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Si torna a parlar di mare

Si è appena sopita l’eco della pubblicazione del nuovo dataset delle temperature superficiali globali della Università della East Anglia, da cui abbiamo appreso che sì, in effetti, negli ultimi 10/15 anni il riscaldamento globale si è visto pochino. Qualche entusiasta ha cercato comunque di far passare questa pubblicazione per una conferma del sempre-più-caldo-moriremo-tutti, ma per quanta buona volontà ci si voglia mettere, pare comunque che l’ora fatidica non sia ancora giunta. Per fortuna.

In assenza di un riscaldamento dell’aria che i media possano cucinare a puntino, meglio tornare a parlare dell’acqua, chissà che magari non sopra, ma sotto la superficie, non possa nascondere qualche ‘calda’ sorpresa. Non si parla più di temperature quindi, ma di contenuto di calore degli oceani, parametro se volete molto ma molto più rappresentativo della temperatura dell’aria in quanto largamente più conservativo e quindi rappresentativo dell’evoluzione del sistema, al punto forse da poterne rappresentare l’integrale.

Sappiamo abbastanza bene che, né più né meno come accaduto per tutto quello che si misura in energia termica sul Pianeta, gli ultimi anni hanno visto una fase di netto rallentamento del trend di breve-medio periodo, ove non addirittura un livellamento. L’OHC (Ocean Heat Content) non fa eccezione. Un dato questo cui forse si può guardare con maggior fiducia di quanto non accadesse in passato perché proprio negli ultimi anni abbiamo assistito al graduale ma significativo inserimento delle informazioni provenienti dalla rete di rilevamento del sistema ARGO, una rete di boe oceanografiche che ha finalmente fornito una accettabile copertura osservativi tridimensionale della componente liquida del Pianeta.

Due lustri però sono decisamente pochi in termini climatici, per cui giustamente c’è chi continua ad investigare, ora aggiungendo nuove informazioni faticosamente reperite, ora trattando meglio (o pensando di farlo decidete voi) quelle già esistenti, per capire cosa sia effettivamente avvenuto nel lungo periodo.

Esce dunque un nuovo paper di cui apprendiamo dal blog di Roger Pielke sr e da WUWT:

World Ocean Heat Content and Thermosteric Sea Level change (0-2000 m), 1955-2010 – Levitus et al., 2012 (qui su AGU e qui in PDF)

La prima firma è un’autorità in fatto di pubblicazioni relative alle dinamiche degli oceani, per cui vale la pena dare un’occhiata alla figura chiave del paper.

Dunque, pare che nel periodo 1955-2010 gli oceani, tutti gli oceani, abbiano subito un importante riscaldamento, sia nello strato 0-700mt, sia in quello 0-2000mt. Anzi, come si legge nell’abstract una parte consistente di questo riscaldamento sarebbe avvenuta proprio negli strati più profondi, a conferma dell’ipotesi che descriverebbe quella attuale come una fase in cui il sistema starebbe immagazzinando calore nelle profondità oceaniche, un calore pronto ad essere catastroficamente restituito chissà come e chissà quando. Benché il peirodo corrisponda con quello della figura tratta da climate4you.com, questa ricostruzione presenta notevoli differenze, specialmente verso la fine della serie.

Si notano infatti Due trend solidi e piuttosto continui, specialmente a partire dal 1980. Di più, non c’è traccia alcuna di livellamento negli ultimi anni. Questo però potrebbe essere un problema. Infatti sappiamo ormai che la fonte di informazioni più completa e affidabile con riferimento al mare è come detto il sistema ARGO, che in effetti gli autori includono nei dati esaminati. L’inserimento di questi dati nelle serie, ha determinato un cambiamento di passo. come è evidente dalla figura che segue.

Non solo è stato evidente un balzo verso l’alto dell’OHC proprio a cavallo del 2003-2004, ma poi c’è stato in effetti un sensibile livellamento. Ora, il grafico sopra rappresenta delle anomalie, cioè scostamenti dalla media di riferimento, non dei valori assoluti come quelli del grafico di Levitus et al., 2012. Però se si osservano le immagini a partire dal 1990, è evidente come nell’analisi di questo paper non ci sia traccia di alcuna variazione del trend avvenuta nei primi anni del secolo. Dove sono finiti in questa analisi i dati che si danno ormai per consolidati?

Difficile a dirsi. Possono essere ‘affogati’ tra altre informazioni inserite di recente? O possono essere stati in parte occultati dalla media utilizzata? Forse questa è la risposta più probabile, dal momento che ai dati annuali è stata applicata una media centrata su cinque anni.

Ad ogni modo, come dice Willis Eschenbach sul post di WUWT, l’attenzione deve andare più che altro alla percentuale di incertezza che gli autori assegnano alla loro stima. Riconvertendo i dati dell’OHC in temperature, di fatto quelle che vengono misurate per determinarlo, si scopre che siamo in grado di conoscere la temperatura dello strato 0-2000mt di tutta l’acqua che copre il Pianeta per il periodo 1955-60 con un margine di errore 1,5 centesimi di grado, mentre attualmente saremmo in grado di definire quella stessa temperatura con un margine di errore di 2 millesimi di grado. Per definire lo scostamento dalla media di riferimento dell’osservazione, ovvero per determinare l’errore nella misura, gli autori affermano di aver sottratto  per ogni grado di temperatura media per  ogni cella di 1°x1° il dato climatologico. Dalla fonte che citano, però, apprendiamo che la climatologia sotto i 1500mt di profondità non è disponibile. A 1500mt però va molto meglio: la copertura dei dati ammonta a un esorbitante mole di dati, ben il 5% della copertura spaziale, cioè il 5% delle celle ha 3 o più di 3 dati. Alla faccia della media!

Comunque, abbiamo anche detto che Levitus è un’autorità su questa materia, per cui riprendiamo un attimo gli highlights di questa ricerca:

  • Sin dal 1955 c’è un forte trend positivo lineare nel contenuto di calore degli oceani;
  • Un terzo del riscaldamento osservato è nello strato compreso tra 700 e 2000mt;
  • Tale riscaldamento può essere spiegato solo dall’aumento della concentrazione di gas serra in atmosfera.

A parte l’ultimo punto, che rappresenta la solita conditio sine qua non per ottenere la pubblicazione del paper – non è dato sapere perché si esclude ogni altro possibile contributo al riscaldamento degli oceani – vale la pena ricordare, e lo fa egregiamente Pielke sr nel suo post, che tanto il trend 1955-2010, quanto quello 1990-2010, sono largamente inferiori a gran parte delle proiezioni del mainstream scientifico. Anche qui, provare per credere.

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Published inAttualitàClimatologia

5 Comments

  1. donato

    Nell’abstract dell’articolo citato, una cosa mi ha colpito in modo particolare:
    “… correcting for instrumental biases of bathythermograph data, and correcting or excluding some Argo float data.”
    Se non ho capito male il senso della frase, sembrerebbe che nello studio hanno corretto o escluso i dati della flotta Argo. Non voglio far ricorso al solito retro pensiero (hanno eliminato i dati Argo perché scomodi), ma mi chiedo quale sia stata la ratio che ha consentito di escludere i dati che rappresentano le misurazioni dirette delle temperature lungo una colonna d’acqua che si estende tra i mille metri di profondità e la superficie. La spiegazione, stando alle mie reminiscenze di teoria degli errori, è che i dati relativi a quella particolare campagna di misura sono palesemente errati (affetti da errori grossolani che non possono essere corretti). Se ciò fosse vero significherebbe che le boe Argo sono poco affidabili ed i loro dati dovrebbero essere presi con le molle. Come si spiega, allora, che una struttura come la NOAA non abbia segnalato questi “orrori” escludendoli dal suo database? NOAA si limita a registrare i dati o li sottopone anche ad un trattamento di validazione? A giudicare dai risultati del lavoro di F. Zavatti sulle temperature superficiali mensili i dati NOAA sono sottoposti ad una serie di procedure di omogeneizzazione per cui sono “grezzi” solo per modo di dire. Mi sembra, pertanto, molto strano che il dataset NOAA ottenuto a partire dai dati delle boe del sistema Argo debba essere sottoposto a purghe del tipo effettuato da Levitus ed al..
    Ultima considerazione. I dati sono pochi, quei pochi vengono ulteriormente ridotti mediante esclusioni non ben documentate, quelli che restano vengono opportunamente corretti e, successivamente, omogeneizzati. Il risultato è che con dati che coprono il 5% della massa d’acqua a disposizione si estrapola lo stato termico del restante 95%. Sarà una questione di mentalità ingegneristica, ma, nel mio campo, l’estrapolazione non è mai consentita. Al massimo si può ricorrere all’interpolazione. Possibile che in altri campi dello scibile si possano così allegramente generalizzare dati riferiti ad ambiti molto ristretti?
    Ciao, Donato.

    • Donato,
      Esiste della bibliografia in merito ai problemi di drifting delle boe Argo. Se ben ricordo pero’ i problemi affliggono più la misura della salinità che le temperature. Questo non elimina il dubbio pero’, perché la salinità e quindi la densità rientrano nel calcolo dell’OHC. L’assenza di opportuni approfondimenti nel paper a questo riguardo e’ stata anche oggetto di un post di Eschenbach. Ti darei il link ma data l’ora ho qualche difficoltà a ritrovarlo. 🙂
      gg

    • donato

      Non ti preoccupare, ho già avuto occasione di leggerlo e avanza gli stessi dubbi.
      Ciao, Donato.

    • Guido Botteri

      Giusto per la precisione, sarebbero stati esclusi “some” (cioè “alcuni”) dei dati Argo, non tutti. Con quali criteri, non so.
      Da scettico blu e disincantato, guardo a questi “trick” con molto sospetto. Che ci posso fare se sono maligno ? 🙂

  2. Non capisco perché perdere tempo a commentare questa robaccia. Due millesimi di grado di errore su dati che non abbiamo???

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