Ieri Meteoweb ha pubblicato una mappa del trend delle temperature medie superficiali globali per i mesi invernali degli ultimi dieci anni. Nel breve articolo che la accompagna è stata messa in risalto la prevalenza diaree soggette a trend negativo rispetto a quelle con tendenza positiva. In sostanza, così a spanne, sembrerebbe che da dieci anni a questa parte i mesi freddi siano diventati un po’ più freddi per una buona parte del Pianeta.
La mappa in questione è qui sotto. Per riprodurla basta andare sul sito del GISS e fare le opportune selezioni nel tool messo a disposizione.
Le aree con tendenza positiva, se ci fate caso, sono essenzialmente alle alte latitudini dell’emisfero nord, immediatamente a contatto però con vaste zone per le quali c’è totale assenza di informazioni (bisogna tenere a mente che questa mappa è stata costruita su un giglia di 250km di lato). Questo appare chiaro soprattutto guardando la distribuzione latitudinale del trend.
La stessa cosa si può fare su base annuale, ottenendo un risultato simile ma con colori meno accentuati (nella figura ho spostato tutto indietro di un anno, perché il 2012 ovviamente non è completo!)
Sebbene si debba fare un po’ più di attenzione lo stesso colpo d’occhio lo si ottiene analizzando i dati in formato grafico. Nella figura sotto, i cui dati sono divisi per latitudine e per stagione, i quadratini blu indicano le temperature invernali.
Sempre sullo stesso tool, se invece di ‘trends’ si seleziona ‘anomalies’, tenendo come periodo di riferimento quello suggerito, ossia 1951-1980, si ottiene una mappa interamente colorata dai toni del rosso. Per due ragioni. la prima è che il periodo 1951-1980 è stato l’ultimo in cui le temperature globali hanno conosciuto un trend negativo. La seconda è che, nonostante da circa quindici il trend annuale delle temperature medie superficiali sia statisticamente non significativo, comunque i valori stimati sono superiori alla media di riferimento.
Ad ogni modo cosa si può dedurre da questa breve carrellata?
Primo: dieci anni non sono probabilmente climaticamente significativi, ma dovrebbero far alzare qualche sopracciglio.
Secondo: guardando queste mappe non si può sostenere che il riscaldamento prosegua inarrestabile. Il trend ha chiaramente rallentato, ove non proprio invertito il segno.
Terzo: con tutti i problemi che le temperature misurate alla superficie portano con se, è ovvio che la stima è più attendibile dove i dati sono più densi, mentre il segnale degrada dove diventano più rarefatti; delle zone per le quali non ce ne sono affatto non parliamo proprio. Allo stesso tempo però, dove sussiste la maggiore densità dei dati, è anche più elevato il rischio che questi siano contaminati dal bias indotto dall’urbanizzazione, dal quale non è certo che i dati siano ‘puliti’.
Insomma, senza andare a scomodare indici oceanici o altri massimi sistemi, semplicemente facendo eyeballing sulle mappe si capisce che qualcosa è cambiato. Prima di cominciare a studiare le abitudini di vita dei Tuareg per essere pronti al caldosempre più caldo, forse sarebbe il caso di provare a capire cosa stia succedendo.
Oggi, sul Corriere: Ma l’effetto serra che fine ha fatto? «Noi meteorologi in realtà negli ultimi 15-20 anni non abbiamo registrato variazioni di temperatura significative – spiega -. Ci sono magari 2-3 anni un po’ più caldi, seguiti da altrettanti anni più freschi, ma tutto rimane nella media».
http://www.corriere.it/cronache/12_maggio_18/ritorno-mezze-stagioni-weekend-bagnati-parlma_8d573dfa-a0aa-11e1-b2d7-87c74037ee6c.shtml