Questo post è uscito venerdì scorso su La Bussola Quotidiana
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Da oltre trent’anni è in atto un’Hiroshima culturale che indica nell’anidride carbonica la responsabile di tutti i mali del pianeta. Se piove poco è colpa della CO2, se piove troppo è sempre colpa della CO2, se fa’ più caldo del normale è colpa della CO2 ed analogamente se fa’ più freddo del dovuto. La CO2 è stata ormai assunta come tracciante di qualsiasi inquinante emesso in atmosfera dall’uomo e la sostenibilità ambientale viene oggi sempre più intesa come sinonimo di bassa emissione di CO2.
Questi concetti, fatti propri dalle Nazioni Unite, dall’Unione Europea e dai nostri Governi, sono oggi la colonna portante della green economy e come tali vedono l’adesione entusiastica dell’intero sistema economico (industria, terziario, agricoltura, trasporti, ecc.) e sono quindi incessantemente divulgati dai media, andando a costituire una “verità inoppugnabile” contro la quale è pericoloso o quantomeno donchisciottesco cercare di opporsi.
Alla luce di questo antefatto vorrei cimentarmi con i lettori interessati in un ragionamentoche parte da un lavoro scientifico apparentemente lontano da questa tematica. Nel 2003 un gruppo di ricercatori afferenti alle Università di Barcellona, Lleida e Buenos Aires ed al museo di archeologia della Catalogna pubblicano sulla rivista scientifica Journal of Archaeological Science un articolo dal titolo “Productivity in prehistoric agriculture: physiological models for the quantification of cereal yields as an alternative to traditional Approaches” (produttività dell’agricoltura preistorica: modelli fisiologici per al quantificazione delle rese dei cereali come alternativa rispetto ai metodi tradizionali).
In sostanza gli autori hanno ricostruito con modelli matematici le produzioni dei cereali nell’antichità, e cioè nel primo neolitico e poi nella civiltà egizia e greco-romana. Hanno fatto ciò decurtando le rese delle varietà attuali in base a tutte le limitazioni (es: la primitiva base genetica delle varietà antiche, la scarsa concimazione azotata, la competizione delle malerbe, i danni da funghi e insetti) il cui effetto negativo è oggi assai più contenuto grazie alle tecnologie dell’agricoltura evoluta. Nel fare ciò gli autori hanno ovviamente dovuto tener conto dell’incremento delle produzioni di cui oggi godiamo grazie all’accresciuto livello di CO2 in atmosfera ed il risultato è di grande interesse in quanto il passaggio di CO2 dai livelli pre-industriali (le 275 ppmv del 1750) a quelli del 1980 (350 ppmv) risulta aver dato luogo ad un aumento del 40% della produzione di cereali (e con loro della produzione – dico io – di molte altre colture).
Pertanto se con una “bacchetta magica” potessimo far tornare la CO2 ai livelli per-industrialila produzione agricola calerebbe del 40% condannando alla morte per fame una fetta consistente dell’umanità. In altri termini la realizzazione di quello che oggi è il sogno degli ecologisti (e con loro di tutti i soggetti nazionali e internazionali citati all’inizio dell’articolo) si trasformerebbe in una catastrofe alimentare di proporzioni inaudite.
A ciò si aggiunga che considerare la CO2 motore del cambiamento climatico globale costituisce a tutt’oggi una teoria che si scontra con tutta una serie di eccezioni. Fra tutte citiamo quella per cui nel periodo che và dal 1958 ad oggi (periodo da cui è in atto il monitoraggio atmosferico globale di tale molecola) la CO2 è aumentata in modo continuo ad un ritmo dell’1.4% l’anno mentre le temperature globali sono aumentate solo dal 1977 al 1998 e cioè solo nel 40% degli anni considerati. Nel resto degli anni le temperature globali sono rimaste stazionarie o addirittura diminuite, evidentemente perché qualcosa (ma cosa?) sta “remando contro”. Più in particolare i dati da satellite ci mostrano che dal 1998 ad oggi le temperature globali sono stazionarie o in lieve calo nonostante al CO2 continui a salire. nell’aumento delle temperature globali di 0.6 / 0.8 °C cui si è assistito nel XX° secolo, ciò sarebbe senza dubbio da porre fra i meriti di tale gas, in quanto un XX° secolo assai più mite del XIX° ha favorito non poco la crescita delle produzioni agrarie che ha consentito di alimentare una popolazione mondiale passata dagli 1,5 miliardi del 1900 ai quasi 7 miliardi del 2000.
Da tali enormi e ahimè misconosciuti meriti della CO2 nel “nutrire il pianeta” si possono trarre le seguenti conseguenze:
1. demonizzare dell’anidride carbonica trattandola alla stregua di un inquinante è deleterio non solo sul piano culturale (la CO2 tramite la fotosintesi è il mattone della vita su nostro pianeta) ma anche sul piano concreto della sicurezza alimentare globale
2. le iniziative che a livello nazionale e internazionale vengono assunte per ridurre il livelli atmosferici di CO2 dovrebbero essere sottoposte ad un’analisi costi-benefici che tenga in debita considerazione le possibili conseguenze negative sulla produzione agricola e dunque sulla sicurezza alimentare globale.
Della rivalutazione di una molecola altamente benemerita come la CO2 dovrebbe a questo punto farsi carico l’EXPO del 2015. Tuttavia dubito fortemente che rassegne che tradizionalmente vivono all’insegna del politically correct possano collocarsi in una logica tanto lungimirante quanto fuori dagli schemi. Ritengo tuttavia un dovere per tutte le persone di buona volontà quello di affermare il ruolo chiave della CO2 per la vita sul nostro pianeta e per la sicurezza alimentare mondiale.
caro Guido,
l’argomento è delicato, gli interessi in gioco enormi e la tua idea non così peregrina. Infatti nella direzione di ridurre la produzione alimentare e dunque di “affamare il mondo” vanno:
1. molte delle politiche delle energie alternative in agricoltura (quelle in nome delle quali oggi si mettono pannelli solari nei campi, si bruciano mais e frumento nelle stufe, si butta il mais nei digestori per fare biogas, si buttano nelle stufe le stoppie del frumento incautamente vendute dagli agricoltori che dovrebbero invece usarle per arricchire il terreno di sostanza organica)
2. le politiche che mirano a urbanizzare le fertili terre di pianura per soddisfare il nostro “mal del mattone”
3. le politiche di impianto di occupare le fertili terre di pianura con boschi per soddisfare gli insani appetiti dell’ecologismo più retrivo.
Luigi
Spesso motivazioni ambientaliste vanno a braccetto con quelle maltusiane, e quindi quei problemi alimentari che paventi potrebbero essere proprio uno degli obiettivi di chi vuole che il pianeta produca meno, per non consumare le risorse.
Naturalmente non è questa la mia opinione, assolutamente, anzi credo che le idee maltusiane siano il peggio del peggio che abbia mai generato mente umana.