Non e’ un motorino, non e’ un cantante, è, ma forse si dovrebbe dire dovrebbe essere perché se ne sa molto poco, un fenomeno meteorologico. Ed è anche di quelli che quando arrivano poi tendono ad essere ricordati.
Si parla di vento al suolo, e già chi di meteo se ne intende un po’ dovrebbe storcere il naso, perché parlare di getto per un vento nei bassi strati non è ortodosso. Eppure è questo il nome che chi lo ha ‘scoperto’ e in parte spiegato gli ha dato. Per due ragioni. Innanzi tutto l’intensità, decisamente paragonabile a quella delle correnti a getto. E poi la provenienza, dato che si origina nella media troposfera.
Uno dei significati della parola ‘sting’ in inglese è ‘aculeo’, come quello che si trova sulla parte terminale della coda di uno scorpione. Coda che è arricciata a forma di uncino, come quel ricciolo che si forma all’interno delle intense depressioni dell’Atlantico settentrionale, quando la Bent Back Occlusion viene catturata dal minimo.
Ed ecco che siamo finalmente arrivati nell’ambito meteorologico. Ora siamo più a nostro agio. Meno lo sono quelli che ci hanno avuto a che fare, nella maggior parte dei nord-europei.
Dunque, la pur scarsa bibliografia sull’argomento, parla di violente depressioni in approfondimento esplosivo, che sappiamo essere imputabile a forte avvezione di vorticità positiva per forcing dinamico operato dall’ingresso del getto nella corrispondente depressione in quota. Il getto però porta con se anche l’avvezione calda pre-frontale, che ormai da qualche anno è identificata nel modello concettuale della Warm Conveyor Belt (che sarebbe un nastro trasportatore caldo, ma, vuoi mettere?).
The Sting Jet in a Simulated Extratropical Cyclone
Sting Jets in Simulations of a Real Cyclone by Two Mesoscale Models
Conditional symmetric instability and the development of sting jets
Ebbene, a sud-ovest dell’epicentro del minimo, subito dietro al fronte freddo, si origina a volte lo Sting Jet. Il vento nasce in quota, ma scendendo all’interno della depressione diviene più denso e accelera, giungendo al suolo con effetti devastanti. Il fenomeno è tipicamente riferibile alla mesoscala, di quelli cioè che le simulazioni numeriche faticano non poco ad intercettare, nonostante dalla bibliografia riassunta poche righe fa si comprenda che si stiano facendo degli esperimenti di simulazione che migliorino le performance dei modelli meteorologici su questi eventi.
Allo stato attuale l’individuazione certa è quasi sempre postuma e la si deve ai danni sul territorio e all’analisi dei bollettini, sia per i colpi di vento che per il battente di pressione registrato. La diagnostica può invece venire dalle immagini da satellite, ma siamo nel territorio del nowcasting spinto, al massimo un paio d’ore.
Come si legge da questo articolo su Science Daily, ovviamente non tutte le depressioni generano uno Sting Jet, solo quelle più esplosive. Si ricorda quella del 1987, ma sono sotto esame anche eventi più recenti. Del resto, se come detto la diagnosi viene dai bollettini, dato che queste depressioni (per fortuna) spesso sfogano sull’oceano la loro potenza, avere un campionamento di eventi soddisfacente è molto difficile se non impossibile.
Ancora una volta, tuttavia, ci troviamo alle prese con eventi che difficilmente possono aver luogo dalle nostre parti, per la profondità che i minimi barici devono raggiungere e per le temperature ad essi associate. Sarebbe tuttavia interessante provare a studiare qualcuna delle depressioni esplosive tipiche del Mediterraneo. Così di getto direi che l’attenzione dovrebbe andare ai minimi in sottovento al Golfo del Leone o al Golfo Ligure, perché per gli eventi di matrice meridionale generati dalla catena dell’Atlante mancano probabilmente gli ingredienti base. Non e’ detto che prima o poi non ci proviamo.
[…] mesi fa, su input del magazine divulgativo Science Daily, abbiamo parlato degli Sting Jet, cioè di quegli eventi di ventilazione molto intensa, anzi spesso distruttiva, che a volte si […]