aerosol, considerandone la sola natuta inorganica, lascia fuori un bel pò di cose.
gg
La novità di questo articolo è la misurazione diretta nelle nuvole, uno sforzo tecnlogico non banale che ha portato a importanti risultati. Che esista il contributo organico agli aerosol e in particolare agli aerosol secondari è invece noto da tempo.
La copertura nuvolosa impatta negativamente sul bilancio energetico soprattutto dove le superfici hanno un basso albedo. Gli oceani (specie alle basse latitudini) hanno questo requisito. Guarda caso, il plancton oceanico produce (soprattutto in condizioni di stress e in combinazioni con alcune popolazioni di batteri) grandi quantità di una sostanza chiamata DMS(Dimetilsulphide); questa è un precursore degli acidi solforici che agiscono da potenti “collanti” grazie alle loro proprietà altamente igroscopiche e ovviam favoriscono la formazione di nuclei di condensazione. Sebbene non ci siano molte prove su larga scala per l’azione del fitoplancton come “regolatore climatico” attraverso questo meccanismo, la sua azione potrebbe essere modulata dai raggi cosmici. Questi hanno una azione selettiva proprio sulle particelle di piccole dimensioni (pochi nanometri) che sono quelle che si formano generalmente proprio sugli oceani. In tutto questo affascinante meccanismo interviene l’effetto antropico, il quale potrebbe anche agire con l’inquinamento, alterando per esempio le popolazioni batteriche o lo strato di ozono stratosferico (e quindi gli UV che agiscono come fattore di stress!) o aumentando i mattoni della sintesi clorofilliana (la co2). Di tutto questo non si sa praticamente nulla!!!
Somiglia alla faccenda dei raggi cosmici e della nucleazione che ne deriva: sulla carta in teoria la cosa dovrebbe esistere poi nella realtà non si verifica o se si verifica ha un peso molto basso. In fondo bisogna vedere l’incremento organico al suolo prima di stabilirne il peso. La nucleazione è un processo fisico complesso che ha bisogno di particolarissime condizioni per avvenire, per cui di fatto la nuvolosità appare più un fenomeno a scala meteorologica ovvero locale nello spazio e nel tempo (ancor più la nuvolosità bassa) e in virtù di precise condizioni atmosferiche (fronti atmosferici), che non a scala climatica ovvero globale e generalizzata.
@ Luca
Non mi è ben chiara la similitudine, nè mi è chiaro quale certezza sia sopraggiunta di recente che riguardi l’assenza o il peso molto basso dell’attività solare sulla nucleazione. Con riferimento a questo post, invece, le considerazioni sui feedback per certi aspetti lasciano il tempo che trovano, dato che che sono tutte da confermare o confutare. Il fattore significativo è che la componente biologica, stando a questa campagna di misura, contribuisce per il 30% della disponibilità di CCN. Di come si comporti e da cosa sia regolato questo contributo si sa molto poco. può aumentare, diminuire, essere invariato, avere variabilità interannuale o stagionale etc etc. Qualunque cosa accada le eventuali variazioni di questo contributo devono (dovrebbero) essere prese in considerazione. Può darsi che sbagli, ma credo che sin qui, in termini di aerosol e del loro contributo alla variabilità della copertura nuvolosa, si è parlato solo di particelle inorganiche.
Sul fatto che la copertura nuvolosa abbia spesso carattere locale non v’è dubbio, ma lo stesso si può dire della temperatura e non mi sembra che questo impedisca di considerarne il comportamento su scala continentale o globale (il GW è tutto sulla temperatura media globale, concetto che in natura non esiste peraltro).
gg
[…] a bassa quota. E’ una ricerca, come dicevamo sopra, che ha scoperto davvero qualcosa di nuovo. Goccioline animate | Climate Monitor __________________ "Quanto monotona sarebbe la faccia della terra senza le montagne" […]
[…] articolo di Guido Guidi su nuovi forcing scoperti da poco (legati alla copertura nuvolosa bassa). Goccioline animate | Climate Monitor __________________ "Quanto monotona sarebbe la faccia della terra senza le montagne" […]
Dante attribuisce le pene da scontare all’inferno secondo la legge del contrappasso. Ai modellisti numerici questa pena appena assegnata e’ sicuramente la peggiore.
Vedersi rovinare il modello da un meccanismo non considerato gia’ e’ brutta cosa, ma vederselo rovinare da un meccanismo Bio-meteorologico, dopo aver trattato per anni i processi biotici alla stregua di valvole o black-box, e’ il peggio del peggio.
Speriamo che un prossimo articolo, casomai di Nature 😉 , ripristini il quadro complessivo.