Ehm…mi è venuta così, chiedo sinceramente scusa ai nostri lettori che capiranno che trovare un’immagine decente per questo post non era possibile. Il fatto è che solo un paio di giorni fa ero qui a commentare saggiamente che Nature Climate Change, come tutte le riviste scientifiche, vada letta senza preconcetti.
Ligio a questo proponimento, mi accingevo a leggere quanto pubblicato nel numero appena uscito e…ditemi voi se il titolo non è appropriato:
Shrinking of fishes exacerbates impacts of global ocean changes on marine ecosystems – Cheung et al., 2012 – doi:10.1038/nclimate1691
E’ la scienza del ‘potrebbe’, ‘dovrebbe’, ‘succederebbe’, ‘…ebbe’ etc etc. In più, si nota anche un furbesco utilizzo del presente al posto del futuro, forma verbale che dà maggiore forza, nella fattispecie maggiore certezza, al verificarsi dell’evento. Al loro posto avrei i sudori freddi ;-).
Dunque, scherzi a parte, pare che con un appropriato modello sulla distribuzione e fisiologia delle specie, naturalmente tarato su scenari emissivi apocalittici, normalmente definiti worst case scenario, una minore ossigenazione degli oceani porterebbe ad una diminuzione della massa corporea dei pesci dal 16 al 24% dal 2000 al 2050. Più precisamente, circa la metà di questo ‘restringimento’ sarebbe da imputare a variazioni nella distribuzione e nella consistenza, mentre il resto sarebbe a carico della fisiologia. L’area più colpita sarebbe quella tropicale, con una media di rimpicciolimento dei pesci del 20% o più.
‘Potrebbe’, ‘dovrebbe’, ‘succederebbe’. Ma che succede realmente? Beh, nel paper di osservazioni sulle dimensioni non ce ne sono, sebbene il modello impiegato per la distribuzione delle specie mostri un buon accordo con studi osservativi dedicati a questo argomento. Ma, sulle dimensioni, nisba. Trattasi di modellazione della relazione causa-effetto sull’ipotetica diminuzione dell’ossigeno disponibile causa global warming incipiente (e già qui potete mettere l’elastico al sopracciglio).
Qualcuno qualche campione lo ha studiato, ma si tratta di cose piuttosto limitate e non certo adattabili alla complessità del sistema degli oceani. Eppure quel che ne è venuto fuori con riferimento alle dimensioni del pesce (e vabbè, oggi va così) è stato esattamente il contrario. Ma questa, per quanto limitata, è solo realtà, come competere con il sano uso del condizionale e del presente al posto del futuro.
Se avete voglia di leggere l’analisi di Antony Watts sul problema dell’ossigenazione degli oceani lui ha commentato questo studio qui. A me, sinceramente basterebbe riuscire a smettere di ridere.
Alcune volte dicono che gli animali per l’AGW si spostano creando invasioni di specie aliene (ma rimanendo inalterate le dimensioni),altre che non si muovono ma si addatano rimpicciolendo o ingrandendosi ( come ben riportato su http://www.ecohysteria.net/?p=4703 ). Concludendo: tutto è possibile con l’AGW!
OT : http://www.nationalgeographic.it/ambiente/2012/10/02/foto/80_orsi_polari_invadono_villaggio_in_alaska-1288814/1/?ref=HRESS-40
Questa fa molto ridere . 80 orsi bianchi su una carcassa di balena abbandonata ( ma non erano in estinzione ) … ” forse a causa del cambiamento climatico “
Noto che la frase: ” forse a causa del cambiamento climatico “ , è presente solo nel sottotitolo. Nel corpo dell’articolo non vi è il minimo cenno al cambiamento climatico. L’aspetto più notevole è l’icona circa le usanze dei cacciatori eschimesi e la valutazione dell’intelligenza degli orsi. Ho l’impressione che anche quella di chi ha scritto il sottotitolo della news dovrebbe essere oggetto di attenta valutazione. 🙂
Ciao, Donato.
In realtà i commenti sul GW ci sono, disseminati nelle pagine successive.
Vale forse la pena di riportare qualche stralcio dell’articolo:
– (…) I resti di balena, lasciati dai cacciatori Inupiat, hanno attirato nelle vicinanze del villaggio fino a 80 orsi al giorno (…) Studi recenti però suggeriscono che “con il ritirarsi dei ghiacci, sulle coste arrivano più orsi, e quindi è più probabile che si imbattano nei resti di balena”. (…) “Non ne aspettavamo così tanti, e non avevamo idea di quanto fossero pericolosi”, dice Holmes. “Non potevamo andare dalla pista d’atterraggio al villaggio, o alla spiaggia, e non si poteva uscire la sera”. (…) La International Whaling Commission consente alle popolazioni indigene la possibilità di cacciare un numero limitato di esemplari, ma per la Whale and Dolphin Conservation Society queste limitazioni non bastano: la portavoce dell’organizzazione Vanessa Tossenberger ha invitato le popolazioni native a ridurre se non addirittura a interrompere la caccia a balene e delfini. (…) La comunità isolana, composta da poche centinaia di abitanti, si trova a poca distanza dall’Arctic National Wildlife Refuge, o ANWR, e ancora dipende per la propria sopravvivenza dalla caccia al caribù e da quella alla balena. –
Ok, abbiamo capito che gli orsi erano tanti, tutti in estinzione, ma tanti, e qualcuno (finalmente!) ha anche capito che sono anche pericolosi. Oh, credo che non siano così stupidi da mordere la mano che li nutre, ma fidarsi è bene, e non fidarsi è meglio. E ci hanno anche informato che la popolazione Inupiat “dipende per la propria sopravvivenza dalla caccia al caribù e da quella alla balena.”, e fin qui tutto bene (o quasi, passando sopra sui continui riferimenti al GW), ma la chicca viene ora, in questo stralcio, dove una certa Vanessa Tossenberger solleva in me sentimenti che non posso riferire, quando ha invitato questa gente che sopravvive grazie alla caccia alla balena a “ridurre se non addirittura a interrompere la caccia a balene e delfini”.
Mi viene da domandarmi in quale mondo viva questa signora, e forse se lo stanno domandando anche gli indigeni Inupiat.
Certi ambientalisti non si smentiscono mai.
Caro Guido, mi hai colto in castagna: non avevo capito che l’articolo continuava per altre dieci pagine sotto forma di didascalia delle foto. Per pigrizia mi ero fermato alla prima foto credendo che l’articolo fosse tutto lì. La conclusione del mio commento, comunque, non cambia se non per il fatto che va estesa anche all’autore dell’articolo.
Ciao, Donato.