I nostri lettori abituali penseranno che siamo impazziti, immaginando che contrariamente alle nostre abitudini, non solo ci gettiamo nella mischia delle previsioni, cosa che su queste pagine non accade quasi mai, ma addirittura lo facciamo con un anticipo che ogni meteorologo sano di mente giudicherebbe ridicolo. Così non è in effetti. Non abbiamo nessuna intenzione di fare presagi di nessun genere.
Lo spunto per il nostro titolo di oggi e per il contenuto di questo post, viene da una recente pubblicazione scientifica in materia di previsioni stagionali della quale ci ha dato notizia Science Daily:
Seasonal Forecast for northern emisphere winter 2009/2010 – IOp Science, Environmental Research Letters.
Si tratta di uno studio di rianalisi delle performance del modello di previsione stagionale in uso presso lo UK Met Office, il modello GloSea4, cui si aggiungono degli interessanti spunti previsionistici per l’immediato futuro.
L’inverno 2009/2010 è stato per una buona parte dell’Eurasia decisamente freddo, giungendo ad essere per l’Inghilterra ma non solo veramente gelido. In quella occasione, gli amici del Met Office e i loro concittadini furono letteralmente travolti da qualcosa di assolutamente inatteso, in modo per molti aspetti simile a quanto accaduto sull’est europeo e sul nostro paese lo scorso febbraio. Logico quindi che abbiano cercato di correre ai ripari tentando di affinare le tecniche di previsione stagionale.
In questo paper il modello utilizzato allora viene impiegato in parallelo con una versione più aggiornata che se non comporta modifiche circa la risoluzione spaziale orizzontale, ne comporta invece di significative lungo la verticale, aumentando da 38 a 85 i livelli verticali del modello e includendo quindi una buona parte della stratosfera, ove nella vecchia versione erano rappresentati solo gli strati di quest’ultima a contatto con la troposfera. Lo scopo è quello di tentare di far rappresentare al modello il comportamento del Vortice Polare Stratosferico, con particolare riferimento agli eventi di repentino riscaldamento e inversione della circolazione alle alte quote polari noti come Stratospheric Sudden Warming (SSW).
Come molti appassionati di meteorologia sanno bene, gli SSW sono strettamente correlati con l’insorgere di condizioni di circolazione emisferica a bassissimo indice zonale, ovvero con massicci trasferimenti di aria artica verso le medie latitudini, con conseguenti episodi di freddo molto intenso. Le serie storiche del comportamento della stratosfera polare assegnano una più elevata probabilità di eventi di SSW alle annate in cui si verificano, tra tante altre, due condizioni particolari: la presenza di condizioni di El Niño (o ENSO negativa) sull’Oceano Pacifico equatoriale e una Quasi Biennal Oscillation (QBO) orientale. Entrambe queste condizioni si sono verificate nell’inverno 2009/2010. La prima come noto riguarda un periodo di intenso riscaldamento delle acque superficiali dell’oceano, la seconda invece si riferisce ai venti stratosferici della fascia equatoriale, che soffiano da ovest verso est e viceversa ciclicamente, cambiando di segno mediamente ogni 28-30 mesi e sovrapponendosi quindi in modo molto irregolare alla ciclicità stagionale della circolazione atmosferica.
L’influenza di questi eventi sul territorio europeo è però tutt’altro che diretta, per cui con tutte queste premesse, gli autori dello studio si propongono l’obbiettivo di giungere alla determinazione in sede di previsioni di un altro indice atmosferico molto importante, l’Oscillazione Artica (AO), più direttamente riconducibile alla presenza di situazioni fortemente meridiane (AO negativa) o prettamente zonali (AO positiva). Uno degli elementi caratterizzanti della stagione 2009/2010 fu infatti proprio la persistenza di una AO negativa molto intensa, addirittura ai minimi mai registrati da quando si dispone di serie affidabili.
Inizializzando il modello con il segno dell’ENSO, con la fase della QBO e con molti altri fattori che comunque concorrono anch’essi a determinare la tipica variabilità delle situazioni stagionali tra cui anche la forzante solare (!), gli autori si propongono di individuare con un certo anticipo l’insorgere di eventi di SSW, di derivare da questi il segno dell’Oscillazione Artica e di capire, sempre con buon anticipo, se si presentano dei segnali affidabili di forti anomalie negative di temperatura. Mentre sul piano fenomenologico questo è un approccio che conosciamo e che abbiamo anche applicato con successo, con i modelli atmosferici ancora non ci aveva provato nessuno e leggendo il paper si capisce anche il perché.
Tuttavia, a giudicare dai risultati di cui danno conto nel loro studio, questo ambizioso obbiettivo sembra raggiungibile, pur con alcuni importanti caveat.
Come detto qualche riga più su, la concomitanza di un indice ENSO e di una QBO entrambi in territorio negativo, aumenta la probabilità di eventi di SSW. Ciò non esclude che questi possano verificarsi e quindi dar luogo a decise irruzioni di aria gelida alle medie latitudini anche con situazioni opposte, ossia con ENSO e QBO positive o con una ancora differente combinazione delle due cose, facilitata dal fatto che il periodo della QBO varia da 20 a 36 mesi (la media è 28), mentre le oscillazioni dell’ENSO sono del tutto aperiodiche ed hanno normalmente una durata molto inferiore. Questo è stato ad esempio il caso dell’anno scorso, quando pur con ENSO positiva (La Niña, anche piuttosto intensa) e QBO in transizione da positiva a negativa, si è verificato un SSW molto intenso in gennaio che ha avuto notevoli ripercussioni nella circolazione troposferica dell’emisfero nord, forzando comunque l’AO in territorio negativo e generando per l’Europa centro orientale uno degli episodi freddi più significativi della storia recente nelle prime due settimane di febbraio. Nell’immagine che trovate a questo link c’è l’indice AO normalizzato dal 1950 ad oggi, nel cui andamento si notano non solo l’estrema variabilità della circolazione emisferica, fattore questo che innesca la grande variabilità interannuale delle stagioni fredde sull’Europa, ma anche l’esistenza di periodi prolungati di prevalenza dell’una o dell’altra modalità, sotto la probabile influenza delle oscillazioni di lungo periodo delle temperature di superficie dell’Oceano Atlantico.
E qui entra in gioco un altro indice ancora, per alcuni aspetti interpretabile come un sottomultiplo dell’AO, la North Atlantic Oscillation (NAO), calcolato in funzione dell’intensità dell’anticiclone delle Azzorre e della depressione d’Islanda, da cui deriva la posizione della stormtrack, ossia della traiettoria media delle perturbazioni che dall’Atlantico giungono sull’Europa. Una stormtrack alta (NAO positiva, anticiclone delle Azzorre e bassa d’Islanda entrambe intense) porta sulle medie latitudini europee condizioni mediamente stabili, mentre una stormtrack bassa si associa con flussi umidi e normalmente temperati, che se però si associano ad una AO negativa incontrando aria molto fredda sul continente possono dar luogo ad innevamento molto diffuso.
Insomma, come si sarà capito, e sotto molti aspetti abbiamo appena scalfito la complessità di questi meccanismi, il discorso è tutt’altro che semplice. Di qui la grande difficoltà di ‘modellare’ gli innumerevoli intrecci tra queste dinamiche e, inevitabilmente, anche gli insuccessi a volte clamorosi delle prognosi stagionali o anche mensili. Per fare qualche esempio, nonostante gli strumenti innovativi appena descritti pur nello specifico riferiti alla stagione invernale, l’ondata di freddo dell’anno scorso è sfuggita quasi del tutto alle previsioni stagionali, comparendo su quelle mensili a non più di 15/20 giorni dal suo verificarsi. Ancora e sempre in tema di stagioni, la scorsa estate avrebbe dovuto essere per il Regno Unito una stagione piuttosto arida e calda, ma si è poi rivelata una delle più umide e fredde delle ultime decadi. Per converso, e arriviamo ai fatti di casa nostra, con l’insorgenza della prima onda di calore della stagione alla fine di giugno, non c’erano assolutamente segnali che poi ce ne sarebbero state altre sei senza praticamente soluzione di continuità, portando le temperature estive a livelli quasi da record per valore assoluto e persistenza.
Ma l’estate è finita e ora ci aspetta la stagione fredda. Si può fare qualche valutazione anche se siamo appena a metà settembre? Beh, i test effettuati dagli autori riguardano comunque i mesi di dicembre, gennaio e febbraio, con il modello inizializzato tra la fine di ottobre e i primi di novembre, per cui siamo ancora lontani. Tuttavia sappiamo che la QBO sarà ancora saldamente orientale, ossia negativa, e l’ENSO sarà presumibilmente debolmente negativa, perché le ultime previsioni vedono un El Niño debole almeno fino a fine anno. Condizioni quindi forse favorevoli agli eventi di SSW, con tutto quello che ne potrebbe conseguire.
Staremo a vedere, nel frattempo, come si dice, stay tuned, perché non appena il Vortice Polare Stratosferico sarà stabilmente in modalità fredda cominceremo a pubblicare i nostro outlook, correlati anche di mappe di previsione delle anomalie bariche in area atlantica e quindi di segno dell’AO e della NAO.
Scioglimento estivo dei ghiacci artici comporta freddo invernale nell’Europa del nord? http://www.meteogiornale.it/notizia/24587-1-ghiacci-artici-al-minimo-storico-quali-effetti-su-prossimo-inverno
Visto che negli ultimi anni hanno previsto inverni caldi e poi è stato l’opposto, ora si cautelano.