Questo post di Vito Punzi è uscito ieri l’altro su La Bussola Quotidiana.
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La realtà industriale tedesca legata alla produzione di energia solare sta vivendo una situazione per certi versi drammatica: appena qualche giorno fa ha annunciato l’avvio della procedura d’insolvenza il gruppo Q-Cells e si tratta del quarto grande fallimento nel giro di pochi mesi in Germania, dopo Solarhybrid, Solar Millennium e Solon. Per provare a capire cosa stia succedendo nel contesto della politica energetica tedesca occorre ripartire da Fukushima, dalle ripercussioni che quell’evento ha avuto in Germania. Va detto subito: l’avaria subita da quella centrale nucleare, l’anno scorso, non ha provocato alcun cambiamento nel contesto delle centrali nucleari tedesche.
Nel senso che il livello di sicurezza è rimasto identico. Del resto in Germania non sono previsti tsunami, la probabilità di terremoti è di un migliaio di volte inferiore rispetto al Giappone e i sistemi di difesa da dirottamenti aerei sono piuttosto efficienti. Ma nonostante tutto questo la cancelliera Merkel percepì allora quanto avvenuto in Giappone come “una ferita personale e per il mondo intero”, da qui la decisione di dismettere da subito le sette più vecchie centrali nucleari tedesche. Una scelta accompagnata da più di una stranezza. Tra queste la dichiarazione del responsabile della commissione istituita per valutare la sicurezza dei reattori, Klaus Töpfer. Già prima dell’inizio delle verifiche questi rese noto il suo appoggio all’uscita dal nucleare, non lasciando dunque dubbi su quale dovesse essere l’esito del lavoro di quella commissione tecnica: una semplice conferma di quanto già deciso dalla Merkel. “Ripensando a quel rapporto”, ha scritto di recente Konrad Kleinknecht, docente di fisica delle particelle elementari all’università di Dortmund, “era sorprendente che da un lato si chiedesse che i tempi di dismissione fossero sufficienti per permettere l’individuazione di altre fonti d’approvvigionamento energetico e dall’altro si consigliasse già un termine temporale, e di soli dieci anni”. Di fatto il governo e il parlamento tedeschi hanno accolto i suggerimenti di quella commissione senza che ci sia stato il tempo utile per aprire un dibattito pubblico. “In quel rapporto”, aggiunge Kleinknecht, “non c’era neppure il tentativo di dare un concreto fondamento a una richiesta così importante.
E pensare di poter riconvertire l’intero sistema di produzione e fornitura energetica di una realtà industriale come quella tedesca in così pochi anni è cosa che non sta né in cielo né in terra”. Il fine della riconversione è chiaro: entro il 2020 almeno il 35% dell’elettricità dovrà essere fornita da energia rigenerativa e nei tre decenni successivi la percentuale della rinnovabile dovrà essere portata fino all’80%. Colpisce però, ed è causa di più di un malumore, la mancanza d’orientamento. “L’affrettata rinuncia all’uso dell’energia nucleare”, ha scritto ancora Kleinknecht, “porta con sé gravi conseguenze: la Germania sarà costretta ad importare ingenti quantità di elettricità dalle centrali atomiche dei paesi vicini (Francia, Repubblica Ceca e Svizzera) e sarà costretta a costruire molte centrali a carbone e a gas.
Cresceranno così le emissioni di anidride carbonica, dunque non potranno essere conseguiti gli obiettivi che si è posto l’attuale governo relativamente al clima”. Sulla stessa linea del fisico è l’economista Hans-Werner Sinn, docente universitario e direttore tra l’altro dell’Ifo-Institut, l’Istituto per la Ricerca Economica di Monaco. Nel suo ultimo libro, Il paradosso verde (Ullstein Taschenbuch Verlag 2012), Sinn analizza il fervore col quale tutti i politici, senza distinzioni di colore, stanno disseminando la Germania di pale eoliche e di tetti con pannelli solari e infine riempiono le auto di biodiesel, senza la minima attenzione alle leggi economiche più elementari. L’economista arriva a paragonare espressamente la Germania ad un’”albeggiante dittatura ecologista” e a sostegno della sua tesi mette a fuoco l’intera scena burocratica di sostegno economico allestita con la scusa della difesa dai mutamenti climatici.
Dalla consultazione della banca dati chiamata “La bussola degli incentivi energetici” Sinn desume poi circa mille programmi di sostegno promossi dallo Stato centrale, dai Ländern, dai comuni e dai fornitori d’energia per la realizzazione di collettori solari e impianti per la produzione di biomassa e biogas: impianti i cui costi ammontano a miliardi di euro. Solo l’energia solare, secondo le stime fatte dall’Istituto renano-westfalico per la ricerca Economica, fino al 2015 potrebbe costare ai consumatori finali qualcosa come 120 miliardi di euro: “un soffio di DDR”, è il commento di Sinn.
Io direi “un’albeggiante dittatura ecologista ed economica”. 🙂
Molto più prosaicamente del fisico e dell’economista tedeschi io sono portato a credere che mentre il carbone è un prodotto autarchico l’uranio no. Probabilmente i tedeschi stanno seriamente considerando l’idea di un utilizzo sempre più massiccio del carbone. E, inoltre, non credo proprio che la Germania uscirà dal nucleare. Se, poi, ai proclami seguiranno i fatti, non avremo molto da meravigliarci: mica è la prima volta che la Germania prende cantonate colossali! 🙂
Ciao, Donato.
Caro Guido,
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