Prima la giusta dose di caveat:
- Il tempo non è il clima ma la somma del tipo di tempo nel tempo alla fine fa il clima
- Il clima è composto da molti fattori, la CO2 è uno di questi ma non è l’unico
- Il ‘rischio’ global warming è globale, ma il clima che ci interessa è sempre locale
- Una correlazione non è necessariamente un rapporto causale, ma non per questo è sempre casuale
Direi che siamo pronti a leggere il paper di oggi:
Solar influence on winter severity in central Europe – GRL – Comunicato stampa e abstract
Sembra che uno degli autori di questo paper abbia avuto l’ispirazione assistendo ad una gara di pattinaggio di resistenza nei Paesi Bassi, gara che a suo dire e secondo coloro che la organizzano si possa disputare soltanto ogni 10-11 anni circa, perché le condizioni atmosferiche necessarie a rendere ideale il percorso avrebbero questi tempi di ritorno.
Ma l’albo d’oro della gara non deve essere sufficientemente lungo, sicché hanno deciso di avvalersi di dati proxy ancora più originali, sebbene sempre ispirati più agli aspetti sociologici di impatto delle condizioni climaticheche alle consuete analisi di sedimenti, carote e quant’altro.
Il Reno è un fiume vitale per l’Europa centrale. Scorrendo dalla Svizzera ai Paesi Bassi, fornisce da almeno due millenni una formidabile via di scambi commerciali. Ma con delle eccezioni. Quando fa freddo, molto freddo, può capitare che le sue acque gelino fermandone per brevi periodi la navigabilità. Di questi eventi (l’ultimo nel 1963) esiste una cronistoria piuttosto dettagliata, almeno per gli ultimi 250 anni circa.
E così, mettendo insieme queste informazioni con quelle relative all’attività solare, con specifico riferimento all’emiciclo undecennale delle macchie solari, hanno trovato una forte correlazione tra le fasi di bassa attività solare, con numero minimo di macchie solari, e episodi di ghiacciamento, che pare si siano ripetuti a livello locale e regionale nonostante l’esistenza di un trend di riscaldamento a più ampia scala spaziale. Almeno fino al 1963.
Questo potrebbe far pensare che alla fine il global warming antropico l’abbia avuta vinta anche sul fiume Reno, visto che sono passati quasi 50 anni dall’ultimo evento. Dato però che gli stessi autori dichiarano che gli inverni del 2010 e 2011 sono stati tra i più freddi in assoluto per l’Europa centrale (qualche brividino lo abbiamo sentito anche noi), se San Gennaro non ha fatto il miracolo mi sorge il dubbio che il traffico sul fiume, gli scarichi industriali e quelli delle centrali elettriche sul corso delle acque abbiano potuto dove forse neanche la CO2 sarebbe arrivata.
La figura sotto, che viene dal paper, è eloquente. Qualora il Sole c’entri qualcosa con la ciclicità di questi eventi, la faccenda ha carattere strettamente locale o al massimo regionale, cioè si parla di Europa centrale.
Perché la relazione tra inverni anomalmente freddi negli anni prossimi ai minimi solari svanisce non appena piuttosto che quelle della sola parte centrale del continente si prendono in considerazione le temperature dell’intero emisfero nord, almeno con il dataset CRUTem3 dell’Hadley Centre.
Questo effetto “regionale” ci porta però verso un discorso più ampio e per molti aspetti più interessante che abbiamo affrontato spesso su queste pagine durante i commenti agli episodi freddi degli ultimi inverni. L’aria fredda viene da nord (bella scoperta vero?), ma scende lungo i meridiani con pattern continentali, come l’inverno scorso, o nord-atlantici, come per il 2010, se e solo se si realizzano determinate condizioni circolatorie, tracciabili a loro volta con gli indici NAO e AO, che assumono segno diverso a seconda del posizionamento e dell’intensità delle figure bariche permanenti e semipermanenti dello scenario euro-atlantico.
Sicché, che si ghiacci il Reno oppure no, se questo genere di episodi continua ad aver luogo, presentandosi a seconda della stagione anche con segno opposto, proprio come nell’ultimo inverno e in questa estate – un situazione di blocco è sempre uguale, la differenza la fa essere sul ramo ascendente o su quello discendente – vuol dire forse che tutte queste modifiche la circolazione non le ha subite, nonostante il trend sottostante di riscaldamento. E, attenzione, nonostante anche le origini di questo trend.
Più passa il tempo e più mi convinco che le cose stanno prendendo una brutta piega. Ciò che non riesco a capire è la differenza tra i dati di prossimità e le temperature dei dataset “ufficiali”. In tutti i dati di prossimità (speleotemi, dinoflagellati, carote di ghiaccio e di terra, anelli degli alberi) possono essere individuati cicli di vario periodo. Tra essi, immancabile, il ciclo undecennale delle macchie solari. Nelle serie di temperature misurate, invece, le ciclicità presenti nei dati grezzi tendono a sparire. Cosa ancora più strana è che man mano che i data set vengono aggiornati si accentua la sparizione delle ciclicità. Ultimo esempio è rappresentato dal passaggio dalla versione 3 alla 4 del dataset HadCRU. Le tesi complottiste non mi appassionano, perché non credo che, deliberatamente, si trucchino i dati. Il fatto, però, è strano e mi lascia fortemente perplesso. Mah, dovrò fare qualche ulteriore ricerca per cercare di capire (tempo permettendo, purtroppo).
Ciao, Donato.
Intanto grazie per aver segnalato un articolo interessante e che usa un proxy robusto come il …ghiaccio calpestabile.
Non capisco perché gli autori siano passati da serie locali di temperatura (3 stazioni tedesche) ad una serie altrettanto locale (forse un po’ più ampia)-ottenuta mediando da CRUTEM3 due box di 5° tra le coordinate di interesse.
Poi confrontano questi dati (cioè CRUTEM3) con HADCRUT3 per dire che a livello globale si perde la relazione con le macchie solari (cioè il ciclo di 10-11 anni) trovata con i dati locali. Ma …
1) Non specificano cosa contiene HADCRUT3 (le 2 o 3 lettere finali mancano): se avessere usato HADCRUT3vgl (terra+oceano) avrebbero continuato a trovare la relazione con il ciclo solare perché nello spettro di questo dataset compare il periodo di 10.4 anni, come trovato da Scafetta e poi da me su CM,qui.
2) Non so cosa faccia il CRUTEM3 che usano, ma CRUTEM4 (la sua evoluzione) non mostra il periodo di 10-11 anni e forse per questo si perde la relazione con le macchie solari.
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Link corretto Franco.
gg
Guido,
ho tentato due volte di commentare, ma i commenti non vengono visualizzati
Reply
Franco, erano finiti nello spam causa numero di link. ora è tutto a posto.
gg
Intanto grazie per aver segnalato un articolo interessante e che usa un
proxy robusto come il … ghiaccio calpestabile.
Da qualche tempo cerco l’influenza solare in fenomeni di varia natura,
come in CM, (1)
o (2) e mi
aveva lasciato perplesso l’affermazione che la relazione trovata tra le tre
serie storiche tedesche e il Reno ghiacciato viene meno quando si
utilizza la serie CRUTEM3 su tutto l’emisfero nord. Non avevo mai
analizzato CRUTEM3 (solo stazioni di terra) ma in (1), relativamente ad
HADCRUT3vgl (terra+oceano), si vede chiaramente la presenza dei periodi 9.1 e 10.4 anni, anche se di bassa potenza e mi aspettavo che anche CRUTEM3 contenesse le stesse informazioni.
Ho calcolato lo
spettro di potenza di CRUTEM4 (la versione aggiornata di CRUTEM3) e ho verificato che non esiste un periodo di 10-11, anche se sono presenti alcuni dei periodi “astronomici” identificati da Scafetta (bande rosa). Allora, se viene persa la relazione con i minimi solari quando si usa CRUTEM3 nella zona del Reno e la si confronta con HADCRUT3 emisfero nord (che invece mostra il periodo di 10-11 anni, almeno nella serie globale) questo potrebbe dipendere dal fatto che CRUTEM (3 o 4) non contiene il periodo 10-11 anni.