Molte volte capita che un buon lavoro venga rovinato da un’inezia. Un mio vecchio cliente che ora si trova nel mondo dei giusti, amava dire che “non per un cucchiaio d’olio si deve guastare l’insalata”. In modo molto più prosaico possiamo dire che quando ci si trova a ballare, si deve ballare, costi quel che costi. Nei giorni scorsi ho avuto modo di riflettere su di uno studio pubblicato su Nature Climate Change:
Vulnerability of US and European electricity supply to climate change
M. T. H. van Vliet, J. R. Yearsley, F. Ludwig, S. Vögele, D. P. Lettenmaier e Pavel Kabat
L’articolo illustra i risultati di una ricerca effettuata dagli autori e che riguarda la vulnerabilità del sistema elettrico europeo e statunitense al cambiamento climatico. La cosa mi è parsa interessante in quanto, in presenza di un ipotetico cambiamento climatico, è necessario sviluppare delle politiche di mitigazione che consentano di ridurre le conseguenze del cambiamento stesso. L’abstract dell’articolo induceva ad una interpretazione di questo tipo. Essendo l’articolo liberamente accessibile ho iniziato a leggerlo.
Gli autori hanno condotto uno studio sulla produzione di energia termoelettrica in alcune centrali europee e statunitensi. Esse risultano distribuite come illustrato nella mappa che segue (tratta dall’articolo di M. T.H. van Vliet et al. 2012).
Trascuriamo, per ora, i diagrammi nella parte bassa della figura. I ricercatori partono da un assunto ineccepibile. Le centrali elettriche (a carbone, nucleari, ad olio ed a gas) hanno bisogno di enormi quantità d’acqua per il raffreddamento (224 km cubi/anno, in Nord America e 121 km cubi/anno in Europa). Il prelievo di queste acque non è “ad libitum“, ma è fortemente regolato da leggi di tutela ambientale tanto in Europa, quanto negli USA. Che succede se le portate dei fiumi vicino ai quali sono ubicate le centrali subiscono una diminuzione o la temperatura delle loro acque aumenta?
Come si vede la questione è terribilmente seria. Tutti capiamo che se la portata del fiume da cui vengono attinte le acque per raffreddare la centrale diminuisce, si potrebbero avere problemi a raffreddare la centrale, per cui i livelli di produzione dovrebbero essere ridotti. Il discorso non cambia se aumenta la temperatura delle acque di raffreddamento. A questo punto si capisce che, in presenza di un aumento globale delle temperature o di un inaridimento del clima, potremmo avere dei problemi con le centrali termoelettriche. Gli autori dello studio hanno dimostrato mediante un formidabile ed ineccepibile apparato matematico e statistico, che le centrali termoelettriche europee e statunitensi sono piuttosto vulnerabili ad un aumento delle temperature delle acque di raffreddamento e/o delle portate dei corsi d’acqua da cui tali acque vengono prelevate.
In particolare, anche sulla base di altri studi citati nella bibliografia che correda l’articolo, si è visto che
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“Utilizzando un quadro idrologico fisicamente basato sulla temperatura dell’acqua in combinazione con un modello di produzione di energia elettrica, si dimostra una diminuzione media estiva della capacità delle centrali compresa tra il 6,3% ed il 19 % in Europa e tra il 4,4% ed il 16% negli Stati Uniti a seconda del tipo di sistema di raffreddamento e dello scenario climatico….”
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Come si vede non si tratta di bruscolini, ma di quantità di tutto rispetto in grado di generare grossi problemi nell’approvvigionamento energetico dell’Europa e degli Stati Uniti. Lo studio, pertanto, ha delle ricadute estremamente interessanti dal punto di vista economico e sociale. Esso prende lo spunto dall’evoluzione del quadro produttivo di alcune centrali termoelettriche durante le estati degli anni 2003, 2006 e 2008 caratterizzate da temperature dell’aria particolarmente elevate e da un clima piuttosto secco. Gli autori, quindi, hanno assunto un pattern di condizioni climatiche ben definito che abbraccia il periodo tra il 1971 ed il 2000 e, successivamente, hanno ipotizzato delle evoluzioni climatiche caratterizzate da temperature più alte e maggiore aridità delle stagioni estive.
A questo punto, però, cominciano, almeno per quel che mi riguarda, i problemi. Per rappresentare l’evoluzione futura del clima i nostri hanno utilizzato gli scenari delineati dai GCM posti alla base del rapporto IPCC AR4. In particolare i ricercatori hanno individuato due possibili evoluzioni del clima: lo scenario A2 e lo scenario B1. La scelta è stata dettata dal fatto che essi rappresentano i due scenari estremi: quello che non prevede alcun intervento di riduzione delle emissioni e quello in cui l’introduzione di misure di contenimento delle emissioni è massimo. In entrambi i casi, a distanza di circa trent’anni (2040) e di circa cinquant’anni (2060) si prevedono riduzioni significative nella produzione di energia elettrica per effetto dell’aumento delle temperature globali e per effetto dell’inaridimento del clima. Tornando ai grafici che corredano l’illustrazione, si possono valutare le riduzioni della potenza generata da due centrali campione. Una è quella di New Madrid negli USA che deriva l’acqua di raffreddamento dal Mississippi e che presenta un sistema di raffreddamento senza ricircolo, l’altra è la centrale nucleare di Civaux in Francia che, invece, è dotata di un sistema di raffreddamento con ricircolo delle acque. Nel primo caso lo studio prevede una fortissima riduzione di potenza prodotta, nel secondo caso, invece, la riduzione è molto più limitata.
Lo studio, ovviamente, non si limita solo a queste due centrali, ma fa riferimento ad altri bacini fluviali europei e statunitensi ed alle centrali installate in tali zone ottenendo i risultati indicati nell’abstract e che ho citato poche righe più su. Pur non essendo un esperto di analisi statistiche di bacini idrologici e di produzione di energia in una centrale termoelettrica, trovo piuttosto convincenti gli strumenti matematici utilizzati nello studio e le conclusioni cui gli autori sono giunti:
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“Considerando le previste diminuzioni delle quantità delle acque di raffreddamento, la disponibilità nel periodo estivo e combinando queste circostanze con la vita piuttosto lunga con cui si progettano le infrastrutture delle centrali elettriche, nella pianificazione che si effettua oggi dovrebbero essere incluse le opzioni di adattamento e le strategie per soddisfare la crescente domanda di energia elettrica nel ventunesimo secolo.”
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In parole povere M. T.H. van Vliet et al. 2012 suggeriscono di progettare le nuove centrali elettriche (nucleari, a carbone, a gas ed a olio) prevedendo anche la possibilità che, nel lungo periodo, esse possano subire i contraccolpi di variazioni climatiche caratterizzate da temperature più alte delle acque di raffreddamento e di carenza d’acqua nei fiumi da cui esse attingono il fluido di raffreddamento. In un periodo di GW mi sembra necessario tenere in conto anche questa circostanza. Da ingegnere reputo la cosa interessante e, sostanzialmente, corretta. E’ un’opzione che si inquadra in un discorso progettuale cautelativo e rientra tra le possibili azioni da porre in atto per far fronte alle esigenze di un mondo più caldo di quello attuale.
Nel ragionamento sviluppato fino a questo momento ho messo in evidenza gli aspetti rilevanti da un punto di vista ingegneristico su cui, sostanzialmente, concordo con gli autori . Anche il riferimento agli scenari A2 e B1 dell’IPCC, in questa ottica, è accettabile: si tratta di scenari ben definiti che, giusti o sbagliati che siano, delineano delle condizioni climatiche che fanno al caso nostro in quanto ci consentono di valutare gli effetti della variazione climatica sui nostri sistemi di produzione dell’energia elettrica. Ciò che, invece, mi lascia perplesso è la presenza, nell’articolo, di un “fil rouge” che, a mio giudizio, poteva tranquillamente essere evitato: il cambiamento climatico di origine antropica. L’AGW rappresenta quel “cucchiaio d’olio” cui si fa riferimento nel titolo di questo post. A mio giudizio ha rovinato “l’insalata” cioè il lavoro. La frase conclusiva degli autori, infatti, è:
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“In this respect, the electricity sector is on the receiving (impacts) as well as producing (emissions) side of the climate change equation.”
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La traduzione, ammetto, un po’ libera, potrebbe essere che il settore della produzione elettrica rappresenta tanto la causa, quanto l’effetto del cambiamento climatico (pianga se stesso chi è cagion del suo male, in altri termini).
Non so, forse infilandoci l’AGW, la pubblicazione dell’articolo è risultata più facile, ma se ne poteva tranquillamente fare a meno. Un vero peccato.
A pensar male si fa peccato, ma … . 🙂 Secondo me non si farà nulla. Le centrali non verranno adattate. In primis per i costi elevatissimi ed in secondo luogo perchè, come scrive M. Rovati, l’orizzonte temporale è molto lungo. Lo studio, però, è utilissimo a suscitare allarme e a rendere più penetrante il messaggio che si vuol far passare: il GW di origine antropica minaccia le nostre fonti di approvvigionamento energetico, anche quelle tradizionali, per cui è sempre più impellente ridurre le emissioni di gas serra (CO2, essenzialmente). Messo il discorso su questo piano è molto più facile convincere chi detiene i cordoni della borsa ad allentarli allo scopo di finanziare le politiche di contenimento delle emissioni.
Ciao, Donato.
Sai cosa, Donato? Tutto sommato mi vien da pensare che, alla fine, dal punto di vista di Gore et al, è molto meglio puntare su un mercato di titoli derivati dalle emissioni attuali e basato su fumosi presupposti non verificabili ma propagandati come preoccupanti, che insistere per ritoccare il raffreddamento delle centrali termoelettriche, che avrebbe un appeal mediatico prossimo a zero e porrebbe una serie di grane di origine pratica di difficile gestione anche a livello di finanziamenti e di impatto ambientale.
Credo proprio che tu abbia ragione. Leggevo sul Corriere di oggi che l’Italia, grazie alla crisi ed alle rinnovabili che ha implementato, raggiungerà gli obiettivi di Kyoto per il 2012 acquistando “solo” 300 milioni di euro di certificati verdi (tre milioni di banconote “verdi” 🙂 ). Della serie: come si crea il denaro dal nulla.
In questi tempi di magra con 300 milioni di euro si potrebbero fare tante cose utili. Mi auguro solo che io, tu e tutti quelli che sosteniamo tesi contrarie all’AGW da CO2 abbiamo torto marcio. Se non fosse così, fra qualche anno, ci sarà da andare in giro con i forconi. Nooo!! Che ho fatto! E adesso chi li sente i “salvatori del mondo” minacciati dalle mie parole? 🙂
Ciao, Donato.
Mia domanda pratica: ma la politica e gli opinionisti ora prenderanno in considerazione le conseguenze di questo studio con misure pratiche (tipo adattare le centrali con misure opportune), oppure no? Perché AGW o GW, se comunque GW dev’essere, è coerente chi si preoccupa di tutte le conseguenze di una certa cosa, non solo di una parte.
A essere razionali direi che, oggi, non si debba fare nulla. Solo prendere atto che:
– forse il clima diventerà più caldo o più siccitoso o entrambe le cose o magari nessuna o tutto il contrario –
In oni caso l’andamento del clima mostrerà una tendenza nel corso degli anni a venire, generalmente non si tratterà di un gradino e anche lo fosse non sarebbe uguale ovunque.
Se si costruisse oggi e domani non succedesse nulla o il contrario di quanto previsto avremmo gettato via delle risorse.
Invece bisognerebbe preparare delle contromisure di rapida attuazione e una progettazione che sia in grado di gestire il problema in un breve periodo, di uno o due anni.
Dare per certe cose che hanno un orizzonte ventennale mi pare il solito metodo Hansen. Ne avesse azzeccata una…
Ogni resistenza sarà inutile… inutile usare la ragione. Anche se il livello del mare rimarrà invariato ci saranno orde di meduse moltiplicatesi a causa dei cambiamenti climatici pronte ad intasare i circuiti di raffreddamento delle centrali (meglio se nucleari). I grandi impianti sono poco democratici e vanno chiusi in favore della generazione distribuita….. poi sono dettagli se la produzione ‘democratica’ di energia costa molto di più a tutti ed arricchisce pochi investitori facoltosi e le banche.
Più che dettagli direi siano obbiettivi…
gg
Trovo giusto che in fase di progetto si tenga conto di possibili evenienze negative. Ho sempre sostenuto che la prudenza è cosa buona, da ingegnere, mentre il principio di precauzione è il mantra delle mamme isteriche.
Per capirci, è la solita differenza tra parsimonioso e avaro, generoso e spendaccione, sport e strapazzo, moderato bevitore (un poco di vino rosso fa bene alla salute) e ubriacone e via dicendo.
Est modus in rebus.
Mantenendoci dunque nel giusto mezzo, se consideriamo lo studio uno stimolo a tener conto di possibili problemi, ben venga, però però…
…incomincerei a dire che si basa su ipotesi sempre più deboli, portate avanti con sistemi (i modelli climatici) che hanno ampiamente dimostrato di avere falle progettuali grandi come una casa (è un modo di dire: enormi).
Che in un mondo più caldo ci sia meno acqua questa è una teoria che non mi convince. Non mi si può venire a dire che dobbiamo temere CONTEMPORANEAMENTE la siccità e l’aumento dei livelli dei mari.
Le siccità, come le inondazioni, sono anomalie LOCALI, dovute al fatto che Madre Natura, o Gaia, se preferite, se ne frega dell’uguaglianza, anzi la aborrisce, e va distribuendo le sue preziose risorse in modo assai diseguale, come sanno bene Tuareg e abitanti del Bangla Desh…
Semmai sono gli uomini a porre qualche rimedio a queste distribuzioni ineguali, con buona pace dei soliti critici aspri di questa povera umanità che non si capisce cosa gli abbia fatto di male. Poi penso che questa gente ogni tanto si guarda allo specchio, e allora mi par di capire 🙂
Dunque, “anche in presenza di un clima più freddo, e/o più piovoso”, per ragioni di anomalie “locali”, potremmo avere una diminuzione della portata dell’acqua di questo o quel fiume. Bene si fa dunque a progettare in modo da evitare eventuali danni, proprio come modus operandi. Come ingegnere lo trovo ineccepibile, ma non mi si venga a inquadrare la cosa in uno scenario irrealistico, grandemente supportato dal mainstream, e che vuole portare a ben altre (e gravissime) conseguenze che il controllo del clima.
Controllo sì, ma della popolazione.
Con decenza parlando, si è arrivati (in Svezia) anche a sindacare come si debba fare blin blin… eh no, mantenere l’invasione di gente malevola o animata da pruriti ideologici fuori dalla portata della nostra privacy è ESSENZIALE.
http://www.huffingtonpost.com/2012/06/13/sweden-left-party-toilet-stand_n_1590572.html
scusate, se la cosa in questione è di minima importanza, e oserei dire, ridicola, quello che trovo INACCETTABILE, è la voglia di condizionamento di ogni aspetto, anche intimo, della vita privata delle persone.
Non sentite voglia di Libertà ? Di democrazia ? Di buon senso ?
Io sì.
Attenti, non vogliono solo controllare se state seduti o state in piedi, ma vogliono controllare quanto spendete e cosa comprate, decidendo “loro” cosa sia giusto che “voi” compriate:
http://www.heraldsun.com.au/opinion/green-ration-is-ludicrous/story-e6frfhqf-1225946912097
ed è amaro che un condizionamento così stretto sia attuato proprio a spese dei discendenti degli ammutinati del Bounty, e cioè di gente che aveva un alto senso del valore della Libertà, tanto da rischiare la vita per difenderla, contro l’impero più potente dell’epoca. Di questo orgoglio possiamo trovare eco in link come questo:
http://www.pitcairners.org/experiment.html
per comprendere appieno il senso delle cose, ricordo che nell’isola di Pitcairn si rifugiarono gli ultimi ammutinati del Bounty, e poi, nel 1856 furono trasferiti nell’isola di Norfolk (l’ammutinamento del Bounty aveva avuto luogo il 28 aprile 1789, lo stesso anno della Rivoluzione Francese)
La loro storia potete leggerla dalla loro stessa “voce”, qui:
http://www.pitcairners.org/settlements3.html
Da gente che non rispetta la Storia, e vuol costringere all’obbedienza proprio i simboli della ribellione, potete mai aspettarvi anche un minimo di buon senso o di rispetto delle persone ? Secondo me, no.
Occhio, dunque, non lasciatevi portar via Indipendenza, Democrazia e Libertà, con scuse varie e bufalesche.
E per chi non tenesse nel debito conto, come dovrebbe, queste parole maiuscole, vorrei umilmente ricordare che il tutto ha gravose conseguenze anche sul portafoglio, perché il modo migliore (o peggiore, a seconda del punto di vista) per privare una persona della sua libertà “sociale”, è renderlo povero. Non gli si potrà eliminare del tutto la sua libertà “individuale”, perché gli rimarrà sempre l’opzione (secondo me, misera e poco consolatoria) di andare a fare l’eremita nel deserto, o chiedere l’elemosina per strada, ma gli si sarà impedito di avere un impatto di rilievo sulla Società.
Secondo me.
Per quel che conta, qui c’è un contributo (che ho co-firmato) sulla siccità storica nel centro e meridione d’Italia (http://www.int-res.com/abstracts/cr/v49/n3/p189-200).
Ho dato un’occhiata all’abstract che hai citato: lo trovo piuttosto interessante. Non ho potuto accedere all’articolo perché l’accesso è protetto. Mi sembra, però, degna di nota la periodicità di 11 e 22 anni nella ricorrenza di eventi siccitosi. Mano mano che leggo materiale di ricerca mi rendo conto che queste ciclicità negli eventi naturali (climatici, in particolare) si incontrano ad ogni piè sospinto. Possibile che in tutte le pubblicazioni scientifiche ispirate ad un certo credo queste periodicità naturali sono assenti o, se tutto va bene, del tutto secondarie rispetto all’impronta antropica?
Ciao, Donato.