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Minosse: non drammatizziamo… è solo questione di corna

Non stiamo scrivendo dei famosi film “Non drammatizziamo… è solo questione di corna” (Domicile conjugal), un film del 1970 diretto da François Truffaut, oppure “Mazzabubù… Quante corna stanno quaggiù?”, pellicola a episodi del 1971 del regista Mariano Laurenti. Il fatto è che Minosse, l’ultimo fantasioso nome dato al solito anticiclone subtropicale africano che viene a farci visita, più che famoso per essere un personaggio infernale, è forse molto più conosciuto per essere all’origine del dare “del cornuto” a chi viene tradito dal proprio partner.

La storia è abbastanza nota: il re Minosse voleva fare un dono a Poseidone comprando un toro e sacrificandolo per lui. Ma il toro era così bello che Minosse non volle ucciderlo, così Poseidone lo punì, facendo innamorare del toro la moglie di Minosse, Pasifae. Vogliosa di accoppiarsi con lui, Pasifae si fece costruire una sorta di mucca di legno con delle ruote. Possiamo riprendere le parole del terzo capitolo della Biblioteca di Apollodoro, che racconta “che Parsifae s’invaghì della bestia e con la complicità di un architetto fuggito da Atene a causa di un omicidio, un certo Dedalo, si fece costruire una vitella di legno montata su ruote, vuota all’interno e rivestita di pelle bovina. La regina vi s’infilò dentro, e il toro la montò voglioso come se realmente fosse una vacca” (III,4) (dipinto di disegno di Giulio Romano Mantova, Palazzo del Te, sala di Psiche, parete est (qui e qui) o Pasifae e Dedalo con la vacca di legno Pittura murale della Casa dei Vettii – Pompei – I sec. dC). Dal loro legame nacque il Minotauro (Picasso), mezzo uomo e mezzo toro. A questo episodio si fa risalire il fatto che al povero Re Minosse la gente faceva il gesto delle corna in testa (come lo facciamo adesso) simbolo che sua moglie l’aveva tradito con un toro. Minosse incaricò dunque Dedalo di costruire un labirinto in cui nascondere il mostro, la storia continua ma non abbiamo spazio di scendere nei dettagli che potete leggere qui.

Minosse fu anche re giusto e saggio di Creta, per questo motivo, Dante lo mise come giudice dei dannati all’ingresso dell’Inferno ove li avvolgeva con la sua coda tante volte quanti erano i “gironi” attraverso i quali i dannati dovevano scendere per ricevere la loro punizione (Dante Alighieri Divina Commedia,Inferno, V,4-12, vedi nota (1).

Toccherà quindi ora alla Sicilia conoscere il caldo africano. Ma come era una volta il clima siciliano? Come sarà stato il clima un secolo fa in Italia, nel paradiso precedente l’industrializzazione, quando i mulini erano bianchi ed alle mucche siciliane spuntava un fiore in bocca? Chi ha letto “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa ricorda come il Principe di Salina, durante un incontro ambientato nel 1860 con il piemontese Chevalley, descrivesse il clima dell’isola meglio di quanto possa fare il singolo dato medio che naturalmente spinge ad una visione tendente alla staticità e a cancellare le differenze tra località (come ha ritenuto anche uno dei massimi studiosi di storia del clima, Hubert Horace Lamb):

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“[…] D’altronde vedo che mi sono spiegato male: ho detto Siciliani, avrei dovuto aggiungere la Sicilia, l’ambiente, il clima, il paesaggio. Queste sono le forze che insieme e forse più delle dominazioni estranee e gl’incongrui stupri hanno formato l’animo: questo paesaggio che ignora vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l’asprezza dannata; che non è mai mai meschino, terra terra, distensivo umano, come dovrebbe essere un paese fatto per la dimora di esseri razionali; questo paese che a poche miglia di distanza ha l’inferno attorno a Randazzo e la bellezza della baia di Taormina, ambedue fuor di misura, quindi pericolosi; questo clima che ci infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi ; li conti Chevalley, li conti: Maggio, Giugno, Luglio, Agosto, Settembre, Ottobre; sei volte trenta giorni di sole a strapiombo sulle teste; questa nostra estate lunga e tetra quanto l’inverno russo e contro la quale si lotta con minor successo; Lei non lo sa ancora, ma da noi si può dire che nevica fuoco, come le città maledette della Bibbia; in ognuno di quei mesi se un siciliano lavorasse sul serio spenderebbe l’energia che dovrebbe essere sufficiente per tre; e poi l’acqua che non c’è o che bisogna trasportare da tanto lontano che ogni sua goccia è pagata con una goccia di sudore; e dopo ancora, le pioggie, sempre tempestose che fanno impazzire i torrenti asciutti, che annegano bestie e uomini proprio lì dove le une e gli altri crepavano di sete”.

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Tra pochi giorni si parlerà di nuovi allarmanti record di temperatura siciliani, facendo finta che negli ultimi due secoli nulla sia cambiato nella strumentazione e nell’urbanistica delle città. Forse ci si dimenticherà di ricordare il valore di +46,7 °C che fu registrato il 12 luglio 1962 dalla stazione meteorologica di Catania Sigonella (nella stessa giornata la stazione meteorologica di Catania Fontanarossa si fermò a +46,0 °C), i +45,4 °C della stazione meteorologica di Catania Sigonella del luglio 1998. Il 25 giugno 1982 furono registrati alcuni altri record, come a Palermo Punta Raisi +44,0 °C; il 26 giugno 1982 Trapani Birgi +43,0 °C, e infine furono misurati  +45,0 °C a Catania Fontanarossa sia il giorno 25 che il giorno 26.  Quando si verifica un’espansione dell’anticiclone africano è normale che le temperature massime e minime si alzino (il nord Africa è dove si misurano le temperature tra le più alte al mondo). Il Mennella riporta come valori massimi della temperatura a Palermo (m.71 slm) ad inizio ‘900, 43,1°C a luglio 1916, 41,3° ad agosto 1916, 42,2°C a settembre 1903. Per Catania nel periodo 1938-1957 la massima è stata 44,3°C.

Su vari testi però si trova che la massima temperatura misurata in italia è stata a Palermo il 29 agosto 1898 con 49.5°C. La storica stazione meteorologica di Palermo è posta sul tetto di Palazzo Reale, sede dell’osservatorio astronomico ed è lì dall’800. I famosi 50 gradi forse inizialmente furono riportati nel libro di Guido Caroselli, ” Il tempo per tutti “, dove a pagina 214, in una piccola nota in basso, si legge ” Il record assoluto del caldo per Palermo e per l’ Italia intera fu registrato il 29 agosto 1898, con 49,5°C”. In realtà l’ondata di calore si ebbe non il 29 agosto 1898 ma lo stesso giorno del 1885, ecco cosa scrive un certo De Lisa nel rapporto “meteorico”:

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“All’ una antimeridiane comincia a spirare il SW forte caldo e sino alle tre a.m. si mantiene violento. La corrente del terzo quadrante, intensa più dell’ ordinario, sino dal mattino fa salire il termometro a gradi molto elevati, poco dopo le 9, un violento colpo di vento fece salire il termometro a 40° ed arrivò prima delle ore tre p.m. nel giardino all’ ombra a 45,5°C. Alle ore una p.m. il termometro non annerito collocato a due centimetri dal suolo segnava 49°, 6. La temperatura si è mantenuta elevatissima tutto il giorno e può dirsi che i valori termometrici segnati oggi, senza esempio nel passato, sono eccezionalissimi e difficilmente potranno ancora raggiungersi”.

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Quindi da un termometro messo a terra e non in capannina è venuta fuori la storia di Palermo a 50°! Il signor De Lisa all’una del pomeriggio del giorno della grande sciroccata decise di porre un termometro non schermato a due centimetri dal terreno e su quel terreno lo strumento segnò un valore eccezionale di ben 49,6° (arrotondato fa 50°). Ma, ovviamente, quel valore non aveva nulla di scientifico e, infatti, aveva rilevato un dato più elevato di quello realmente registrato.

Abbiamo verificato tale dato, per l’anno 1989 abbiamo trovato che il massimo ad agosto misurato presso l’osservatorio di Palermo è stato il 22 agosto pari a 34,2°C vedi tabella 1 (misurato ad un’altezza di circa 50 m). Invece la massima temperatura degli annali sembra essere sempre il 29 agosto 1885 con 45,5°C vedi tabella 2 misurati ad un’altezza di m 71,3 s.l.m. (durante gli anni la strumentazione si dev’essere spostata). Il record dell’osservatorio di Palermo sembra 45.5° ben 127 anni fa.

Una temperatura di 45,5°Cmisurata a 71 m con un effetto “isola di calore” molto minore dell’attuale credo sia sicuramente paragonabile ai valori attuali (fatta la tara degli strumenti). Per cercare una ulteriore verifica abbiamo cercato un famoso testo dell’epoca,”Meteorologia” del 1898 del Prof. Giuseppe Gerosa (Nuova enciclopedia agraria italiana), le nostre deduzioni tornano, infatti  nel quadro riepilogativo la temperatura massima indicata è 45,5°C (sulla tredicesima colonna vedi tabella 3). C’è di più, il 4 agosto 1896, 18 mesi dopo il record assoluto di minima, si registrarono +45.4°C a un decimo dal record. La cosa che però mi ha più meravigliato è che nel 1898, quando gli effetti urbani erano minori degli attuali (non c’erano ad esempio le strade in asfalto) nel testo si riportano casi di situazioni sciroccali con temperature minime notturne superiori ai 35°C vedi tabella 4 (fenomeno molto simile a quanto accaduto recentemente, un caso fu segnalato anche da Pietro Tacchini nelle sue conferenze del 1870).

Da allora certamente il clima sarà cambiato, l’atmosfera varia naturalmente senza sosta alla ricerca  di un equilibrio termodinamico. Ma credo che ancor di più sia cambiato il rapporto delle persone con i fenomeni atmosferici e la visione del rapporto dell’uomo con la natura. Gli antichi romani, ad esempio, di fronte alla siccità, alla crescita di popolazione ed alle nuove esigenze di Roma costruirono decine di acquedotti che furono un modo fattivo di pensare alle future generazioni. Non si trattava di devastare l’ambiente, ma l’idea del “bene comune” permetteva una umanizzazione del Pianeta. Oggi invece ci si aspetta che piova secondo la media tutti gli anni (possibilmente secondo le nostre esigenze, d’estate dovrebbe piovere di notte per non scontentare contemporaneamente contadini e turisti) e se ciò non accade esiste sicuramente un colpevole. La soluzione allora diventa mettere in atto azioni per “normalizzare” il tempo  meteorologico, affinché la dea Gaia torni a guardarci con occhi benevoli. Ormai sin da bambini ci stanno abituando a pensare che esiste un nuovo Inferno, dove a giudicare i nostri comportamenti troveremo, al posto di Minosse, appunto la dea Gaia.

NOTA:

(1) Anche il Minotauro appare nella Divina Commedia precisamente nel dodicesimo canto dell’Inferno (Dante Alighieri, Inferno, Canto XII, vv. 11-13) , è il guardiano del Cerchio dei violenti perché nel mito greco esso simboleggia proprio la parte istintiva e bestiale della mente umana, quella che ci accomuna agli animali (la «matta bestialità») e ci rende inconsapevoli. Nella Divina Commedia è presente inoltre un accenno a Pasifae, madre del Minotauro, nel ventiseiesimo canto del Purgatorio (cf. Purgatorio, Canto XXVI, vv. 41-42, vv. 86-87), dedicato al vizio dei lussuriosi. Pasifae vi è citata due volte, come emblema dell’animalità del peccato di lussuria: Dante la definisce con eloquente sintesi “colei che si imbestiò ne le ‘mbestiate schegge”.

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Published inAttualità

5 Comments

  1. Fabio Spina

    Jhonny Stecchino – Le tre piaghe della sicilia

    Era una bella citta, ma ora, e’ bellissima. Il sole, il mare, i fichi d’india, empedocle, archimede… purtroppo siamo famosi nel mondo anche per qualche cosa di negativo…le cosiddette piaghe. Una di queste piaghe, e’ l’etna, che quando si mette a fare i capricci distrugge paesi e villaggi, ma e’ una bellezza naturale.

    Un’altra cosiddetta piaga, e’ la siccita’. D’estate la terra brucia, essicca, ma e’ la natura, e non ci possiamo fare niente

    Ma la dove possiamo fare, ma non facciamo, perche’ in buona sostanza non e’ la natura, ma l’uomo, dov’e’? E’ nella terza e piu’ terribile di queste piaghe che veramente infama la sicilia, e in particolare palemmo agli occhi del mondo.
    Lei mi ha gia’ capito, io mi vergono a dirlo…e’ il traffico!

  2. Fabio Spina

    Nel 1961, mezzo secolo fa, nel Il giorno della Civetta, Leonardo Sciascia poteva scrivere senza creare preoccupazioni ecologiche: «Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno… La linea della palma… Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma…». Rileggendola oggi, più che dell’espansione della mafia, saremmo preoccupati per il riscaldamento globale.

  3. Concordo con Maurizio Rovati. Il post è molto bello e mantenere viva la memoria è importantissimo.
    Due minuti fa una signora mi ha chiesto come era stato il luglio di anno scorso e io l’avevo completamente dimenticato …
    Grazie anche da parte mia.
    F.

  4. Filippo Turturici

    Non mi riferirei tanto all’isola di calore, per situazioni del genere – nè tantomeno al riscaldamento globale e consimili.
    La definizione che troverei più appropriata è “casualità”, per simili fenomeni. Per spiegarmi faccio un esempio opposto, sia meteorologicamente che geograficamente. Il 20 dicembre 2009, alla base militare di Rivolto (nella pianura a sud-ovest di Udine, se non erro), si toccarono i -18.0°C “ufficiali”, ma con un valore “non validabile” di -19.8°C in una centralina automatica, record dal 1929; più a sud, verso il mare, a Palazzolo della Stella si toccarono i -18.5°C; anche nel Veneto orientale si arrivò nell’ordine dei -18/-15°C, mentre il Veneto centro-occidentale vide minime di “appena” -12/-10°C. Cosa succedeva? Era in atto un’ondata di freddo storica a livello europeo? Certo faceva molto freddo, più della norma, ma non c’erano valori da record altrove. Era magari un’ondata di gelo che si fermava sul Piave, come gli austro-ungarici a fine 1917? Nemmeno: le abbondanti nevicate, il giorno prima, avevano colpito tutta la vecchia Serenissima. E allora? E allora successe una concomitanza di fattori, locali e non: il freddo era certamente intenso, ma non certamente da record alla quota isobarica di 850hPa; l’aria era “pellicolare”, continentale, ma senza record al suolo oltralpe; quel che successe, fu che tra il Piave e l’Isonzo, il cielo si schiarì sin dalla sera del 19 dicembre, mentre più ad ovest i passaggi nuvolosi durarono ancora qualche ora. La spessa coltre di neve al suolo, unita all’irraggiamento notturno “libero” da nubi, alla calma di vento ed all’aria già gelida “in partenza”, permisero di raggiungere valori record, in condizioni del tutto particolari e locali. E per di più, in tempi di “global warming”.
    All’opposto, lo stesso accade a Palermo nella sua lunga estate mediterranea (e para-africana, prendendo spunto dal Gattopardo). La città è normalmente soggetta a miti brezze di mare, che mantengono un clima magari un po’ umido, ma sostanzialmente gradevole. Occasionalmente, a seconda della disposizione delle figure bariche e della direzione dei venti, sulla città soffia invece un torrido scirocco, soggetto al riscaldamento adiabatico mentre scende dai monti a sud di essa. E’ dunque un evento locale e particolare, che può normalmente accadere entro qualunque “condizione” climatica in zona. La casualità, sta inoltre nella formazione di bolle particolarmente calde sul Nord Africa dirette verso la Sicilia, e nell’intensità del vento di caduta sulla città, e da questo derivano i record anche in ere “non sospette”. Per dire, una minima record (che so, i 35°C citati) può non avere alcun legame coi cambiamenti climatici od urbanistici, ma semplicemente essere frutto del caso di un periodo di almeno 24h con forte scirocco su Palermo.

  5. Maurizio Rovati

    Molto bello, grazie di cuore.
    M.

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