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Tutta colpa di quei dannati vulcani!

La Piccola Età Glaciale (LIA), un periodo di significativo raffreddamento del Pianeta durato alcuni secoli a partire dalla fine del 1200 sarebbe stata innescata da un periodo di intensa attività vulcanica, con massiccia espulsione di solfati, schermatura dei raggi solari e conseguente diminuzione delle temperature. A seguire, ovviamente, aumento dell’estensione dei ghiacci, feedback positivi (cioè di ulteriore raffreddamento) dovuti all’albedo e alla circolazione oceanica e persistenza del freddo fino all’insorgere della rivoluzione industriale. Termine questo da ricordare, il perché ve lo dico alla fine del post.

Per cui, niente minimi di Maunder e Dalton nel numero delle macchie solari, niente riduzione dell’attività solare, niente forcing astronomico quindi a determinare il raffreddamento. Le cause sono state stocastiche, appunto, vulcaniche.

Tanto si legge in un lavoro apparso sul GRL:

Abrupt onset of the Little Ice Age triggered by volcanism and sustained by sea-ice/ocean feedbacks – Miller et al, 2012

Un articolo che ha ricevuto parecchia attenzione nella blogosfera climatica, anche da parte di voci piuttosto autorevoli, come ad esempio quella di Roger Pielke Sr.

Pielke non è stato il solo però a scrivere qualcosa su questo paper. Lo ha fatto, con il suo solito approccio tagliente, anche Willis Eschenbach, come sempre dalle pagine di WUWT. E non si è spellato le mani a furia di applaudire.

Vediamo perché. Come scritto appena poche righe più su, il fattore chiave analizzato dagli autori è l’espansione dei ghiacci artici. Nella figura sotto sono ricostruite le fasi di aumento e riduzione di questa estensione e le emissioni di solfati per attività vulcanica. E’ evidente la forte eruzione del 1258 che avrebbe dato inizio al processo, ma lo è anche quella del 1455, cui non è seguita analoga evoluzione. Primo problema, se queste eruzioni hanno innescato la crescita del ghiaccio durante la LIA, cosa l’ha invece generata appena prima del Periodo Caldo Medioevale, cioè dal 900 al 1000? Non c’è traccia di eventi vulcanici significativi per questo episodio. Va bene, passi, stiamo parlando della LIA, non di altro. Però, anche per la LIA, quale intensa attività vulcanica avrebbe innescato la nuova crescita del ghiaccio con un picco nel 1435?

E’ una correlazione temporale da investigare meglio. La figura sotto è uno zoom che copre il periodo 1200-1500.

Attenzione, gli autori dichiarano che la Probability Density Function con cui hanno ricostruito l’andamento dei ghiacci permette una datazione precisa. Bene, è altrettanto precisa la datazione dei carotaggi dai quali provengono le concentrazioni di solfati. Pare che da tanta precisione venga fuori che l’aumento del ghiaccio che ha condotto al picco del 1280 sia iniziato prima dell’eruzione del 1258, cioè nel 1215. In pratica la calotta polare si sarebbe portata avanti col lavoro. Sull’onda di tanto entusiasmo, avrebbe avuto un altro picco di crescita (1435) prima di una nuova eruzione (1455), all’arrivo della quale, evidentemente stremata, la calotta polare sarebbe invece diminuita di estensione.

Come spiegano gli autori questo lag temporale a sfavore del loro assunto? Potrebbe essersi trattato di un breve episodio di crescita naturale (da escludere non si capisce perché per l’episodio precedente), oppure, naturalmente, qualche problema di incertezza nelle misure e nelle calibrazioni dei dati, che però sono precisi sempre nell’evento precedente. Cioè, la Natura, nella fattispecie qualcosa di diverso dalle eruzioni vulcaniche e normalmente mera osservatrice, entra in gioco solo se c’è bisogno di sostenere l’ipotesi. Altrimenti, sempre perché l’ipotesi è comunque corretta a priori, deve esserci qualche problema con i dati, anch’esso intermittente, che sempre nella fattispecie sono fatti, fino a prova contraria.

Mah… Che le eruzioni vulcaniche abbiano accentuato gli effetti della LIA è un fatto accertato e documentato. Il 1816 fu definito anno senza estate. Freddo e forti anomalie anche durante i mesi caldi. Ma c’erano state delle potenti eruzioni nel 1812, 1814 e, soprattutto, nel 1815 (vulcano Tambora). Furono effetti brevi però, giunti tra l’altro quando era già iniziato il recupero dalla LIA e, per dirla tutta, effetti che cessarono bruscamente di lì a pochi anni, se è vero che il riscaldamento dei tempi monderni lo si comincia a misurare dalla metà del 1800.

Per concludere una breve riflessione, anche per spiegare il riferimento all’inizio dell’era industriale dell’inizio del post. Poniamo il caso che questi ricercatori ci abbiano visto giusto. Saremmo di fronte alla prova assoluta dell’insorgere di un forcing naturale ma assolutamente casuale per l’innesco della LIA. Quindi quel segnale di raffreddamento, per quanto prolungato, dovrebbe essere eliminato dalle analisi di lungo periodo volendo intercettare altri eventuali forcing che possano aver agito o agire sulle dinamiche del clima. Però, tolta la LIA, ci resta il Periodo Caldo Medioevale, e lì non ci sono vulcani o paleo-SUV che tengano, faceva caldo per qualche altro motivo. Quanto caldo? Tanto quanto oggi e forse anche un po’ di più. Cosa esclude che quello che ha determinato l’MWP sia la stessa cosa che sta ha generato il riscaldamento del secolo scorso sebbene in parte aiutato dal forcing della CO2? E cosa dovrebbe portare il Pianeta all’arrosto non avendolo fatto 1000 anni fa in presenza di analogo clima surriscaldato?

Sono aperte le consultazioni, qualcuno ha una risposta a questi semplici quesiti? Ah, dimenticavo, no modelli centenari perditempo.

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Published inAttualitàClimatologia

5 Comments

  1. Luigi Mariani

    Caro Guido,
    circa la causa immediata del Periodo Caldo Medioevale (PCM) tendo a dar credito all’ipotesi a base dendrocronologica formulata da Trouet et al in un lavoro del 2009 (Trouet V., Esper J., Graham N.E., Baker A., Scourse J.D., Frank D.C., 2009. Persistent Positive North Atlantic Oscillation Mode Dominated the Medieval Climate Anomaly, Science, 3 april 2009, Vol 324), che ho avuto occasione di commentare su CM tempo fa (http://www.climatemonitor.it/?p=5262).
    Lì si ipotizzava che la PCM si sarebbe caratterizzata per una forte e persistente anomalia positiva della NAO (persistente= della durata di alcuni secoli), lo stesso tipo di anomalia – lo ricordo – che ha dato luogo all’aumento delle temperature globali che ha avuto luogo dal 1977 al 1998.

    A questo punto resta ovviamente aperta la domanda circa cosa inneschi una fase positiva della NAO e qui temo che a tutt’oggi non vi siano certezze (potremmo dire che è stata la CO2 ma una tale ipotesi parrebbe smentita dalla PCM).

    Circa invece la Piccola Era Glaciale (PEG) concordo con il professor Emmanuel Leroy Ladurie il quale durante una sua conferenza tenutasi a Milano alcuni anni orsono espresse dubbi rispetto al reale sussistere di una PEG come periodo climaticamente omogeneo che và grossomodo dal 1500 al 1850.

    In proposito cito solo alcune evidenze citate da Leroy ladurie:

    – la vendemmia più precoce di tutta la serie storica 1490-1880 delle vendemmie francesi ad lui recuperate è quella del 1556 (e la precocità della data di vendemmia dipende dalle temperature massime di aprile maggio e giugno, che evidentemente in quel 1556 furono inusitatamente elevate). Per inciso la vendemmia più tardiva nella serie di Leroy Ladurie è quella del 1816 ed il 1816 fu anche l’anno in cui la vite non maturò in provincia di Sondrio (in proposito cito le cronache di Tirano recuperate dallo storico locale Diego Zoia)
    – il freddissimo 1740 fece tanti morti in Francia perché preceduto da 60 anni di mite clima atlantico che avevano disabituato i francesi a mantenere scorte di cibo e altri generi di prima necessità
    – Leroy ladurie chiama un suo libro del 2004 dedicato alla PEG con il titolo emblematico di Canicules et glaciers (canicole e ghiacciai) in quanto in almeno due estati canicolari avvenute nel corso della PEG si ebbero parecchi morti per caldo in Francia.

    Insomma, per quanto facciamo, il passato resta sempre denso di incognite…

    Luigi

  2. donato

    Il lavoro è stato assoggettato a revisione paritaria per cui può essere considerato parte integrante della letteratura scientifica pacificamente accettata. Io, però, su di esso condivido molti dei dubbi espressi da W. Eschenbach. Il dubbio principale, come emerge anche dal post di G. Guidi, riguarda la “spasmodica” necessità di escludere, tra le possibili cause della LIA, i minimi solari. Questo fatto si evince anche dalla lettura dell’abstract dell’articolo di Miller ed al.. Esaminando uno dei grafici che corredano l’abstract su GRL, però, si nota che proprio in concomitanza con la LIA si sono avuti due minimi della radiazione solare totale. La fase discendente della TSI, in particolare, inizia molto prima dell’eruzione vulcanica del 1258. Considerando tutti i feed-back che condizionano il sistema climatico, questa riduzione della TSI potrebbe aver innescato le condizioni favorevoli all’insorgere della LIA. L’eruzione vulcanica del 1258, infine, avrebbe assestato il colpo di grazia determinando l’esplosione della fase fredda. Le sole eruzioni vulcaniche, a mio modesto parere, non sono in grado di giustificare l’inizio della LIA per un motivo estremamente semplice. Analizzando il grafico si nota che, sul finire del periodo freddo (1410-1435), si è verificato un brusco aumento dell’estensione dei ghiacci. A quale eruzione vulcanica è dovuto questo incremento dell’estensione dei ghiacci e la concomitante diminuzione di temperatura? Miller et al. dicono che tale aumento potrebbe trovare spiegazione in una non meglio specificata oscillazione naturale. Insieme a W. Eschenbach mi chiedo perchè l’oscillazione naturale non meglio identificata spiega il secondo brusco incremento dei ghiacci e non il primo (che, tra l’altro, è pure di maggiore entità)? A questo punto è necessario riflettere un poco sull’eruzione del 1455. Come mai questa eruzione che ha immesso in atmosfera una quantità di SO4 confrontabile con quella del 1258, non ha determinato un altrettanto imponente aumento dell’estensione dei ghiacci?
    Sono tutte domande che non trovano risposta nel lavoro di Miller et al. Essi, infatti, hanno solo tenuto a sottolineare che l’insorgenza di lunghi periodi freddi non richiede grosse variazioni della TSI. Secondo me, invece, se in un quadro caratterizzato da una tendenza al raffreddamento si inserisce un evento vulcanico di grossa rilevanza, tale tendenza al raffreddamento può accelerare. Se, invece, l’eruzione si inserisce in un contesto di riscaldamento riesce solo a rallentare, nel breve periodo, questa tendenza di fondo. Queste sono le conclusioni cui mi sento di giungere esaminando i grafici allegati all’articolo di Miller et al.
    Ed infine, un’ultima considerazione. Miller et al. concludono il loro lavoro dicendo che i feedback di oceani e ghiacci marini possono influenzare il clima terrestre anche dopo che i solfati sono stati rimossi dall’atmosfera. Questo è un fatto molto interessante che mi trova d’accordo. Perché, però, se io sostengo che questi feedback possono agire in un senso e nell’altro (causando sia un raffreddamento che un riscaldamento), mi si risponde che l’unica spiegazione per l’attuale fase di riscaldamento sono i forcing antropici?
    Ciao, Donato.

  3. Maurizio Rovati

    “Che le eruzioni vulcaniche abbiano accentuato gli effetti della LIA è un fatto accertato e documentato. Il 1816 fu definito anno senza estate. Freddo e forti anomalie anche durante i mesi caldi. Ma c’erano state delle potenti eruzioni nel 1812, 1814 e, soprattutto, nel 1815 (vulcano Tambora).”

    Willis Eschenbach su WUWT contesta anche il 1816…

    “Missing the Missing Summer

    …Being a suspicious fellow, I got to thinking about that, and I realized I’d never seen any actual temperature data for the year of 1816. So I went off to find some early temperature data. I started with the ECA dataset, and downloaded the Daily Mean Temperature TG (162Mb). That revealed five stations with daily temperature records with starting dates before 1816—Stockholm, Bologna, Milan, Praha-Klementinum, and Hohenpeissenberg.”

    Leggendo i grafici si scopre che gli effetti delle eruzioni sono modesti.

    http://wattsupwiththat.com/2012/04/15/missing-the-missing-summer/

    Qualcuno poi commentando sottolinea che il problema riguardava più che altro la produzione e la formazione dei prezzi dei prodotti agricoli.

    “The place to look for the effect of volcanic eruptions on the climate is in food commodity prices. That is where climate change has its greatest impact on human society. In those records the Tambora eruption is unmissable.”

    La risposta:
    “John West in reply pointed to a great study of historical UK food prices, The Price History of English Agriculture, 1209-1914. From that study …
    If the effect of Tambora is greatest in food commodity prices, well, the prices in 1816 were the lowest in the entire decade, so do we need more volcanoes?” http://wattsupwiththat.files.wordpress.com/2012/04/changes_in_uk_farm_prices_1810.jpg

    conclusione: “As I have said more than once, the effect of volcanoes (and by implication the effect of changes in forcing in general) on temperature is vastly over-rated.”

    • Interessante. Il problema è che le misure sono quelle che sono, i proxy pure, par di capire che scendere nel dettaglio delle variazioni di decimi di grado (tanto servirebbe per capire) sia quanto meno ambizioso.
      gg

  4. marco g.

    La risposta è semplice.NOI(Io,Lei Sig Guidi e qualche altro scriteriato) che nonostante tutto continuiamo imperterriti ad usare l’auto per recarsi al lavoro,continuiamo a riscaldarcaci in inverno(fa freddo),questo per poco ancora,poi quando il pianeta sarà rovente non ne avremo piu’ bisogno,insomma continuiamo a voler vivere.Siamo veramente degli egoisti senza alcuna sensibilità…..

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