Questo è un esperimento. Voglio provare a proporre un argomento che potrebbe avere dei risvolti politici. Per carità, è già successo, ma si è trattato sempre di “incidenti di percorso”, per lo più provocazioni in stile troll in sede di commento che abbiamo sempre bloccato sul nascere. Per scelta.
Oggi proviamo a farci del male da soli, perché so già che potenzialmente si potrebbero alzare bandiere di colore opposto. Vorrei però invitarvi a riflettere soltanto sui contenuti di quanto segue, evitando dietrologie, barricate o preconcetti ideologici. Non dovrebbe essere difficile, perché non si tratta di casa nostra, sono pazzo sì, ma non fino a questo punto.
Si tratta degli USA e della loro campagna elettorale, accesasi recentemente con le convention delle due opposte fazioni celebrate una dopo l’altra. Del resto, piaccia o no, nel bene o nel male, quello che succede dall’altra parte dell’oceano ci riguarda sempre da vicino, almeno da 70 anni a questa parte.
Ma non dobbiamo dimenticarci che CM si occupa essenzialmente di clima e affini, per cui difficilmente avremmo preso l’argomento se, nel più perfetto rispetto dello stile americano, non fosse comparso in rete un confronto di opinioni sul climate change tra i due contendenti alla presidenza del paese, l’attuale presidente e candidato dei democratici e lo sfidante dei repubblicani.
Prima di leggerlo una breve premessa. Gli Stati Uniti sono il paese con le più alte emissioni pro-capite, ma hanno perso negli ultimi anni il primato delle emissioni in valore assoluto perché superati dalla Cina. Sono anche il paese che non ha mai ratificato il Protocollo di Kyoto, benché ne siano stati firmatari, ma hanno comunque intrapreso un cammino di decarbonizzazione che pur con aspetti controversi presenta attualmente un rateo di riduzione delle emissioni superiore a quello di molti altri paesi, magari più virtuosi in sede di trattativa internazionale ma di fatto molto meno capaci in sede di attuazione delle policy. A dirla tutta, negli USA si sono alternate dichiarazioni d’intenti di vario segno, in accordo con l’alternanza delle fazioni al governo del paese, ma la politica non è mai cambiata. Non sono certo questi i tempi in cui una elezione può essere decisa dalla posizione dei candidati sul tema dei cambiamenti climatici. Lo sarebbero stati forse gli anni scorsi, come è accaduto ad esempio in Australia, dove con la lotta all’AGW si sono prima vinte le elezioni e poi si è perso il governo. Ma negli USA no, negli USA contano solo gli USA, come sempre e da sempre.
Però climate change vuol dire tante cose. Vuol dire soprattutto energia, in termini di approvvigionamento e utilizzo. E quindi vuol dire economia, fiscalità, consumi, sviluppo etc etc. E questo ci riguarda senz’altro, visto che la metà dell’export americano avviene verso l’Europa e gran parte di quello Europeo va verso di loro. Ci saranno certamente mille ragioni a me sconosciute per cui una parte della nostra industria automobilistica ha trovato terreno fertile in america, ma certamente il fatto che si stia cercando di ottimizzare l’efficienza dei trasporti e i consumi dei mezzi è stato sostanziale per passare dalla Cadillac alla Cinquecento.
Per cui, ecco qua la fatidica domanda di Science Debate cui i due candidati hanno solertemente risposto:
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Il clima della Terra sta cambiando e c’è preoccupazione circa gli effetti potenzialmente dannosi di questo cambiamento per la vita sul nostro pianeta. Qual’è la vostra posizione sul cap-and-trade, carbon tax, e altre politiche proposte per affrontare il cambiamento climatico globale – e quali passi possiamo fare per migliorare la nostra capacità di far fronte a sfide come quella del cambiamento climatico che vanno al di là dei nostri confini nazionali?
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Barack Obama
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Il cambiamento climatico è uno dei problemi più grandi della nostra generazione, e dobbiamo affrontarne la sfida mettendo in essere delle policy intelligenti che portino una crescita maggiore nella generazione di energia pulita e risultino in un sistema di benefit economici e sociali. Sin da quando ho preso il mio posto ho definito standard storici per limitare le emissioni dei nostri veicoli per la prima volta nella storia. La mia amministrazione ha fatto investimenti senza precedenti nell’energia pulita, ha proposto per la prima volta da sempre dei limiti per l’inquinamento da anidride carbonica per le nuove centrali a combustibile fossile e ha ridotto le emissioni all’interno del territorio federale. Da quando ho iniziato il mio mandato, gli USA stanno importando mediamente 3 milioni di barili di petrolio in meno ogni giorno e la nostra dipendenza da greggio estero è ai minimi degli ultimi venti anni. Stiamo anche mostrando una leadrship internazionale sul cambiamento climatico, raggiungendo accordi storici per fissare limiti alle emissioni all’unisono con tutte lepiù importanti nazioni sviluppate e in via di sviluppo. C’è ancora molto da fare per affrontare questo problema globale. Continuerò gli sforzi per ridurre la nostra dipendenza dal greggio e abbassare le amissioni di gas serra generando al contempo un’economia costruita per durare.
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Mitt Romney
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Personalmente non sono uno scienziato, ma la mia migliore interpretazione dei dati è che il mondo si sta scaldando, che le attività umane contribuiscono a questo riscaldamento e che i decisori dovrebbero quindi tener conto del pericolo di conseguenze negative. Tuttavia, resta una mancanza di consenso scientifico sul problema – sulle dimensioni del riscaldamento, sulle dimensioni del contributo umano e la severità del pericolo – e credo che si debbano sostenere un dibattito continuativo e l’investigazione all’interno della comunità scientifica. In definitiva, la scienza è un input alle decisioni delle policy pubbliche; non detta una particolare reazione politica. Il Presidente Obama ha sposato il punto di vista che il riscaldamento globale è in atto, che la reazione americana deve essere quella di abbattere le emissioni di anidride carbonica imponendo costi enormi alla nostra economia. Dapprima egli ha provato un provvedimento di cap and trade che avrebbe devastato la nostra industria. Quando questo approccio è stato respinto dal Congresso, ha dichiarato le sue intenzioni di perseguire lo stesso risultato per proprio conto e ha proceduto attraverso la sua EPA nell’imposizione di regole che manderanno in bancarotta l’industria del carbone. In nessun caso il presidente ha indicato quali effettivi risultati avesse intenzione di raggiungere con questo approccio – e per buone ragioni. La realtà è che il problema si chiama Global Warming, non America Warming. La Cina ha sorpassato da tempo l’America nel primato sulle emissioni. Le emissioni del mondo sviluppato si sono livellate mentre quelle del mondo in via di sviluppo continuano a crescere rapidamente, e le nazioni in via di sviluppo non hanno alcun interesse ad accettare restrizioni economiche per cambiare questa dinamica. In questo contesto, l’effetto principale di un’azione unilaterale da parte degli USA che imponga costi alle proprie emissioni sarebbe quello di spostare all’estero le attività industriali verso nazioni i cui processi produttivi producono più emissioni e sono meno favorevoli per l’ambiente. Questo risultato potrebbe far sentire meglio gli ambientalisti, ma non farebbe star meglio l’ambiente. E’ per questo che mi oppongo a passi quali una carbon tax o un sistema di cap and trade che imporrebbero un handicap all’economia americana e porterebbero via lavoro al settore manufattoriero, tutti senza di fatto affrontare il problema sottostante. La crescita economica e l’innovazione tecnologica, non la soppressione dell’economia attraverso le regole è la chiave per la protezione dell’ambiente nel lungo periodo. Sicché io credo che dovremmo perseguire quella che chiamo una politica “senza rimpianti” – passi che condurrebebro a minori emissioni, ma che farebbero bene all’America a prescindere dal materializzarsi o meno del pericolo del riscaldamento globale e a prescindere dal fatto che altre nazioni facciano azioni effettive. Per esempio, sono per un robusto impegno del governo per finanziare la ricerca su tecnologie efficienti e a basse emissioni che mantengano la leadership americana nel settore delle industrie emergenti. E credo che il governo federale debba fattivamente incanalare delle normative per l’implementazione di nuove tecnologie energetiche, compresa una nuova ondata di investimenti nell’energia nucleare. Questi passi rafforzeranno l’industria americana, ridurranno le emissioni e produrranno le tecnologie economicamente attrattive cui devono aver accesso le nazioni in via di sviluppo se debbono raggiungere delle riduzioni delle loro emissioni che si renderanno necessarie per affrontare quello che è un problema globale.
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Mi prudono i polpastrelli, ma non ho nessuna intenzione di indirizzare la discussione. Sono entrambi discorsi politici, che andrebbero alleggeriti del bias elettorale e che nulla valgono fino alla prova dei fatti. Ma riescono al tempo stesso ad essere molto diversi. Li separa in tutta evidenza l’approccio ideologico, abbastanza propagandistico il primo, fin troppo pragmatico il secondo.
A voi i commenti, con un avvertimento. Non tollererò in alcun modo che si vada sopra le righe o che si sposti la discussione su altre campagne elettorali a noi più prossime. Ci sono sufficienti argomenti “pratici” nei due discorsi per soddisfare qualsiasi genere di prurito ai polpastrelli.
Quack! Quack!
Mi raccomando, zitti e mosca sui soldi che ci arrivano da Big Oil, altrimenti valery si scompensa del tutto!
ps Guido, ci vediamo al Ritz di Doha per la COP il 26 novembre. Solo contanti, in mazzette non rintracciabili!
A me interessa la posizione di Obama sul nucleare che si mostra meno demagogica di quanto si immagini.
“Il nucleare rimane la maggiore fonte energetica che non produce emissioni inquinanti. Per cui per raggiungere i nostri crescenti bisogni energetici e prevenire le peggiori conseguenze del cambiamento climatico dobbiamo aumentare il ricorso all’atomo”.
La green economy di Barack Obama punta su nuove centrali nucleari, le prime ad essere costruite negli USA dopo 30 anni, e sinistra e ambientalisti insorgono.
Però è molto strano che gli USA che hanno Forse gli unici al mondo, risorse, conoscenze, conosenso nell’opinione pubblica, ceentinaia di siti adatti alle centrali e agli stoccaggi, non investano nel nucleare di 4° gen.
Io penso che i poltici americani ormai sappiano che l’AGW è una farsa, hce è un finto problema, purtroppo sanno che l’argomento porta consenso, e quindi lo affrontano, ma solo a parole, tutto quello che ha fatto Obama sarebbe stato da fare anche nel caso in cui non sia mai esistito l’AGW, quello che non conveniva fare invece se n’è ben guardato di farlo, anzi ha autorizzato nuovi oleodotti e nuove trivellazioni.
Credo che una delle prime cose della lista su cui nessun presidente americano può sgarrare è il piano energetico nazionale (come da noi, eh?). Per cui, in generale, non mi stupisco che Obama si dimostri concreto sul nucleare. Rimane il fatto che a parole si è detto impegnato anche su altri fronti, su cui poi ha elegantemente fatto marcia indietro in base alle sue esigenze di consenso. E’ anche vero che un anno e mezzo dopo i fatti l’effetto Fukujima sembra essersi annullato, tranne che in Giappone (dove si è comunque fortemente ridotto).
A valery faccio presente che irrompere con un “sapete quanto?” e poi dimostrarsi non capace di completare la domanda retorica con il dato fa ridere. Le spese militari servono ad un sacco di cose, anche a garantire rapporti internazionali che impediscono il ricatto sulla fornitura di risorse, ma è solo uno dei fattori. Quelli come lei, vent’anni fa, ironizzavano sul mancato intervento degli USA in ex-Jugoslavia perché nei Balcani non c’era il petrolio. Poi Clinton intervenne, il petrolio non fu trovato, e non foste capaci di darci una spiegazione. E poi ha il coraggio di rinfacciare posizioni politiche agli altri?
Comunque, a proposito di spese militari per proteggere risorse ed infrastrutture, le ricordo una discussione qui effettuata qualche mese fa. Era a proposito di un delirante progetto a livello europeo per la costruzione di un enorme centrale fotovoltaica in Algeria, che supplirebbe alle esigenze energetiche del nostro continente (il progetto ha almeno un merito, che il suo gigantismo dimostra che almeno qualcuno ha fatto i conti sull’efficienza, da cui si ricava che anche il solare fotovoltaico non permette di essere autosufficienti). Ecco, io mi chiesi se nel progetto erano state affrontate le questioni diplomatiche e militari derivanti dal fatto che tutti i terroristi del mondo verrebbero attratti da quell’installazione, la cui distruzione o danneggiamento metterebbe in ginocchio il nostro continente. Nessuno rispose: vuole provare lei?
PS Comunque io voglio essere pagato in oro, che delle valute non mi fido.
Poche, sintetiche, considerazioni.
I due candidati hanno risposto in modo estremamente chiaro e senza nascondersi dietro cortine fumogene. Un ottimo esempio che tutti i politici, soprattutto i leaders, dovrebbero seguire (e mi fermo per evitare reprimende 🙂 ).
Delle due posizioni preferisco quella di Romney proprio per il suo pragmatismo.
Quanto detto non significa votare Romney. Oltre al problema climatico ne esistono tanti altri per cui, prima di esprimere il voto, bisognerebbe conoscere le posizioni dei due candidati su altri temi del dibattito politico americano.
Ciao, Donato.
“Adesso, dire che “non cominicio io, fin quando non comincia lui, perchè altrimenti ci rimetto” mi sembra un ragionamento miope.”
Non è così semplice. A questa considerazione manca il contesto, che è la competizione e la ripartizione delle risorse disponibili e della ricchezza creata. Più gli USA patiscono la concorrenza della Cina, più si riducono le risorse a loro disposizione (e la Cina gode già di vari vantaggi indebiti, come lo scarso rispetto dei diritti dei lavoratori). Se poi il rifiuto della Cina dovesse portare veramente al problema catastrofico, gli USA si ritroverebbero nella paradossale situazione di aver rinunciato a parte della propria crescita per niente (e questo gli elettori te lo fanno pagare, e a ragione) e aver meno risorse per gestire la catastrofe in modo difensivo.
A valery, a parte che vorrei sapere anch’io quanto ci costano, faccio presente che i programmi americani basati su idrocarburi si basano su risorse “non convenzionali”, come ha già spiegato Guido B., le quali si trovano sul territorio USA e quindi non richiederebbero particolari costi di protezione militare oltre a quelli base di protezione del proprio territorio. E Guido B. ha ragione, gli ambientalisti sono sul piede di guerra, tanto che il governatore (democratico) dello stato di New York, che ha appena autorizzato il fracking sul territorio statale, sta fronteggiando manifestazioni di piazza.
Sui due approcci, aggiungo che in quello di Obama ci sono non poche falsità, nel senso che c’è una certa differenza tra quello che dice e quello che fa, ma ne riparliamo più avanti. Ovviamente Romney può dirle anche lui ed è avvantaggiato dal fatto che non è ancora stato messo alla prova.
Disclaimer: fossi in USA, voterei quasi sicuramente Romney.
Premesso che non sto seguendo la campagna elettorale, quindi non saprei neanche per chi dei due parteggiare, sulla questione mi sento piu’ vicino a Romney, soprattutto per quel
” Sicché io credo che dovremmo perseguire quella che chiamo una politica “senza rimpianti” – passi che condurrebebro a minori emissioni, ma che farebbero bene all’America a prescindere dal materializzarsi o meno del pericolo del riscaldamento globale e a prescindere dal fatto che altre nazioni facciano azioni effettive.”
E’ quello che ritengo piu’ vicino al mio personalissimo punto di vista (che per carita’ puo’ essere sbagliato): senza aspettare una prova scientifica del AGW (ammesso ci sia e che cmq allo stato delle cose NON c’e’) cerchiamo di sviluppare modelli di sviluppo piu’ sostenibili per quanto riguardo l’utilizzo delle risorse naturali e della convivenza con l’ambiente naturale. Se inquiniamo/consumiamo meno non sappiamo se salveremo il mondo dal GW ma di certo vivremo in un mondo migliore. Sul come implementare tutto questo puo’ essere una soluzione quella proposta da Romney di investimento sull’innovazione e sulla ricerca. Secondo me deve pero’ essere anche accompagnata da un radicale cambiamento della politica di sviluppo, consumare meno e meglio, e dove possibile riciclare. Va bene il nucleare e cerchiamo di investire dove possibile sulle rinnovabili, che pero’ non sono e non possono essere la panacea di tutti mali, soprattutto se gestite, da un punto di vista economico, in maniera orrenda come in Italia.
Premessa: scriverò questo commento facendo riferimento all’approccio n.ro 1 e all’approccio n.ro 2, secondo l’ordine con cui sono stati esposti, per cercare di staccarmi il più possibile dall’aspetto politico della questione.
Preferisco l’approccio n.ro 1, soprattutto perchè non mi piace l’approccio n.ro 2.
Io la vedo così: c’è un problema. Personalmente ho delle perplessità sul fatto che già si possa quantificarne, in qualche modo, la gravità, ma c’è un problema. In futuro, potrebbe rivelarsi meno grave, o persino molto meno grave, di quanto oggi previsto, ma il problema c’è. Secondo me bisogna affrontarlo (ovviamente nella maniera più efficiente ed efficace possibile). E infatti mi sembra che ambedue gli approcci riconoscano l’esistenza di un problema. Adesso, dire che “non cominicio io, fin quando non comincia lui, perchè altrimenti ci rimetto” mi sembra un ragionamento miope. In sostanza, non mi convince proprio la logica l’approccio n.ro 2, non l’applicherei in generale. Qui non si tratta di non mettere un certo tipo di tassa (es.: Tobin Tax) perchè altrimenti l’attività viene svolta laddove non è tassata, e quindi non si può imporre se non al livello globale. La situazione è diversa: qui si tratta di affrontare un certa percentuale, piccola o grande, del problema, cercando di fare in modo che anche gli altri imitino il comportamento virtuoso.
Obama si vanta della minor dipendenza dal petrolio, facendo suoi i progressi fatti dall’industria “fossile” è cioè l’estrazione di shale oil mediante fracking, e quindi la disposizione di enormi quantità di shale oil per l’industria americana, cosa a cui si sono sempre opposti, si oppongono, e temo che si opporranno gli ambientalisti.
Insomma la fazione che avversa questi successi (anche se la posizione del presidente Obama è più sfumata) e che vorrebbe fermare il fracking e tutta l’economia che ne deriva e della quale si vanta il presidente, vorrebbe trarre vantaggio proprio da quello che avversa !
L’industria fallimentare delle rinnovabili si salverà, creando ulteriore disoccupazione, grazie agli insperati successi degli odiati petrolieri, che stanno salvando l’America ? Sarebbe il colmo.
Secondo me.
Avete una minima idea di quanto ci costi il presidio militare dei pozzi in mezzo mondo? Sapete di quanto si potrebbe tagliare il budget militare e dirottare i fondi su progetti più utili abbandonando gradualmente l’energia fossile?
No. Diccelo tu.
ci pensi, lei è del mestiere
Ecco qua. Ennesima dimostrazione del fatto che parli per dare aria alla gola.
certo caro GG lei non parla mai a vuoto. Certo è che è comodo pensare che il problema sia solo energia fossile o energia alternativa. Dietro le cavolate vostre e quelle dei politici ci sono interessi economici enormi, se ne è accorto? Pensa che i suoi colleghi siano stati inviati in Iraq per turismo o per difenderci da fantomatici terroristi? Le spese militari di tutto l’occidente per difendere i pozzi di petrolio sono talmente alte che mi pare lecito pensare a delle alternative. O teme per la sua poltona?
Stai facendo esattamente quello che mi aspettavo e avevo chiesto di non fare. Solo tu, ma non mi sorprende. Se ti diverti così….
Scusa Valery, che c’entra questa tua sparata ideologica col mio intervento ?
E’ forse falso che l’industria dell’energie c.d. fossili ha trovato enormi giacimenti, contro una fortissima opposizione degli ambientalisti ? E’ forse falso che l’economia delle rinnovabili ha portato solo fallimenti e disoccupazione (al contrario delle fonti c.d. fossili) ? Hai portato qualche prova per sostenere qualcosa del genere ?
Hai solo usato un vecchissimo metodo in uso in chi ha torto e sa di averlo e non ha argomenti, buttar giù accuse generiche, cercando di distrarre l’attenzione da ciò che non puoi negare. Questi metodi che usi li conosco e li ho studiati, e con me non funzionano.
Resta in argomento, contesta se hai qualcosa da contestare, ma sul punto, senza divagare come un ubriaco che barcolla cercando disperatamente la via di casa 🙂
scusate, ma che cosa c’è di ideologico nelle mie affermazioni? Guardi botteri che io non uso trucchetti e se li ha studiati lo ha fatto piuttosto male. dico solo che questa problematica è politica con infiniti risvolti tutti politici. Nulla che abbia a che fare direttamente con la natura dei cambiamenti climatici, solo politica e business. Dimostrate il contrario!
Bravo/a Valery, (scusi non so chi sia Lei, anche se qualche sospetto ce l’ho) finalmente anche qualcuno dall’altra parte conferma quanto dico da tempo, e cioè che la vera natura del catastrofismo è politica. Ma me lo lasci dire, la politica non spiega tutto, deve metterci anche l’affarismo (i trilioni di dollari che girano nel mondo delle rinnovabili – JoNova ha mostrato come i rapporti di erogazione di denaro siano enormemente più grossi, di vari ordini di grandezza, tra quelli che circolano nel mondo “ambientalista” rispetto a quel che circola tra i difensori delle c.d. fonti fossili… quindi si domandi, se c’è corruzione, e certamente ce n’è, dove ne sia la stragrande maggior parte), e deve metterci l’ideologia, la religione gaia.
La CO2 non c’entra nulla col discorso scientifico, con la salvezza del pianeta e altre fantasie varie, sotto ci sono ben altre ragioni, come Lei conferma.
Tra queste ragioni c’è anche la politica estera, che non è tutta candida ed innocente…grazie, Valery, per averci rivelato questa incredibile e sorprendente verità che nessuno di noi si sarebbe mai aspettato 🙂
Ma ha sbagliato sito, qui si parla, se interpreto bene il pensiero anche di altri, di “scienza” NON di politica.
Lasciamo la politica a chi fa politica, e quando qui si parla di politica lo si fa per mettere in evidenza che certe affermazioni siano politiche e non scientifiche, e quindi per separare ciò che è scienza, che si discute qui, da ciò che è politica, e che si può discutere altrove.
Dico questo come opinione personale, perché non ho titolo a parlare a nome del sito, ma credo e spero di aver interpretato il pensiero della maggioranza di noi.
Per questo, e con i detti caviat, dico e ripeto che discutere delle ragioni politiche della presenza di nostri soldati all’estero, è questione, a mio parere, che non riguarda questo sito, dove si discute degli aspetti scientifici, ed ognuno, sugli aspetti politici può avere l’opinione che vuole.
Credo che persone in buona fede e interessate agli aspetti scientifici del problema, possono tranquillamente parlare tra di loro, qualsiasi sia la loro fede politica, perché il teorema di Pitagora non cambia se viene usato da simpatizzanti di partiti diversi…o forse, secondo Lei, sì ?
bravo Botteri adesso sappiamo che lei è anche un veggente, quando ha tempo mi dica pure chi sono che ne ho bisogno. Lo sapeva che quando si parla di elezioni del presidente si parla di politica? Lo sapeva che questo sito (scientifico ah ah ah ) ospita da un pò articoli dedicati a catastrofismo dilagante (di sx si figuri) poi curiosamente gg pubblica sull’argomento un articoletto sul Foglio che le piaccia o no è un giornale politico. non solo sullo stesso argomento si era già espresso G. Ferrara noto scienziato e lui sappiamo che vive di politica. Si è accorto di essere in campagna elettorale e che anche qui la si sta facendo?
Cari tutti, facciamocene una ragione. valery ha scoperto il nostro sordido gioco e, dall’alto della sua cristallina lucidità, ci dice non solo quello che facciamo, ma anche quello che faremo. Siamo fortunati. Non so come abbiamo fatto ad arrivare sin qui ma ora siamo salvi. Meno male.
Mi rendo conto che per Lei sia difficile capire la differenza tra parlare di scienza e di politica, ma sta proprio qui la differenza tra me e Lei.
Diciamo che la scienza è sempre stata un po’ oggetto di brame politiche, ma mai come in questi tempi, in cui si vorrebbe vestire di scienza delle utopie politiche che non funzionano e creano solo fame, regresso e disoccupazione.
Io mi batto per una scienza libera da ingerenze politiche, e credo che la cella di Hadley non si comporti diversamente se sotto c’è uno di destra o di sinistra o di centro. La cella di Hadley (anzi “le” celle di Hadley, perché sono due) esistono al di fuori delle ragioni politiche dell’uno o dell’altro, sono un fatto “oggettivo” (spero che capisca la parola, ma non ne sono sicuro, visto il suo coinvolgimento politico così appassionato). E così lo sono, anzi, lo dovrebbero essere tutti gli elementi, temperatura, umidità, raggi cosmici e quant’altro, che concorrono a formare il tempo atmosferico sia in senso meteorologico che climatico.
Per quanto ognuno possa avere una propria fede politica, che qui nessuno condiziona, dovrebbe poter discutere serenamente di questi fattori “oggettivi”. La scienza dovrebbe essere una base comune per tutti. Non dico un “pensiero unico”, assolutamente no, ma la legge di Henry non è di destra o di sinistra, né la forza di Coriolis, e le interpretazioni di ognuno possono certamente variare, ma non su base politica. La politica, con la scienza NON DOVREBBE ENTRARCI ASSOLUTAMENTE. E’ questo il mio messaggio, il mio impegno.
Fuori la politica dalla scienza !
Ma ovviamente, per quanto io non la desideri, la politica, di fatto, “è” in mezzo, con le sue deformazioni a vantaggio di questo o di quello. Lei ne fa parte, mi par di capire.
Siamo dunque agli opposti del pensiero e della filosofia, e da qui capisco il suo astio verso di me, che però non modifica di nulla la mia vita.
Ed è per questo che quando parlo di politica, nella scienza, non ne parlo per appoggiare questo o quel personaggio politico, ma per separare l’elemento di scienza, che mi interessa, dall’elemento politico, che alla scienza è totalmente estraneo.
Perciò è inevitabile che ci sia anche un po’ di politica, nei discorsi di scienza, ma proprio al fine di tenere la politica fuori dalla scienza.
Per questo discorsi sulle strategie politico-militari sono assolutamente fuori discussione, perché non hanno alcun aggancio con la scienza e con la sensibilità climatica.
Secondo me.
Guardi Botteri che io non ho astio proprio per nessuno, o quasi. Quel che ci distingue è che io non mi nascondo dietro un dito e non cerco spiegazioni ridicole per giustificare quel che hanno dichiarato Obama e Rod. Ho solo cercato di farvi osservare alcuni dei molteplici risvolti politici della vicenda. Non crederà mica che certe scelte verranno fatte sulla base di osservazioni scientifiche serie? E poi che c’è di male nell’osservare che la ns dipendenza dal petrolio prevede anche enormi spese militari? A lei da pur fastidio pagare in bolletta le tasse per le energie alternative, a me dover pagare la trasferta ai ns soldati. Qualcuno disse tempo fa che se si vuol tagliare il cordone con i paesi produttori di petrolio(non tutti ovviamente) bisogna consumarne meno. Non consumare meno! Come? vedremo.
@Morabito: per cortesia mi risparmi il suo sarcasmo, se ho voglia di ridere consulto il suo blog.
Io non so se ti rendi conto che per darci torto ogni volta finisci per darci ragione. Ma non é importante, grazie lo stesso.
Solo un paio di precisazioni signor Valery:
1) Gli USA stanno comunque tagliando il cordone dai paesi produttori grazie a nuovi concetti geologici. Grazie allo sfruttamento delle Oil shale potrebbero diventare esportatori netti di petrolio nel giro di 15-20 anni.
2) Guerra in Iraq. Non voglio entrare in una discussione sui motivi di quella guerra. Resta il fatto che gli USA non importano petrolio dall’Iraq federale e che tutte le grandi compagnie se ne stanno andando da quel paese perchè le condizioni fiscali sono troppo sfavorevoli (Exxon è stata la prima, Total la seconda e pare che pure l’Eni ci stia pensando).
Se gli USA hanno fatto la guerra per i pozzi di petrolio, bisogna dire che è stato un completo disastro.
Beh, è una contapposizione tra dirigismo e liberismo. Obama vuole più controllo e più presenza dello stato nell’economia americana che oggi è penetrato al 25% se ricordo bene (in Italia tanto per capirci siamo al 50%). Romney vuole meno stato e portarne il peso sull’economia su per giù al 15%.
Non è che una ricetta sia sicuramente migliore dell’altra, probabilmente serve il giusto mix. Per quanto riguarda l’energia è sbagliatissimo a mio parere imporre tagli lineari sulle emissioni di CO2, contribuiscono ad inibire la crescita e ad ‘avvitare’ la recessione. Sarebbe sbagliato anche eliminare ogni vincolo. Andrebbero piuttosto individuati obiettivi di “intensità energetica”. Ogni settore industriale dovrebbe avere come obiettivo di consumare meno energia per unità di PIL generato… ma se impongo una riduzione in termini assoluti delle emissioni inibisco una crescita seria dell’economia.
Infatti oggi gli obiettivi sulla riduzione emissioni in Italia ed Europa sembrano raggiungibili solo perchè l’economia è in recessione. Un’economia sana (come prima del 2007) le emissioni e d il consumo di energia primaria (Mtep) del nostro paese non sarebbero certo diminuite.
P.S. Poi va anche detto che se si decide di ‘dirigere’ bisogna anche essere ben certi di indicare la direzione giusta …. e da noi dirigendo sui temi energetici si è spesso e volentieri ‘toppato’ basti vedere cos’è successo con il fotovoltaico, come siamo messi con il gas e con il termoelettrico.
Se fossi un elettore americano queste risposte mi orienterebbero più verso Mister Romney che verso Mister Obama, nonostante Obama mi sia più simpatico.
Saluti 🙂
Intanto preciserei un punto, relativo alla vendita delle 500 in USA. Il lancio è stato un disastro, mentre FIAT sembra aver cambiato passo a partire da marzo-aprile di quest’anno. Potete rendervene conto confrontando titoli e date dei documenti che escono da questa ricerca Google: http://www.google.it/search?client=opera&rls=en&q=vendita+cinquecento+in+america&sourceid=opera&ie=utf-8&oe=utf-8&channel=suggest
Mi sembra che siano due gli articoli da leggere: uno che spiega come il boom sia legato ad un’intensa campagna pubblicitaria legata alle star di Hollywood (anche se quella con Jennifer Lopez all’inizio non funzionava un gran che – http://www.omniauto.it/magazine/19437/fiat-conquista-lamerica-con-la-500) e il secondo che invita comunque alla prudenza e a fare un po’ di conti:
http://www.wallstreetitalia.com/article/1335779/auto/la-scomoda-verita-dietro-ai-risultati-della-fiat-500-in-usa.aspx
In definitiva, per ora le vendite della 500 sono *molto* sotto le aspettative e direi che ci vorrà almeno un altro anno per tirare un bilancio. Vendono soprattutto grazie alla pubblicità modaiola azzeccata, un po’ come il “Oui, je suis Catherine Deneuve!” cambiò radicalmente le vendite di un’utilitaria Lancia che era mediocre prima e restò mediocre dopo. Certamente c’entra anche il prezzo della benzina (che in USA è più che raddoppiato negli ultimi quattro anni) ed è del tutto ragionevole che un po’ di americani (dico un po’ perché stiamo ragionando in termini di decine di migliaia in un paese di trecentoventi milioni di persone) siano finalmente arrivati al concetto che in città non è necessario spostarsi con il macchinone. L’ecologia temo c’entri poco, perché, tanto per fare un esempio, l’elettrica della General Motors è un flop e la casa madre deve periodicamente sospendere la produzione per smaltire l’invenduto: http://www.corriere.it/notizie-ultima-ora/Economia/General-Motors-sospende-produzione-auto-elettriche-Usa/28-08-2012/1-A_002652030.shtml