Sin dalla sua prima introduzione nel mondo dell’informatica, avvenuta anni fa con termini differenti, la tecnologia delle “cloud” ha promesso, tra le altre cose, un minor impatto ambientale. Il concetto è che qualche grande multinazionale crea grossi “data center”, cioè centri operativi con un gran numero di computer, e “ospita” a pagamento il software che un cliente (un privato o un’azienda) vuol far girare. A parte enormi problemi di privacy, sotto certi punti di vista è un vantaggio per i clienti, i quali possono evitare di comprare dei PC da tenere “in casa”, visto che questi dispositivi notoriamente perdono valore molto velocemente. Ma l’economia di scala di un grande data center permetterebbe anche un grande risparmio energetico: consumerebbero meno dell’equivalente in PC “sparsi” per aziende e case.
Personalmente divento istintivamente scettico davanti a queste considerazioni. Sono meramente qualitative, mentre servirebbe vedere un’analisi quantitativa ben fatta per capire come stanno le cose – cosa che non ho mai visto, non perché non l’ho cercata, ma perché nessuno si è mai degnato di pubblicarla. Il che rende sospettosi. Aggiungete il fatto che mentre è ovviamente immediato calcolare quanta energia consuma un data center, i consumi dell’equivalente in PC “sparsi” sono stimati con modelli (aridaie) dei quali non ho mai visto una validazione sperimentale.
Recentemente, i data center sono comunque stati additati da organizzazioni ambientaliste come GreenPeace di essere dei grandi consumatori di energia e quindi nemici dell’ambiente. Questa argomentazione è di nuovo poco sensata se non si vedono i conti, ma è molto appetibile dai media. Specialmente se salta fuori che un’azienda acquista l’energia richiesta da centrali a carbone, a petrolio o nucleari (cosa abbastanza scontata: stiamo parlado degli USA e parliamo di un caso d’uso che necessita una fornitura di energia costante e affidabile 24h/24). Improvvisamente, le aziende proprietarie di data center si sono buttate sul solare, ovviamente con la benedizione di GreenPeace. La quale ora è contenta, perché può indicare al mondo che il business del futuro può già appoggiarsi ad una fonte di energia rinnovabile, negando quindi le previsioni di gravi impatti sull’economia che fanno gli scettici.
A parte che i data center sono il futuro, ma solo una parte (avremo comunque bisogno delle industrie manifatturiere tradizionali), tutto rimane un po’ campato in aria e mancano i conti. Io purtroppo non sono certamente in grado di farli da me. Ma ci sono esperti che ci provano e, be’, i conti non gli tornano. Per esempio, in questo articolo di Wired, che riproduco tradotto per comodità di chi non ha dimestichezza con l’inglese.
Non è facile essere verdi: le farm solari sono ‘puro marketing’?
Cloudline si è chiesta recentemente quanto sia verde il “cloud”, o se piuttosto le pretese di ecosostenibilità siano più apparenza che sostanza. Ora James Hamilton di Amazon si sta ponendo questa domanda a proposito dei datacenter di Apple e Facebook, apparentemente “evidentemente ecosostenibili” in quanto basati su impianti solari.
L’esperto di Wired Enterprise Cade Metz riferisce che:
In un blog post recente, Hamilton – che è anche stato progettista di data center alla Microsoft – si chiede se questi impianti solari non siano “in realtà una via di mezzo tra una cattiva idea e puro marketing, mentre l’ecosostenibilità è puramente un’illusione ottica”.
L’uomo di Amazon ha esaminato attentamente l’impianto solare che Apple sta costruendo vicino al suo data center in North Carolina – che aiuta a gestire il nascente servizio iCloud – così come l’impianto più piccolo già in esercizio presso il nuovo data center di Facebook a Prineville in Oregon. “Ho veramente seri dubbi che questa sia la strada giusta per ridurre l’impatto ambientale dei data center”, scrive. “Non mi tornano i conti”.
In breve, Hamilton sostiene che un impianto solare dovrebbe essere notevolmente grande per ridurre in modo significativo l’impatto ambientale di queste enormi infrastrutture di calcolo. Anche l’impianto di Apple, dice, occupa troppa superficie – e secondo le sue stime fornirà al data center solo il quattro percento dell’energia che richiede.
Facebook ammette che il suo impianto solare produce energia sufficiente solo per l’impianto di illuminazione e che l’impianto solare è sostanzialmente solo un esperimento. Hamilton sostiene che per rendere veramente verde l’industria dei data center è necessario un incremento dell’efficienza della distribuzione dell’energia, degli impianti di raffreddamento, di memorizzazione dei dati, della rete dati, dei server e una sempre maggiore utilizzazione [ndr. per chi non è esperto. L’economia di scala di un data center scatta se ci sono un gran numero di utenti che lo usano, producendo profitto]. Scrive Metz: “Magari le cose funzionano veramente. Ma non dimentichiamoci che un data center alimentato da una centrale solare si presta a dei gran bei titoli di giornale”.
Se vi interessa qualche conto, lo trovate qui. Traduco solo il passaggio più interessante:
Il punto finale di Hamilton è che se costruissimo un impianto solare abbastanza grande per produrre la maggior parte dell’energia necessaria ad un data center, sarebbe notevolmente più grande del data center stesso. Anche se Apple sta costruendo una centrale da 20 MW in North Carolina, dice Hamilton, sta solo fornendo una piccola parte dell’energia necessaria. Se volessimo fornire energia per tutto l’impianto da 46.000 metri quadrati, stima Hamilton, avemmo bisogno di una centrale solare da 17 milioni di metri quadrati.
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NB: il post originale è qui, sul Blog di Fabrizio Giudici.
gg
Wired ha pubblicato un altro articolo in cui GreenPeace spara addosso ad Apple, peggior consumatore di energia da carbone (http://www.wired.com/wiredscience/2012/04/how-dirty-is-apples-icloud/). E loda Facebook che invece dipende solo per il 39%. Ma avendo scritto solo un mese fa che il contributo solare è praticamente trascurabile, da dove prende tutto il resto? Per la cronaca, ho appena postato questo commento, vediamo se lo approvano:
I suspect there’s some deceptive information here. You’re saying that Facebook is making big improvements in “clear renewables” and depends on coal “only” for 39%. But just one month ago you were saying (http://www.wired.com/wiredenterprise/2012/03/amazon-apple-solar/):
“Actually, [Facebook solar plant] does only run the lights. Facebook said as much when we visited the data center this past fall, and a company spokesman reaffirms that the solar farm was never meant to do more. “The initial intent was as an experiment — to see what kind of impact could be made with a small installation,” he says. ”
So, solar energy for Facebook is neglectable. Let’s say under 5%. What’s providing the remaining 55%. Perhaps providing the full percentages about each company energy provision would be better information, eh?
http://www.wired.com/wiredscience/2012/04/how-dirty-is-apples-icloud
LEGGO:
..“GRENNPEACE” pensasse anche ai SUOI servers alimentati da una CENTRALE A CARBONE in Virginia!!”.. il data center che Greenpeace ha affittato in Virginia per alimentare il server per il suo sito va al 46% a carbone, 41% nucleare, 8% gas naturale e solo il restante 4% circa va a rinnovabili.
Da che pulpito viene la predica?
FONTE: http://www.ecologiae.com/greenpeace-facebook-carbone/21407/
Inutile ogni commento.
GreenPeace ovviamente sa benissimo che è un solare di facciata. Ma siccome loro “sanno”, indipendentemente dalle basi scientifiche, che c’è l’AGW e che un giorno il solare sarà efficientissimo e perfettissimo, vale la pena qualche piccolo inganno all’opinione pubblica; che d’altronde è continuamente disinformata dagli scettici. Insomma, è una bugia a fin di bene.
Quando ero piccolino mia nonna mi raccontava una storiella che ricordo ancora adesso. Sembra che un carbonaio (all’epoca in cui mia nonna era giovane ne esistevano parecchi) avesse necessità di recarsi in paese. Il lavoro che faceva non gli consentiva di avere abiti puliti e le condizioni economiche non gli consentivano di avere abiti di ricambio. Il carbonaio, con un lampo di genio, si tolse la camicia, la rovesciò e la indosso di nuovo esclamando: “viva la faccia della pulizia!”
Leggendo l’articolo di F. Giudici questa storiella mi è ritornata in mente in quanto la filosofia del carbonaio si adatta molto bene a quella di Greenpeace. Non conta la sostanza, ma l’apparenza.
La cosa che mi ha fatto riflettere, comunque, è un’altra.
“Improvvisamente, le aziende proprietarie di data center si sono buttate sul solare, ovviamente con la benedizione di GreenPeace.” scrive F. Giudici.
In altre parole, pur di non avere cadute di immagine, le aziende hanno elaborato progetti ed eseguito lavori per milioni di euro, pur sapendo che l’energia verde prodotta sarebbe stata una piccola frazione di quella necessaria ai loro fabbisogni. Una foglia di fico, insomma, per poter continuare il proprio business senza altre rotture di scatole da parte degli ambientalisti. Gli ambientalisti, da parte loro, pur sapendo tutto ciò (almeno spero che lo sappiano) sono soddisfatti per aver costretto una bieca multinazionale a convertirsi alle tecnologie verdi. E vissero tutti felici, contenti (prendendosi vicendevolmente per i fondelli). Poi si dice che, nella vita reale, le favole non esistono. 🙂
Ciao, Donato.
Anche ArsTechnica ha pubblicato un articolo sul solare, in particolare sulle potenzialità “solari” delle basi militari nel sud della California:
http://arstechnica.com/science/news/2012/03/california-dod-bases-sitting-on-7-gigawatts-of-solar-potential.ars
E’ interessante perché, vivaddio, ci sono un po’ di numeri. Per riallacciarmi al commento precedente, l’articolo ricorda chiaramente che la potenza teorica ideale non è poi quella effettiva per vari motivi:
The report characterizes 7GW of capacity as the “maximum” potential for solar development across the sites. Note that the capacity of a solar power plant is, as for any power plant, the theoretical maximum output under ideal conditions. A capacity factor is used to describe the actual output of a facility over time, as a proportion of the capacity. Capacity factors for solar technologies are typically cited at around 20 percent for areas with high levels of solar radiation, such as California.
Ovviamente, nei titoli, ci mettono sempre quella teorica ideale… Notare come il rapporto tra realtà e teoria sia solo del 20% anche per regioni notoriamente assolate.
Apple alimenta il data center di Maiden, nella Carolina del Nord, con 20 MW solari, che sappiamo che corrispondono a molto meno, a seconda delle bizze del tempo, e anche perché di notte non c’è il Sole, nemmeno nei potenti Stati Uniti. Però gli affianca una installazione di pile a combustibile da 5 MW…
Questo le ha consentito di ottenere l’agognato certificato di platino LEED dall’ U.S. Green Building Council.
LEED è il sistema statunitense di classificazione dell’efficienza energetica e dell’impronta ecologica degli edifici LEED, acronimo di “The Leadership in Energy and Environmental Design”.
Anche da noi chi vuole lavorare deve confrontarsi con forme di pressione (impatto ambientale) basate su assunti (che la CO2 sia un inquinante e che saremmo alle soglie della fine del pianeta) tutti ancora da dimostrare, e che si stanno dimostrando sempre più falsi o per lo meno molto esagerati.
La ditta della mela ha investito un miliardo di dollari per questo progetto, il cui progettista, Olivier Sanche, nel frattempo è morto. Era stato assunto nel 2009.