In estate solitamente si va in ferie. Crisi permettendo, anche in vacanza. E dalle vacanze si mandano le cartoline (a dire il vero ormai non più, si aggiorna la bacheca di feisbuk ma questa è un’altra storia). E così, le BigOil, che tra uno sconto e l’altro stanno cercando di farci dimenticare che negli ultimi anni hanno realizzato utili spettacolari in barba alla crisi, hanno scritto una bella letterina all’Unione Europea, chiedendo di intervenire a sostegno dei prezzi dei certificati di credito di emissione, ormai giunti quasi alla carta straccia per eccesso di offerta.
Dicono che a questi prezzi conviene di più emettere CO2 (qualcuno dice inquinare, ma abbiamo rinunciato da tempo a far loro capire che non è affatto la stessa cosa…) e dunque si rischia di vanificare gli effetti deterrenti su cui si fonda l’esistenza di questo autentico mercato dell’aria.
Sarà ma sento puzza di speculazione.
E il clima? Beh, ammesso e non concesso che la CO2 abbia a che fare con il clima nella forma e con il ruolo che ci dicono quelli bravi, pare comunque che questo forzoso scambio di sospiri – non è anidride carbonica quella che emettiamo respirando? – possa avere solo risvolti finanziari, positivi o negativi che siano.
Già perché a leggere questo articolo su Science Daily non pare proprio che si possa parlare di benefici in termini di riduzione delle emissioni e quindi effetti climatici, ripeto, reali o presunti che siano.
Si tratta di una ricerca fatta negli USA con focus sui paesi scandinavi, che oltre ad essere ovviamente nella UE e quindi ad aver partecipato allo scambio di quote di emissioni, per essere ancora più virtuosi hanno anche posto in essere dei meccanismi di tassazione delle stesse. Risultato: non hanno fatto meglio degli altri. Però hanno fatto girare un sacco di soldi a base d’aria. Vuoi mettere la soddisfazione?
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