Qualche settimana fa è uscito su queste pagine un mio breve commento che analizzava alcuni aspetti delle dinamiche della circolazione emisferica con specifico riferimento alla prevalenza o meno di flussi ad elevato indice zonale nel medio e lungo periodo. Un post nato per rispondere a quello che sembra essere un cambio di direzione di quanti sotengono l’ipotesi AGW. Dopo aver lungamente annunciato che avremmo assistito ad una sostanziale prevalenza di eventi riconducibili al caldo, scopriamo che questa ipotesi torna buona anche per gli eventi di freddo. In sostanza non solo “il tempo non è il clima finché non lo diciamo noi”, ma anche “il freddo viene dal caldo”. Da quel post è nata una discussione protrattasi fino ai giorni scorsi. Quanto segue intende essere una risposta di più ampio respiro – quindi più facilmente pubblicabile in forma di post – alle eccezioni sollevate da uno dei lettori che per comodità di lettura riportiamo di seguito:
[success]
Alessio 28 marzo 2012
Visto che tutti i commenti sono elogiativi, mi permetto di sollevare alcune questioni. Nell’articolo si mostrano ben noti modi principali di variabilita’ della circolazione invernale (e non solo) dell’emisfero nord. Non e’ pero’ chiaro come l’autore possa alla fine dell’articolo dichiarare che le semplici correlazioni mostrano:
- ”se la zonalità invernale diminuisce la Siberia si raffredda e di conseguenza aumenta la pressione al suolo”. E’ vero che la zonalita’ in area nord europea/asiatica e’ legata a pressione e temperature (non solo in area siberiana), tuttavia le causalita’ come li descritte non si evidenziano in quei grafici e restano idee dell’autore
- ”Bassa zonalità e AGW, quindi, sono inconciliabili e a causa di questa semplice ricerca abbiamo dimostrato come non sia scientificamente possibile il nuovo slogan dei sostenitori dell’AGW” Questa affermazione non e’ supportata dai semplici grafici di cui sopra.
Domanda (retorica): davvero mostrare che la zonalita’ invernale e’ legata alla pressione al suolo (o viceversa, i grafici non lo evidenziano) e’ abbastanza per coprire tutti i possibili elementi che concorrono nel definire la variabilita’ naturale della circolazione invernale? Ed ad evidenziare quelli potenzialmente (direttamente o indirettamente) legati a modifiche nel bilancio radiativo terrestre?
e
Alessio 28 marzo 2012
Ribadisco, le correlazioni mostrate non supportano affermazioni perentorie come ”Bassa zonalità e AGW, quindi, sono inconciliabili e a causa di questa semplice ricerca abbiamo dimostrato come non sia scientificamente possibile il nuovo slogan dei sostenitori dell’AGW”. E’ l’autore che deve mostrare su cosa basa la conclusione. Se lei vuole dimostrare che modifiche nel bilancio radiativo globale (i.e. modifiche nella concentrazione dei gas serra) non possono essere collegate con cambiamenti nella circolazione atmosferica (o zonalita’ degli inverni boreali), non basta mostrare che il vento zonale in troposfera e’ correlato a cambiamenti in figure bariche. Questi sono fenomeni quasi-geostrofici di base, che sono sicuro lei conoscera’ bene. Mi deve anche mostrare come cambiamenti di circolazione non siano collegati a loro volta a altre variabili (ad esempio cambi nella temperature oceaniche, Nord Atlantiche in questo caso, cambi nella posizione dei getti sub-tropicali e conseguenti modifiche nei trasporti di vorticita’, cambi nelle dinamiche di accoppiamento stratosfera/troposfera per citarne alcune) e che a loro volta queste non siano in alcun modo collegabili a modifiche nella concentrazione di gas serra. Non saro’ certo io a dimostrarle queste connessioni, la letteratura la’ fuori e’ esaustiva a proposito. Buon lavoro.
[/success]
Sicché
Ribadisco ancora una volta il concetto (quindi chiudo qui visto che leggo tra le sue righe la genesi di una polemica che invece notoriamente i fatti in senso lato escludono) anche perché non è mia intenzione costringere nessuno a cambiare idea così come non lo è neppure il contrario. Piuttosto è mia intenzione chiarire aspetti che sono alla base di dinamiche incontrovertibili a prescindere dalla natura antropogenica, naturale o mista del riscaldamento, che devono sottostare alle medesime leggi e quindi non possono sfuggirvi. Infatti, i fenomeni che inducono ad un riscaldamento sono per definizione contrari al fenomeno opposto a meno che non si definiscano in maniera certa i feedback negativi che nella fattispecie si innescherebbero al punto tale da divenire preminenti, alterando in maniera sostanziale il segnale portante di fondo, appunto il riscaldamento.
Inoltre, e qui il motivo indicato nell’articolo del cambio di idee dei sostenitori dell’AGW, da sempre il riscaldamento globale di origine antropica si è sorretto sulla base dell’amplificazione dei feedback positivi (nel loro complesso non ben identificati). Solo con questi è possibile ottenere output dei modelli climatici con valori di riscaldamento nei prossimi cento anni fino a +5°C (la quantità e rilevanza attribuita agli stessi feedback permettono una vasta gamma di variazioni in quantità del riscaldamento e già questo aprirebbe un ampio dibattito sulla capacità di rappresentare il clima futuro). E’ quindi quantomeno simpatico notare che nella più recente filosofia il sistema climatico sembrerebbe non più soggetto ad esclusivo feedback a base positiva ma sensibile anche a eguali preminenti retroazioni negative. Non le sembra un bel salto del fosso? Forse ai più non dice nulla ma a chi passa gran parte della sua vita allo studio del clima le assicura che suggerisce molto.
Nella fattispecie credo che lei stia facendo un grossolano errore nell’estendere quanto scritto nell’articolo a fenomeni quali cambi di temperature oceaniche e via discorrendo. L’articolo descrive la correlazione stretta tra la zonalità invernale e la pressione al suolo e la temperatura in area siberiana, ovvero in estrema sintesi: ad elevata zonalità la Siberia si scalda e viceversa si raffredda. A sua volta, e questo lo aggiungo ora, l’Europa è direttamente ed indirettamente sensibile a queste dinamiche visto che una maggiore zonalità impedisce pattern circolatori favorevoli alla formazione di onde retrograde indispensabili affinchè aria gelida siberiana possa raggiungere la tiepida Europa. Quindi, visto che il comparto siberiano è uno dei pozzi gelidi dell’emisfero settentrionale, assume rilevanza capirne le dinamiche indipendentemente dai valori di concentrazione dei gas serra, alla luce del fatto che dai grafici emerge chiaramente un’oscillazione di medio-lungo periodo che certo non segue quella costantemente crescente dell’anidride carbonica. Se questo non la induce a perseguire dovuti approfondimenti per capirne i motivi allora non capisco neppure cosa serva studiare ancora il clima. E’ già tutto chiaro nella migliore delle logiche inquisitorie.
Quali dimostrazioni ulteriori sono nelle sue pretese più di quanto i numeri presentati già facciano? Semmai aspetto ancora i suoi studi o dati in suo possesso che accertino il contrario, non fosse altro che, inversamente a quanto lei soggettivamente afferma, i dati relazionati dimostrano quanto era nell’obiettivo dell’articolo stesso. Se tutto questo poi determini un riscaldamento o raffreddamento degli oceani piuttosto che lo scioglimento dei ghiacci artici o l’aumento di quelli antartici certo non era negli scopi di questo breve articolo. Di tutto questo infatti non vi è traccia.
Piuttosto potrebbe essere di suo interesse sapere che è alle battute finali un lavoro di studio e ricerca che indaga sulle dinamiche e conseguenze del fenomeno che si esprime attraverso le variazioni dell’indice AMO. Presto verrà pubblicato un abstract sui risultati ottenuti qui su Climate Monitor.
In conclusione, i dati offerti al pubblico, che non escludono riflessioni ulteriori di tipo proprietario, sono sembrati ai più (vedi commenti) molto chiari. Quindi spetta ora a lei, come detto, dimostrare una relazione inversa o del tutto inesistente, penso che Guidi sarà ben felice di pubblicare il suo pensiero, e io di leggerlo, su questo sito.
Buon lavoro.
Sii il primo a commentare