Ci sono alcune storie che assurgono molto velocemente agli onori della cronaca, altre che ci mettono un po’. Generalmente per quelle del secondo tipo, l’attesa dipende dalla pazienza che i cronisti hanno nel lasciarle sedimentare, nel lasciare che i fatti siano chiariti e che sia uscito tutto quello che deve uscire sull’argomento in questione.
Spesso però si tratta di storie di cui si è già sentito parlare in un modo o nell’altro, argomenti magari sfiorati ma mai debitamente approfonditi. Con riferimento a quello di cui parliamo oggi pare che lo strato di sedimenti sia ormai stabile e si possa fare un’analisi quasi definitiva.
Parliamo di serie storiche di dati di prossimità, di ricostruzioni della temperatura, di climategate, di richieste di informazioni evase solo sotto la minaccia di imminenti decisioni giuridiche sfavorevoli, insomma, parliamo del sottobosco – trattandosi di dati essenzialmente dendrocronologici è decisamente il caso di dirlo – dell’accesa discussione scientifica ma non solo sviluppatasi negli ultimi anni.
Il caso vuole che proprio qualche giorno fa abbiamo commentato un’ intervista rilasciata da Michael Mann, autore della ricostruzione delle temperature nota come hockey stick, alla rivista le scienze. In quella intervista, Mann faceva riferimento alla non unicità del suo risultato scientifico, ovvero all’esistenza di numerose altre ricostruzioni della temperatura, che sarebbero giunte a risultati analoghi ai suoi. La figura qui sotto, ad esempio, costituirebbe la prova di questa uniformità di risultati, si tratta anche qui di un’immagine nota, lo ‘spaghetti graph’.
In effetti, sebbene tra le curve di questa immagine si rilevi un accordo generalmente basso, man mano che si procede verso la fine del grafico, ovvero verso i giorni nostri, l’accordo migliora sensibilmente e si nota senz’altro l’impennata delle temperature dell’era moderna. Tutte quelle linee vengono da ricostruzioni basate su dati proxy, per molte si tratta di anelli di accrescimento degli alberi, per altre no, per alcune anche dati misti. Queste ricostruzioni sono state definite più volte ‘indipendenti’ – di qui la loro presunta affidabilità scientifica – benchè sia chiaro, leggendo la bibliografia che nel tempo è stata a sua volta ricostruita, che esse siano più o meno tutte dipendenti da specifiche serie storiche, in particolare da due. La serie impiegata da Mann per la ricostruzione delle temperature dell’emisfero settentrionale e la serie impiegata da Keith Briffa per la ricostruzione delle temperature che in questo grafico è etichettata come Russia Nord-Occidentale. Si tratta dello spaghetto giallo, quello per cui il riscaldamento degli ultimi anni della serie è più accentuato. La serie si chiama Yamal, dal luogo dove sono stati raccolti i dati, cioè nell’area degli Urali.
Dal momento che sulla ricostruzione delle temperature dei secoli scorsi si fonda di fatto tutta la ‘querelle’ sulla eventuale atipicità delle oscillazioni che la stessa temperatura avrebbe subito negli ultimi decenni, va da se che ove delle ricostruzioni realmente indipendenti giungessero agli stessi risultati, una parte consistente dello scetticismo in ordine a questa atipicità dovrebbe necessariamente e giustamente venir meno. E’ quindi normale che dopo aver lungamente investigato sul primo lavoro di Mann, mettendo in luce delle procedure di trattamento statistico dei dati piuttosto bizzarre e di fatto invalidandolo, molti cosiddetti scettici si siano dati da fare per mettere le mani sui dati della serie Yamal per analizzarla. Inutile dire che soltanto dopo il climategate quella serie è stata rilasciata e soltanto ora, essendo imminente una decisione giuridica da parte delle autorità inglesi preposte a queste controversie, sia stata resa nota anche la lista dei siti per i quali all’epoca della pubblicazione dei lavori di Briffa erano disponibili delle informazioni proxy.
Se con riferimento all’indipendenza concettuale delle ricostruzioni si può tranquillamente dire che esse sono realtà molto poco indipendenti, fondandosi largamente anche su questa serie e sulle metodologie utilizzate per analizzarla, circa la reale consistenza dei dati il discorso è ancora più chiaro. Analizzando quella lista di siti, si capisce che alla fine la serie è stata costruita utilizzando i pochissimi dati che restituivano un risultato di evidente recente riscaldamento, mentre se tutto quanto era disponibile per l’area degli Urali fosse stato impiegato il risultato sarebbe stato molto, ma molto diverso. Ce lo mostra nella figura sotto Steve McIntyre, instancabile investigatore e autentica spina nel fianco degli scienziati della CRU, quelli che lui definisce l’hochey team.
Sicché, ci saranno anche ragionevoli motivi di difesa della proprietà intellettuale delle informazioni per essere così poco disponibili al rilascio delle proprie, ma se a legittime richieste di dati da utilizzare per replicare il lavoro di pubblicazioni scientifiche, prima ci si nega, poi si risponde che i dati non sono rilevanti e poi, solo poi, si scopre che quei dati contano eccome e dicono qualcosa di diverso, quanto meno si deve essere chiamati a motivare scientificamente la propria scelta. Cioè, se ho a disposizione molte informazioni e scelgo di usarne poche devo dire perché e mostrarle tutte. Può darsi che un sito di raccolta sia più rappresentativo di altri, ma se la differenza tra ciò che uso e ciò che ometto è pari a un ordine di grandezza e ciò che scarto dice qualcosa di diverso da quello che dico, temo che l’unicità e la rappresentatività del risultato del mio studio difficilmente possano essere difesi. Se per difenderli nego l’accesso alle informazioni forse ammetto anche di essere al corrente del problema, climategate docet.
Ma perché tutte queste chiacchiere? Beh, semplice, perché senza quella serie di Briffa e senza la ricostruzione di Mann, il grafico delle temperature degli ultimi mille anni pubblicato dall’IPCC nel 2007 avrebbe necessariamente dovuto mostrare che la differenza tra le temperature di mille anni fa e quelle attuali è scarsa o del tutto assente. E mille anni fa nessuno aveva ul SUV.
******************************
Per chi volesse approfondire raccomando la lettura di questi due post su ClimateAudit:
Saggezza popolare dice che chi nasconde è perché ha una situazione compromettente da coprire.
E non sono bastate le commissioni Oxburgh, Muir Russel e quella della Penn State (da qualcuno paragonate alle tre scimmiette che non sentono, non vedono…ma parlano, ovvero “whitewash commissions”) a insabbiare quello che non si voleva che uscisse fuori e che invece sta uscendo comunque nonostante tutti gli sforzi per tacitare cose e persone.
La verità a volte fatica, ma non sempre si riesce a soffocarla.
Secondo me.
Per chi avesse tempo e voglia, su Bishop Hill c’è tutta la storia. Ve ne raccomando la lettura.
http://www.bishop-hill.net/blog/2012/5/9/the-yamal-deception.html
gg
Signor Guidi il link è sabagliato, c’è un 8 al posto del 9, link corretto (per ora?):
– http://www.bishop-hill.net/blog/2012/5/9/the-yamal-deception.html
Reply
Sistemato, grazie.
gg