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Normalmente non dovremmo occuparci delle vicissitudini cambioclimatiche di altri paesi, perchè in effetti abbiamo già parecchi problemi a casa nostra. Tuttavia nei prossimi mesi torneranno ad alzarsi i toni del dibattito, perchè sarà prossimo il summit di Copenhagen nel quale si dovrebbero definire i piani per il dopo Kyoto, e allora capire che intenzioni possa avere questa o quella nazione potrà tornare utile.

E’ altresì probabile che la temperatura (delle sale riunioni e conseguentemente dell’informazione) torni ad alzarsi già al prossimo G8 di luglio. Già in quell’occasione si capirà quali sono le chances di arrivare ad un accordo, ammesso e non concesso che ce ne sia davvero bisogno. Ad oggi la situazione è cambiata solo a livello di dichiarazioni ad alto coefficiente retorico, di fatti che possano smuovere le acque se ne sono visti pochi. Da un lato i paesi in via di sviluppo o già sviluppati ma comunque attuali beneficiari delle clausole di esclusione dagli impegni di Kyoto, non sembrano disposti a perdere questo privilegio, se non in cambio di un importante impegno di trasferimento di tecnologia e di risorse da parte dei paesi più avanzati, e questo più che favorire l’intesa, la allontana. Dall’altro, il fronte dei volenterosi, che sembrava destinato a compattarsi attorno ad un rinnovato ambientalismo d’oltreoceano, è piuttosto sfaldato e vacillante soprattutto a causa della negativa contingenza finanziaria. E’ pur vero che, almeno per quel che riguarda l’Europa, parecchie decisioni sono già state prese a livello comunitario e, piaccia o no, tali decisioni costituiranno il punto di partenza dell’atteggiamento della UE (e dei recalcitranti paesi membri) nella trattativa.

Il dado sarà tratto solo se le dichiarazioni d’intenti del leader del paese più colpevolizzato per non aver aderito agli accordi internazionali, gli USA,  si tradurranno in realtà. Nonostante le speranze di molti, è ben difficile che questo possa accadere. Per due ragioni soprattutto. La prima è che, il piano green proposto dalla nuova amministrazione americana è piuttosto lontano dagli audaci obbiettivi che la UE proporrebbe di fissare per il dopo Kyoto, nè sembra ci sia l’intenzione di procedere ad una tardiva adesione allo stesso malandato protocollo. Un atteggiamento questo, sostenuto anche dalle dichiarazioni di colei che guida la coalizione democratica al congresso, la quale ebbe a dire che non sono questi i tempi per porre in essere azioni che potrebbero rallentare la già asfittica economia nazionale. Non a caso infatti, sono arrivate delle proposte di avvicinamento ai paesi più “scettici” dell’area UE, tra cui il nostro, con il probabile intento di sfuggire a qualcosa di più stringente. La seconda è che tale piano, sin qui ancora una proposta della presidenza, ha pochissime possibilità di essere approvato per dissensi e malumori di vario genere che già avevano contraddistinto l’atteggiamento “climatico” della precedente amministrazione e non sono affatto cambiati nei pochi mesi trascorsi dall’insediamento di quella nuova.

Certamente però, qualcosa è cambiato. E’ arrivato ad esempio il sostegno dell’EPA (Environmental Protection Agency), una potente organizzazione federale, attraverso la recente pubblicazione di un rapporto che classifica l’anidride carbonica come gas pericoloso per la salute umana ed individua nei veicoli a motore i maggiori responsabili delle emissioni. Tutto questo però sembra non essere sufficiente. Sempre per due ragioni. La prima l’avevamo spiegata anche qui, accennando brevemente al fatto che tale pericolo per la salute in effetti è nelle assunzioni che titolano il provvedimento ma non nel contenuto del rapporto. La seconda è che all’interno dello stesso schieramento che dovrebbe aver proposto il piano, sembra ci sia qualche potente scettico.

Alcune fonti d’informazione e parecchi appartenenti alla blogosfera (qui, qui e qui ad esempio) hanno riportato di una nota privata proveniente dall’OMB (Office of Management and Budget, il più importante organo di staff di cui si avvale la presidenza per supervisionare le attività delle agenzie federali), in cui le affermazioni dell’EPA -che è appunto una di queste- sono messe fortemente in dubbio. Un dissenso esplicitato sia dal punto di vista puramente finanziario, in termini di impatto di eventuali contromisure climatiche sull’economia della nazione, sia nei contenuti, paventando l’accusa di un intento più politico che scientifico per l’operato dell’agenzia, rea di non aver considerato tutti gli aspetti del problema ma solo quelli di sostegno alla causa. Tutto ciò dall’interno, non da questo o quel settore dell’economia statunitense che possa essere preoccupato di una inversione di tendenza della politica nazionale. Opposizione isolata o tentativo di indebolire un piano che si riconosce come non affrontabile anche da chi lo propone?

Non si può sapere, ma comunque tutto ciò non stupisce. Prima di tutto perchè, evidentemente, tutto il mondo è paese. In seconda battuta perchè è utile ricordare che l’amministrazione americana che bocciò (95 a 0 il voto del Senato) la ratifica del Protocollo di Kyoto, aveva lo stesso colore dell’attuale, negli intendimenti e negli uomini, perchè l’allora vice presidente Al Gore neo-paladino climatico è oggi consigliere della presidenza proprio sugli aspetti climatici ed ambientali. Quanto avvenuto nel mezzo sembra quindi più che altro la continuazione di una policy già nota e, a quanto pare, forse destinata a non cambiare.

Qualcuno sarà deluso, qualcun altro rassicurato nel poter continuare ad identificare l’atteggiamento d’oltreoceano come causa di tutti i mali del mondo (compreso quello climatico), qualcun altro ancora forse sollevato perchè si eviteranno progetti di mitigazione del clima di portata biblica, la cui utilità è tutta da dimostrare. Difficile comunque che si possa andar lontano.

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Published inAmbienteEnergia

Un commento

  1. A Obama del clima gli importa poco. Obama si preoccupa dell’energia, e usera’ il Babau del riscaldamento globale solo in maniera strumentale, per ottenere quei cambiamenti che ritiene necessari (ma che magari non riuscirebbe a far passare in altro modo).

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