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Uno sguardo sul futuro dell’energia

Due notizie sugli idrocarburi hanno attratto la mia attenzione nell’ultimo mese. L’ultima, e più rilevante, dice che l’International Energy Agency ha rilasciato uno studio con alcune previsioni di scenario sull’energia nei prossimi decenni. I fatti salienti sono stati riportati, ad esempio, dal Financial Times e da Reuters. Vi invito a leggere i riferimenti citati dove c’è dovizia di particolari. In sostanza, l’IEA prevede che nel giro di cinque anni gli USA raggiungeranno Russia e Arabia Saudita nella produzione di petrolio; questo paese, tuttavia, riprenderà il primato
intorno al 2035, grazie a continui aumenti di produzione. Per gli USA saranno fondamentali i contributi alla produzione dati dal cosiddetto petrolio alternativo (ad esempio prodotto grazie al “fracking”), tanto che il paese potrebbe raggiungere l’autosufficienza energetica nel 2035. Per quanto riguarda il prezzo, normalizzato all’inflazione, per il 2035 si
prevede una forchetta tra i 125 e i 145 dollari (in valuta attuale) per barile; un costo che, nel caso peggiore, è sostanzialmente allineato ai record di quattro anni fa, quindi sostenibile. Non male per una fonte energetica di cui i guru ambientalisti avevano previsto il picco (più volte in passato, sbagliando) e la rapida obsolescenza. A completare il
panorama, lo studio sostiene che “i combustibili fossili rimarranno dominanti in generale nel mix energetico globale” e la quota del carbone diminuirà solo marginalmente nel 2035.


L’altra notizia è di circa un mese fa ed è relativa ad un’azienda inglese che ha annunciato di aver costruito un prototipo in grado di sintetizzare la benzina a partire dalla CO2 atmosferica. La notizia pare non essere una bufala, visto che è stata anche pubblicata dall’Institute of Mechanical Engineers. Più che altro non è una novità pazzesca, come riportato da gran parte della stampa, visto che mi è stato facile trovare articoli precursori del 2007 e 2009. Evidentemente qualcuno è riuscito, negli ultimi anni, a passare dalla teoria alla pratica, anche se ad oggi i costi sono ancora troppo elevati; ma potrebbero non esserlo a breve. Ovviamente la sintesi della benzina a partire dalla CO2 non amplia il portafoglio di fonti energetiche disponibili: il processo richiede energia, che la legge di conservazione dell’energia, più alcune considerazioni pratiche, ci dicono essere un po’ superiore a quella poi ottenibile dalla combustione del carburante prodotto. L’idea, però, è che la benzina sintetica potrebbe essere utilizzata come mezzo di stocaggio e distribuzione di energia prodotta da qualsiasi altra fonte (dal nucleare al rinnovabile) utilizzando tecnologie tradizionali e già ampliamente utilizzabili; per questo ruolo, anni fa, era stato ipotizzato l’idrogeno, che però marca il passo, essendo ancora aperti problemi tecnologici per il suo utilizzo.

Buone o cattive notizie? Be’, più strumenti abbiamo a disposizione, meglio è. Questo è buono. Per i nostri polmoni, non sono buone notizie perché idrocarburi naturali e sintetici producono sostanze tossiche. Per gli AGWari, la seconda notizia è potenzialmente positiva (la benzina di sintesi rilascerebbe la CO2 catturata precedentemente), tutto sta a vedere con quale energia verrà alimentato il processo; la prima è cattiva, anzi catastrofica, perché sempre più CO2 fossile verrà prelevata e rilasciata in atmosfera.

Ma la cosa interessante è che i prossimi due decenni energetici, pare, saranno ancora dominati da fonti fossili. Marta Dassù di Aspen Institute qualche giorno fa sosteneva che nei prossimi anni gli idrocarburi alternativi saranno fondamentali per la risalita del PIL americano. Ma il futuro anche immediato non doveva essere dominato dalla green economy? Non sarà mica per questi motivi che l’AGW è stato il grande assente dal dibattito delle presidenziali USA, salvo una rapida citazione a cavallo di Sandy?

Ovviamente si tratta di previsioni, e possono essere sbagliate. Prendiamo tutto con le pinze. Ma non le vedo necessariamente meno affidabili rispetto a quelle che esaltano eolico e solare. Solo una pignola e costante attenzione ai fatti ci permetterà di capirlo.

L’ultima considerazione che mi viene in mente è che, mentre la tecnologia arriva addirittura a proporci la benzina sintetica, continuano a latitare novità sostanziali su solare ed eolico, intendo dire come aumento dell’efficienza. Del kyte, per esempio, negli ultimi mesi è solo circolata una notizia a proposito dell’interesse ad acquisire Alcoa, notizia che
non si è ben capito quanto fosse fondata, visto che poi non se ne è fatto niente.

Meditate, gente, meditate.

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Published inAttualità

10 Comments

  1. Edo da Torino

    Gent. mo Sig. Giudici, complimenti per l’articolo, ma non ho ben capito la seguente frase: “L’idea, però, è che la benzina sintetica potrebbe essere utilizzata come mezzo di stoccaggio e distribuzione di energia prodotta da qualsiasi altra fonte (dal nucleare al rinnovabile) utilizzando tecnologie tradizionali e già ampliamente utilizzabili”. Se l’energia è già stata prodotta a che cosa serve la benzina per stoccarla e distribuirla? Grazie.
    ps.: spero non sia vero, ma se no prepariamoci ad essere trascinati in tribunale per violazione dei diritti umani: http://www.tempi.it/ambientalisti-vs-governo-olandese-tagliate-le-emissioni-di-co2-o-vi-facciamo-causa-per-violazioni-dei-diritti-umani#.UKauJYeqnT8

    • Mario

      Credo si riferisca ad un futuro moOolto lontano in cui, esaurito il petrolio, si potrà utilizzare questa tecnologia per continuare ad alimentare gli attuali motori a scoppio

    • Caro Edo, le riporto l’esempio “da manuale”. Prenda per esempio l’Islanda: in quel paese ci sono enormi potenzialità nell’idroelettrico e nel geotermico (tralasciando l’impatto ambientale che comunque avrebbero). Però non saprebbero cosa farsene, visto che sono circa 150mila abitanti, non hanno industrie energivore né vogliono averle. Per vendere quell’energia dovrebbero convogliarla p.es. sul continente europeo. Un elettrodotto sottomarino è impensabile vista la posizione geografica: è molto meglio immagazzinare quell’energia in una merce fisicamente trasportabile, dalla quale l’energia si può riottenere. Dunque, si potrebbe facilmente usare l’energia elettrica prodotta localmente per estrarre l’idrogeno dall’acqua, poi trasportare l’idrogeno sul continente europeo p.es. con una nave opportunamente attrezzata, e poi una centrale potrebbe “bruciare” l’idrogeno riottenendo energia elettrica da riversare negli elettrodotti continentali. Il primo problema è che è ancora complicato e costoso trasportare l’idrogeno in modo sicuro, visto che richiede temperature bassissime per essere liquefatto e brucia spontaneamente a contatto con l’aria. Il secondo problema è che bisognerebbe costruire una centrale appositamente per bruciare l’idrogeno (credo che questo sia il problema minore, l’intoppo reale è il trasporto).

      Ora se lei è in grado di creare alcool, benzina o un altro idrocarburo, è a cavallo: una volta prodotti, li imbarca su una petroliera e può sfruttare tute le reti di distribuzione e consumo già esistenti ed ampiamente collaudati. Insomma, se fosse un islandese sarebbe in grado di vendere un prodotto facilmente trasportabile ed immediatamente consumabile, quindi con un valore di mercato più elevato. L’Islanda è un possibile esempio, ma si potrebbe pensare anche ad energia nucleare prodotta da centrali costruite in località desertiche, non necessariamente vicine al mare o a un grande lago: per estrarre idrogeno c’è bisogno di molta acqua, mentre per sintetizzare benzina basta la CO2 estraibile dall’aria che è evidentemente disponibile ovunque.

      Come è stato commentato sopra, tra il dire e il fare c’è di mezzo l’inefficienza causata dai passaggi intermedi: in pratica, bruciando il combustibile ottenuto ottiene meno energia di quella usata per sintetizzarlo. Questo fa aumentare i costi e, ad oggi, rende l’idea inutilizzabile da un punto di vista commerciale. Ma come dicevo, è comunque una strada in più che ulteriore ricerca applicata potrebbe rendere commercialmente praticabile in futuro. Quello che mi sembra paradossale, e potrebbe smentire per l’ennesima volta molti guru, è che un meccanismo immaginato in uno scenario in cui il “nuovo” idrogeno l’avrebbe fatta da padrone potrebbe essere più a portata, nel breve-medio termine, sfruttando un “vecchio” idrocarburo…

    • Filippo Turturici

      Correggimi (perdona il tu) se sbaglio, ma il processo necessita anche di idrogeno, ergo di acqua, per ottenere il combustibile: sono infatti “idrocarburi”, catene di carbonio ed idrogeno.
      Per il resto, concordo al 110% con l’articolo!

    • Filippo, ovviamente sull’idrogeno hai perfettamente ragione… bello svarione che ho preso! 🙂

  2. Maurizio Rovati

    Il verdame è ascrivibile alla categoria “gioielleria e ornamenti”.

    Ha visibilità carismatica unita ad un certo appeal artistico-sessuale. Costa ovviamente un pacco di soldi, il che lo rende oggetto del desiderio di quanti se lo possono permettere, ma è totalmente avulso dalla realtà ed ha un livello di utilità pratica tendente a zero, anzi, sovente scende sotto.

    Fare l’alcol (o la benzina) a partire dalla CO2 atmosferica è un gadget che funziona bene solo nei film di 007.
    Comunque bisogna ottenere investimenti e agevolazioni quindi il marketing parte da un paio di considerazioni.
    1- Il processo chimico è possibile.
    2- Togliere la CO2 dall’atmosfera è quantomeno auspicabile se non necessario.

    Però il punto 1 ha dei risvolti di efficienza termodinamica che vengono sottaciuti, mentre il punto 2 soffre, o gode, di una “inesplicabile” sovrastima in termini di efficacia e di utilità.

    Mi ricorda la chimera dell’idrogeno, spacciata come panacea energo-democratica da ecomunisti del calibro di Jeremy Rifkin, chiamati, e profumatamente pagati, a tenere lectio magistralis in ogni luogo del pianeta dove si fa la Politica e la Legge (da noi non poteva mancare la camera dei deputati con presidente in testa). E come non ricordare il governatore lombardo (quello della Lombardia) inaugurare sorridente la nuovissima rete di distribuzione dell’idrogeno. Chissà in quale scantinato milanese giace ora la verde e costosissima bigiotteria.

    Superata ormai (forse) l’ubriacatura da idrogeno, si passa a più miti consigli e si torna alla ciucca alcolica, che almeno è più facile da gestire, in quanto l’alcol è liquido in condizioni normali e non prevede l’uso di damigiane criogeniche.

    Come si fa l’alcol a partire dalla CO2 atmosferica?
    Servono 3 cose.

    1- Una serie di reazioni chimiche. (Per far funzionare: reattori, catalizzatori, reagenti, controlli, stoccaggio, personale… una fabbrica!)
    2- Tanta energia.
    3- Un pacco di soldi, se pubblici è meglio… Anzi se mancano quelli non si fa.

    Il punto 1 è tecnicamente possibile, il 2 viene dalle rinnovabili con l’aiutino, il 3 basta convincere i policymakers e gli investitori “interessati”.

    Però… Se fossimo ottimisti potremmo concedere che per fare 1 litro di alcol bisogna “bruciare” 20 kWh elettrici che vengono prodotti per esempio da 1000 mq di fotovoltaico nell’arco di una giornata.
    Un “pieno” di 50 litri necessita quindi di appena 50000 mq di fotovoltaico per 1 giorno, 10 campi di calcio ricoperti di pannelli.

    Tutto questo senza contare i costi di installazione e mantenimento della baracca.

    Proprio un bel gioiellino, forse anche meno costoso dell’idrogeno.
    Che bello il progresso!

  3. Ci sono notizie fresche che mi paiono notevoli, anche se per ora non le ho viste riprese dalla stampa italiana. Obama ha appena tenuto la prima conferenza stampa dopo le elezioni e sull’ambiente ha aperto così:


    “I am a firm believer that climate change is real, that it is impacted by human behavior and carbon emissions, … As a consequence, I think we’ve got an obligation to future generations to do something about it.”

    “Sono un convinto sostenitore della realtà dei cambiamenti climatici, che è influenzata dal comportanemnto umano e dalle emissioni di CO2 … Come conseguenza, credo che abbiamo l’obbligo verso le generazioni future di fare qualcosa”.

    Fin qui niente di nuovo, a parte che l’argomento *sembra* riprendere l’attenzione nell’agenda politica. Però la prosecuzione del discorso ha una sostanza ben diversa (tanto che l’articolo è intitolato “Obama says climate change to take backseat to economy”):


    “I think the American people right now have been so focused and will continue to be focused on our economy, jobs and growth that if the message is somehow that we’re going to ignore jobs and growth simply to address climate change, I don’t think anybody’s going to go for that. I won’t go for that … If on the other hand, we can shape an agenda that says we can create jobs, advance growth and make a serious dent in climate change and be an international leader, I think that’s something that the American people will support.”

    “Penso che gli americani ora sono e saranno così concentrati sulla nostra economia, sul lavoro e la crescita che se il messaggio è roba tipo che ignoreremo i posti di lavoro e la crescita semplicemente per affrontare il cambiamento climatico, non penso che nessuno andrà in quella direzione. Io non ci andrò … Se, d’altro canto, possiamo definire un agenda che dice che possiamo creare posti di lavoro, aumentare la crescita e affrontare seriamente il cambiamento climatico ed essere leader a livello internazionale, penso che sia qualcosa che gli americani approveranno”.

    Abilissima dialettica, ma la sostanza è chiara ed è una contraddizione delle premesse. Per quattro anni ci hanno raccontato che la soluzione si chiamava Green Economy e che era in grado di affrontare l’AGW e contemporaneamente creare posti di lavoro e benessere: insomma, non c’era il problema di scegliere le priorità. Con questo nuovo discorso l’economia torna prioritaria e l’AGW verrà affrontato *solo se* e ripeto *solo se* le scelte prese non saranno in contrasto con la crescita economica. Ma questa non è l’ammissione che la Green Economy come ci è stata raccontata sinora era fuffa? I fallimenti in Spagna, Germania ed USA evidentemente hanno lasciato il segno.

    • donato

      Curioso (si fa per dire 🙂 ) che nei resoconti giornalistici nazionali non si trovi traccia della seconda parte del discorso di Obama. Evidentemente i nostri media non sono obbligati (per legge) ad essere obiettivi. 🙂
      Ciao, Donato

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