Non più un’America del nord, ma due. Popolazione? Economia? Produzione industriale? Territorio? Niente di tutto questo, a raddoppiare saranno le emissioni di anidride carbonica.
Andiamo con ordine. L’International Energy Agency (IEA) ha emesso un nuovo report in cui si stima che nel 2030 le emissioni di CO2 arriveranno a 45Gt/anno, ben 5Gt in più della loro stima precedente compilata nel 2008. In sostanza, è come se si aggiungesse il contributo di un’altra realtà industriale come gli USA.
La stima attuale è quindi fortemente peggiorativa. Perché? Semplice: il rateo di aumento delle emissioni è stato molto superiore a quanto previsto. Più precisamente, a fronte di un incremento dell’1,5% all’anno della precedente stima IEA, c’è stato un aumento del 2,4% dal 2005 al 2010. Già, ma cosa se ne poteva sapere nel 2008? Giusto, però sarebbe stato utile tener conto del fatto che l’incremento annuo dal 1990 è stato dell’1,9%. L’attuale punto di partenza è quindi più alto di quello che avrebbe dovuto essere secondo le stime precedenti e quindi saltano fuori altre 5Gt di CO2 per il 2030.
Vabbè, succede di sbagliare. In fondo le stime delle emissioni di scientifico hanno molto poco, si tratta più che altro di valutazioni dell’andamento dell’economia e della produzione industriale, dinamiche ancora più ostiche di quelle climatiche in termini prognostici.
Alla luce di questi fatti, qual è il rateo annuo di aumento delle emissioni che l’IEA prevede in questo nuovo report? 1,3%, ancora più basso del precedente. Attenzione, si potrebbe immaginare che in questa stima si tenga conto di una graduale decarbonizzazione dei processi produttivi, ma non è così. Queste stime sono riferite allo scenario Business As Usual, cioè privo degli eventuali benefici che potrebbero venire da interventi di riduzione delle emissioni. Nella fattispecie non si può certo dire che l’esperianza insegni.
Su questo argomento c’è più di qualche considerazione da fare. Prima di tutto quelle climatiche. Quanto ci vorrà perché in presenza di policy più o meno disordinate di riduzione delle emissioni che costano uno sproposito ci si renda conto della loro inefficacia sulle emissioni globali, rivedendo magari al contempo il consenso scientifico sull’impatto della CO2 sulle temperature che nel frattempo hanno smesso di aumentare?
E poi, perché continuare ormai scientemente a sottostimare le emissioni con il risultato di allontanare l’eventuale target che queste policy si prefiggono di raggiungere? Due le possibilità. O si è coscienti che un rateo di decarbonizzazione in grado di avvicinare l’obbiettivo non sarebbe sostenibile, oppure c’è bisogno di stime continuamente peggiorative che tengano in piedi il sistema e le condizioni di allarme. Il tutto a prescindere dall’impatto sul clima di cui non si tiene conto né nel primo né nel secondo caso.
Se prima c’era qualche dubbio che la campagna globale contro la CO2 potesse avere un fondamento molto più politico ed economico che scientifico, direi che perseverare con questi errori chiarisce definitivamente il problema.
NB: dal blog di Roger Pielke jr: Lowballing Carbon Dioxide Emissions Projections
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