[error]
[…] Il passo delle soluzioni tecnologiche per affrontare il cambiamento climatico potrebbe non essere adeguato ad affrontare le difficoltà che il disfacimento del clima su larga scala lascia presagire.
[/error]
Questa sopra è l’ultima frase dell’anatema con cui il Bullettin of Atomic Scientist ha aggiornato nel 2012 le lancette del Doomsday clock, portando l’umanità a cinque minuti dal disastro. Secondo loro, ovviamente. Considerato il fatto che tutte le altre tragedie e difficoltà, reali a dispetto di quella sopra, che hanno elencato nel loro messaggino non hanno subito sostanziali modifiche, c’è da credere il cambiamento climatico abbia pesato il giusto per rimetterci questi preziosissimi sessanta secondi di storia dell’umanità.
A guardar bene in effetti, la climafobia aveva fatto il suo ingresso tra le apocalissi possibili già nel 2007. Allora i minuti erano sempre cinque e il vaticinio suonava così:
[error]
[…] Anche il cambiamento climatico rappresenta una specifica minaccia per l’umanità. Il danno agli ecosistemi è già in atto; alluvioni, tempeste distruttive, siccità aumentate e scioglimento dei ghiacci polari stanno causando perdita di vite umane e di beni.
[/error]
Poi, nel 2010, un barlume di speranza, si torna a sei minuti sull’onda di un inspiegabile entusiasmo post-CO2penhagen:
[error]
[…] I pericoli rappresentati dal cambiamento climatico stanno crescendo, ma ci sono alcuni progressi. In particolare, a Copenhagen, i paesi in via di sviluppo e quelli industrializzati sono d’accordo ad assumersi delle responsabilità per le emissioni di anidride carbonica e per limitare a 2 gradi celsius l’aumento delle temperature globali.
[/error]
Sto bene, grazie, ma potrei star meglio. Oggi, se fossi la Terra, risponderei così a questi uccelli del malaugurio, le cui affermazioni oltre ad essere ammantate di demagogia, sono anche quasi tutte falsificate dall’attuale conoscenza scientifica, eventi estremi in primis.
Per cui, prima di continuare, procediamo con una sana e liberatoria pressione sul bottone d’emergenza.
Possiamo andare avanti.
La settimana scorsa è uscito sul Foglio un editoriale di Giuliano Ferrara:
Mari e cieli stanno bene, siamo noi che siamo matti
A ispirarlo un articolo uscito su Nature:
An index to assess the health and benefits of the global ocean
Ci credereste? Un nutrito gruppo di scienziati ha sviluppato un indice per valutare in termini sia ambientali che socio economici lo stato di salute dei mari che bagnano tutte le coste del mondo. Risultato, la componente liquida del Pianeta è promossa, voto, 60, partendo da zero e arrivando a 100, posto che si intendano gli oceani al servizio dell’umanità in termini di contributo all’umana soddisfazione, come fa notare un commento in calce all’articolo. Un caveat che non cambia le cose, a meno che non ci si voglia per l’ennesima volta avvitare nella spirale di un mondo in cui la specie umana non dovrebbe essere contemplata, concetto che piace a molti che però si ostinano comunque ad abitare il mondo suddetto.
Capiamoci, non sono tutte rose e fiori, naturalmente, ma non è neanche quello sfacelo che ci vendono quotidianamente soggetti come quelli dell’orologio (e del bottone) di cui sopra. Mentre l’acqua in generale se la passa bene, la conservazione delle coste stenta non poco. Applicarsi su questo e sul mantenimento delle risorse che gli oceani ci forniscono generosamente non sarebbe male in effetti, posto che farlo sarebbe certamente più facile e tangibilmente più utile che annientare il nostro modello di sviluppo a colpi di decarbonizzazione.
Questa sopra l’immagine che riassume i punteggi. Ma se andate al materiale di supporto (il resto del paper è a pagamento), c’è il dettaglio del belpaese, con tutte le sue glorie e, ahimè, le sue note vergogne, ossia la conferma di avere a disposizione grandi opportunità che non siamo capaci di sfruttare e mantenere.
Ad esempio in un contesto più che soddisfacente per le opportunità artigianali e per la biodiversità (sorpresona, il voto è ottimo!), siamo clamorosamente bocciati nel turismo e stracciati nella pesca, non oso chiedermi il perchè.
Insomma, sto bene ma potrei star meglio.
Sii il primo a commentare