di Fabio Spina
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“La vera chiesa, la Madonna degli Angeli, era in basso, all’altra estremità del paese, dove c’è la frana. La chiesa è crollata improvvisamente, è cascata nel burrone, tre anni fa. Per fortuna era notte, l’abbiamo scampata bella. Qui ci sono continuamente le frane. Quando piove, la terra cede e scivola, le case precipitano. Ne va giù qualcuna tutti gli anni. Mi fanno ridere con i loro muretti di sostegno. Fra qualche anno questo paese non esisterà più. Sarà tutto in fondo al precipizio. Pioveva da tre giorni quando è caduta la Chiesa. Ma tutti gli inverni è la stessa cosa: qualche disastro, piccolo o grosso, avviene tutti gli anni, qui come in tutti gli altri paesi della provincia. Non ci sono alberi né rocce, e l’argilla si scioglie, scorre in basso come un torrente, con tutto quello che c’è sopra. Vedrà quest’inverno anche lei. Ma le auguro di non essere più qui allora. La gente è peggio della terra”.
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“Lo Stato, qualunque sia, sono ‘quelli di Roma’, e quelli di Roma, si sa, non vogliono che noi si viva da cristiani. C’è la grandine, le frane, la siccità, la malaria, e c’è lo Stato. Sono dei mali inevitabili, ci sono sempre stati e ci saranno sempre. Ci fanno ammazzare le capre, ci portano via i mobili di casa, e adesso ci manderanno a fare la guerra. Pazienza!”.
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“La pioggia non venne neppure nei giorni seguenti, malgrado la processione, le invocazioni di don Trajella e le speranze dei contadini. La terra era troppo dura per lavorarla, le olive cominciavano a rinsecchire sugli Oberi assetati; ma la Madonna dal viso nero rimase impassibile, lontana dalla pietà, sorda alle preghiere, indifferente natura. Eppure gli omaggi non mancano: ma sono assai più simili all’omaggio dovuto alla Potenza, che a quello offerto alla Carità. Questa Madonna nera è come la terra; può far tutto, distruggere e fiorire; ma non conosce nessuno, e svolge le sue stagioni secondo una volontà incomprensibile. La Madonna nera non è, per i contadini, né buona né cattiva; è molto di più. Essa secca i raccolti e lascia morire, ma anche nutre e protegge; e bisogna adorarla”.
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Questi sono tre brani di Carlo Levi (Torino, 29 novembre 1902 – Roma, 4 gennaio 1975) tratti dal famoso libro “Cristo si è fermato a Eboli “. Il romanzo autobiografico è stato scritto tra il dicembre del 1943 e il luglio del 1944 a Firenze e pubblicato da Einaudi nel 1945. Levi morì a Roma il 4 gennaio 1975 e la sua salma riposa nel cimitero di Aliano, dove volle essere sepolto per mantenere la promessa di tornare, fatta agli abitanti lasciando il paese. Il libro descrive il periodo 1935-1936 sotto il regime fascista, quando lo scrittore fu condannato al confino in Lucania a causa della sua attività antifascista, ad Aliano (che nel libro viene chiamata Gagliano imitando la pronuncia locale) ebbe modo di conoscere la realtà di quelle terre e della sua gente.
Levi scrive nella sua prefazione: “Come in un viaggio al principio del tempo, Cristo si è fermato a Eboli racconta la scoperta di una diversa civiltà. È quella dei contadini del Mezzogiorno: fuori della Storia e della Ragione progressiva, antichissima sapienza e paziente dolore “.
Quella era una civiltà contadina che affrontava le calamità affidandosi alle processioni e rassegnandosi nella povertà al fatto che “tutti gli inverni è la stessa cosa”. La nostra civiltà di fronte ad eventi simili ha un comportamento apparentemente molto diverso: li affronta affidandosi al tentativo di “controllare” il clima e rassegnandosi, senza far prevenzione/manutenzione, al fatto che “non era mai successo a memoria d’uomo”.
Le notizie storiche di Carlo Levi tratte dal famoso libro “Cristo si è fermato ad Eboli” sono un risposta più che convincente alle ricorrenti affermazioni che gli attuali fenomeni di dissesto idrogeologico derivano dal cambiamento climatico di origine antropica. Nel 2009 , come noto, il Piemonte fu colpito da una grande alluvione. Una emittente televisiva nazionale attribuì l’evento al riscaldamento globale ecc. ecc. Scrissi al Direttore, senza avere nessuna risposta, una lettera in cui informavo che eventi analoghi erano ben noti ed avevano colpito la Regione in passato, ben documentati dalla Pubblicazione n. 2058 del Gruppo Nazionale Difesa Catastrofi Idrogeologiche, pubblicazione curata dall’I.R.P.I. (Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica) del C.N.R. di Torino. Tali eventi si riferivano ad alcuni secoli prima di oggi, quando l’attività dell’Uomo comunque non avrebbe potuto incidere sul clima, ammesso e non concesso che lo sia attualmente. Quanti insegnamenti della storia non sono presi in considerazione!
Uberto Crescenti