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Freddo e polvere di stelle

Buttiamola lì, tanto per ripetere qualcosa detto già molte volte: la normalità per il nostro Pianeta è il freddo, non il caldo. Cioè, i periodi glaciali tendono a persistere molto più a lungo di quelli interglaciali. Nella fattispecie adesso dovremmo essere verso la fine di uno di questi ultimi.

Tra tutti quelli che si sono dannati l’anima a cercare di capire quali fossero le dinamiche di queste mega oscillazioni, ove con mega si intendono tanto la scala temporale quanto quella termica, colui che è andato più vicino alla spiegazione di questi meccanismi è Milankovitch, le cui ricostruzioni delle variazioni della componente astronomica, spiegano abbastanza bene le variazioni nella quantità di energia ricevuta dal Sole all’origine della differenza tra Pianeta caldo e Pianeta freddo.

Abbastanza ma non del tutto. Dei tre cicli individuati da Milankovitch di circa 23.000, 41.000 e 100.000 anni, infatti, il terzo, relativo all’eccentricità dell’orbita, non è all’origine di una variazione della costante solare sufficientemente ampia da innescare le glaciazioni, che pure nell’ultimo milione di anni si sono ripetute proprio con questa frequenza. Una frequenza inoltre mutata rispetto a periodi ancora più lontani nel tempo.

Accade così che nel dicembre scorso, sul blog di Clive Best sia apparso un post in cui si propone una spiegazione alternativa per l’onset di questa ciclicità di 100.000 anni nell’insorgere delle glaciazioni. La spiegazione sarebbe in una nube di polvere di stelle (appunto) in grado di schermare la  radiazione solare quel tanto in più che servirebbe a spiegare l’inizio delle ere glaciali.

Polvere risultante dalla rottura di una cometa avvenuta circa 3 milioni di anni fa e di cui ci sono delle tracce geologiche. Da allora sarebbe iniziata una progressiva fase di raffreddamento, fino al cambiamento della frequenza di occorrenza delle glaciazioni. E ci sarebbero anche delle tracce geologiche del passaggio attraverso questa ipotetica nube appunto ogni 100.000 anni.

La spiegazione per intero è al link indicato, ma, se qualcuno aspirasse ad assumere il ruolo di Matusalemme decidendo di aspettare il lontano futuro, se questa ipotesi dovesse rivelarsi corretta dovrebbe cominciare a vedere nell’ordine:

  1. Un lento declino della costante solare mentre al contempo decresce l’eccentricità dell’orbita della Terra;
  2. Tracce più evidenti della presenza di ‘polvere di stelle’ lungo l’asse dell’afelio rispetto a quanto presente lungo l’asse del perielio;
  3. Maggiore densità di ‘polvere di stelle’ tra il Sole e la Terra quando questa si trova al Perielio piuttosto cheall’afelio.

In linea di massima il raffreddamento dovrebbe iniziare tra 2.000 anni per giungere in condizioni glaciali entro 20.000 e persistere poi per altri 60.000.

Se ne deduce che il forcing antropico, qualora dovesse persistere così a lungo e qualora al raddoppio della CO2 dovesse in effetti generare un riscaldamento quale quello previsto dalle simulazioni climatiche, potrebbe alleviare le pene dei primi anni di fresco. Mentre per fare qualcosa di serio rispetto alla glaciazione la concentrazione di anidride carbonica dovrebbe restare sopra le 700ppm per 70.000 anni. Se fossi un benzinaio ci farei un pensierino.

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Published inAttualitàClimatologia

2 Comments

  1. Maurizio Rovati

    Francamente questa ipotesi mi lascia molto “freddo”.
    A mio avviso tali “nubi di detriti” non hanno nè la forza nè la stabilità nel tempo necessaria ad operare come schermo.
    Trovo invece molto interessanti e stimolanti le ricerche rivolte verso gli effetti galattici e solari, e forse anche lo studio dell’interazione terra-luna.

  2. Guido Botteri

    Proprio l’altroieri se ne parlava col prof Mazzarella del fatto che non siamo soli nell’universo, e, a proposito di “soli” il nostro “Sole” non è il solo sole (scusate il voluto bisticcio di parole).
    Insomma, chi mi assicura, dico anche a voi, che la zona di spazio che attraversiamo sia identica a quella che abbiamo appena attraversato e a quella che stiamo per attraversare ?
    Oltre a quello che dice Svensmark, quando parla di raggi cosmici e di supernovae, credo che basti il pensiero che la pretesa di una uniformità dell’universo è per lo meno audace e priva di conferme sperimentali.
    Quindi non mi stupirebbe se il clima terrestre, come dice appunto Svensmark, dipendesse ANCHE dall’universo, e dalle variazioni che incontriamo in esso.
    In fondo, come faceva notare l’ottimo Raffaele Viola, stiamo andando verso una zona a maggior concentrazione di detriti cosmici.

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