Il nostro è un Pianeta generalmente freddo e, solo per brevi periodi relativamente caldo. Questo concetto, che a prima vista potrebbe sembrare opinabile, diventa chiaro assegnando alle cose le corrette dimensioni spaziali e temporali. Ci facciamo aiutare dal Milankovith Analogue, ovvero dall’immagine sotto:
Come si vede anche semplicemente a colpo d’occhio nella curva più in basso, la Terra passa la maggior parte del tempo a recuperare faticosamente dalle fasi fredde, per poi piombare nuovamente e improvvisamente nel frigorifero. Oltre un certo limite di riscaldamento, la situazione si fa sopportabile, almeno fino al successivo nuovo raffreddamento. Queste fasi sono dette interglaciali. L’ultima ce la stiamo attualmente godendo. E la Vita, la biosfera, approfitta egregiamente di questi pur brevi periodi per consolidare la sua presenza sul Pianeta, letteralmente esplodendo nel tempo e nello spazio. Un segnale piuttosto evidente di quanto appena detto ci viene del fatto che la massima esplosione di biodiversità avviene ai tropici, fasce latitudinali umide e calde per definizione. Senza voler andare a controllare su un atlante fisico, basta comunque ricordarsi che le piantine che abbelliscono i nostri balconi o giardini durante l’estate, se non adeguatamente protette non sopravvivono all’inverno.
Questa evidenza, magari grossolana ma efficace, ha fatto venire qualche dubbio qualche tempo fa ad un gruppo di scienziati che studiando dati geologici risalenti a oltre cinquecento milioni di anni fa, giunse alla conclusione che le fasi di riscaldamento si rivelavano deleterie per la biodiversità e, più in generale per lo sviluppo della biosfera. Tornando su quelle informazioni e avendone acquisite di più precise, sono recentemente tornati a pubblicare, di fatto ribaltando le loro precedenti conclusioni e confermando – ove ce ne fosse bisogno – la nostra logica grossolana.
La notizia arriva da Science Daily, reprinted, come piace scrivere a loro, da un comunicato stampa dell’università di York, dalla quale proviene l’autore principale dell’articolo in questione:
Biodiversity tracks temperature over time
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Abstract
La distribuzione geografica della vita sulla Terra supporta un pattern generale di aumento della biodiversità con l’aumento delle temperature. Tuttavia, alcune precedenti analisi della serie di dati del Fanerozoico risalenti a 540 milioni di anni fa, avevano trovato una relazione contraria, con una diminuzione della paleodiversità in corrispondenza del riscaldamento del pianeta. Questi risultati contraddittori, sono difficilmente riconciliabili con la teoria. Si analizzano i pattern della biodiversità degli invertebrati marini per il periodo Fanerozoico controllando al contempo il lavoro di campionamento. Questo controllo sembra ribaltare la relazione temporale tra le temperature e la biodiversità, dal momento che la ricchezza tassonomica aumenta, non diminuisce, insieme alle temperature. L’aumento delle temperature preasagisce inoltre i ratei di estinzione e generazione, insieme ad altre variabili predittrici biotiche a abiotiche. Questi risultati minano i report precedenti di una relazione temporale negativa tra temperature e biodiversità, che si attribuisce a bias di campionamento dei dati paleontologici. I nostri risultati suggeriscono a scala globale una convergenza della relazione tra biodiversità e temperatura tra i pattern macro-evolutivi e quelli macro-ecologici.
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Ma, si affrettano a sottolineare gli autori nelle dichiarazioni che accompagnano il comunicato stampa, tutto ciò è vero per tempi climatici, ovvero per fasi di riscaldamento che avvengono nel lungo periodo, quanto è necessario ad una specie per adattarsi, magari dando vita a nuove specie, oppure per perdere la capacità di adattamento ed estinguersi. Nulla a che vedere, sempre secondo loro, con la fase di riscaldamento che stiamo vivendo, evidentemente giudicata troppo rapida e, soprattutto, senza precedenti. Posto che le dinamiche recenti pur essendo climatiche sono certamente riferite a periodi certamente non paragonabili a quelli di cui si parla in questo studio, è pur vero che proprio questo interglaciale – e degli altri si sa poco o nulla perché i dati di prossimità certamente non hanno la necessaria densità temporale – ha conosciuto fasi di riscaldamento paragonabili se non ancora più repentine dell’attuale, fasi peraltro attribuibili in via esclusiva a dinamiche naturali.
Verrebbe da dire che sarebbe meglio che il riscaldamento globale continuasse, lasciando così alle specie il tempo di adattarsi, cambiare o essere sopraffatte. Vuoi mettere che disastro se adesso tutto a un tratto si tornasse al freddo?
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NB: un piccolo disclaimer. Qualche tempo fa abbiamo pubblicato un brevissimo post intitolato Sciarpe e Cappelli in cui davamo conto dell’opinione di un geologo, Don Easterbrook, che si dice convinto che il futuro a medio termine vada nella direzione del global cooling più chel global warming. Quel post è diventato oggetto di continue segnalazioni da parte della compagine dei senzienti climatici, per la semplice ragione che questa estate ha fatto caldo. Onde evitare che accada lo stesso con questo post, ci tengo a sottolineare che le ultime due righe sono una boutade. Tutto il resto no 🙂
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